FASCINO SENZA TEMPO
Testo di Remigio Camilla / Foto di Alessandro Marrone
1950, sono trascorsi appena 5 anni dal termine del secondo conflitto mondiale, la ripresa economica è faticosa, l’industria automobilistica mondiale cerca di riassestarsi e di riprendere la normale produzione automobilistica dopo la forzata riconversione bellica. I nuovi modelli presentati al pubblico, spesso non sono altro che rivisitazioni di modelli anteguerra e se non tali, non presentano certo novità di rilievo a livello tecnico. Giovanni Lancia, con un atto di grande coraggio presenta al pubblico l’AURELIA, l’auto più innovativa di tutto il panorama automobilistico mondiale di quel periodo, per le soluzioni d’avanguardia adottate. Motore anteriore compatto, 6 cilindri a V di 60°, talmente contenuto nelle sue dimensioni da essere più corto di un normale 4 cilindri in linea. Ma l’altro elemento innovativo lo si ritrova nel retrotreno, dove è posizionato il gruppo frizione cambio differenziale ed i freni entrobordo centrali, al fine di limitare le masse non sospese, migliorando la distribuzione dei pesi per una impeccabile tenuta di strada. Il tutto è racchiuso in un’unica fusione, in un unico blocco, anticipando di ben 20 anni il sistema che verrà definito Transaxle, adottato nel 1972 dall’Alfa Romeo con il modello Alfetta e nel 1977 dalla Porsche con il modello 928. Inoltre le quattro ruote sono indipendenti, la scocca autoportante come ormai nella tradizione Lancia già dal modello Lambda del 1918, anno in cui viene depositato tale brevetto. La carrozzeria poi presenta molte parti in alluminio, come portiere cofani e parafanghi, ottenendo in questo modo una significativa riduzione del peso.
Il motore dell’Aurelia, 6 cilindri a V rimane ancora oggi un gioiello incontrastato per progettazione e contenuti tecnici sviluppati dall’allora giovanissimo Ing. Francesco De Virgilio, che inizia a studiare tale propulsore sin dal 1943. Egli intuisce che per una perfetta equilibratura, il 6 cilindri deve avere un angolo a V compreso tra i 40 e 80 gradi e per realizzare i suoi primi esperimenti inizia frazionando un motore ad 8 cilindri. Le sue intuizioni sono giuste e vengono prontamente approvate dagli ingegneri Vittorio Jano e Giuseppe Vaccarino che gli concedono il via libera alla sperimentazione. Di notevole interesse è il racconto dello stesso Ing. De Virgilio relativo ai suoi studi, soprattutto quando arriva alla conclusione che si potevano costruire 12 alberi motore tra di loro diversi, che potevano originare un motore a 6 cilindri a V di qualunque angolatura e di girare con scoppi uguali di 120°, ma con solo due di questi alberi si poteva ottenere un motore V6 di 60 gradi perfettamente equilibrato, quello che porterà al motore dell’Aurelia. Proseguendo nei suoi studi ed analizzando la posizione dei pistoni, arrivò inoltre a determinare la possibilità di realizzare 4 motori V6 60° e altri 4 motori a V6 di 120°, tutti con alberi motori diversi e tutti perfettamente equilibrati. Ma la scelta cadde sul V6 a 60° perchè più compatto e perfetto per essere inserito nel vano motore della nuova vettura. Il primo modello Aurelia porta la sigla B10, cilindrata di 1754 cc, 56 cavalli ed una velocità di 135 Km/h.
Pare che la scelta di tale cilindrata fosse stata imposta dallo stesso Giovanni Lancia, per poter scoraggiare l’uso sportivo dell’auto che con quella cilindrata non poteva correre nella classe 1.500 e neppure nella 2.000. Ben presto però la B10, anche se non velocissima veniva scelta per le sue grandi qualità stradistiche dai piloti privati per correre nella categoria Turismo, soprattutto sfidando la sua diretta concorrente l’Alfa Romeo 1.900 che si ritrovava nelle stesse condizioni, in quanto non poteva accedere nelle Classe 2.000. A questo punto Giovanni Lancia si convinse che era tempo di affrontare il mondo delle competizioni che potevano offrire grande prestigio al marchio Lancia con potenzialità di sempre nuovi clienti.
Fra i suoi progettisti, avendo l’Ing. Vittorio Jano esperto di auto sportive, in breve tempo la cilindrata iniziò progressivamente a salire: 1.991 cc con i modelli B21 e B22 sino a 2.266 cc per il modello B12, l’ultimo della serie. I risultati ottenuti furono esaltanti e dal 1950 al 1955 l’Aurelia berlina vinse le più prestigiose gare nella Categoria Turismo.
La carrozzeria della B10 così come nelle successive versioni, non aveva seguito la moda del momento proveniente dall’ America, con la linea denominata Ponton a fiancate completamente piatte con i parafanghi perfettamente inseriti nella linea della fiancata, come nel caso dei modelli italiani dello stesso periodo Fiat 1.400 e Alfa Romeo 1.900. Al contrario i parafanghi uscivano morbidi e sinuosi dalla fiancata e la coda non evidenziava il terzo volume del bagagliaio, ma scivolava rapida verso il basso, linea che oggi si usa definire fastback a due volumi. Una linea quindi molto personale fuori dagli schemi del momento che traeva origine ed ispirazione da un altro modello Lancia molto famoso del 1946 disegnato da Pininfarina su telaio Aprilia, la Bilux, rielaborando il frontale e soprattutto ammorbidendo molto le fiancate e la coda e l’altezza. L’Aurelia era stata piacevolmente definita “levigata come un sasso di fiume”.
La B24, capolavoro di Pininfarina, rappresenta senza dubbio la massima espressione del modello Aurelia, senza nulla togliere alla B20 ed alle altre versioni speciali, ma le spyder si sa posseggono sempre grande fascino e nel caso specifico qui il fascino è totale. Le proporzioni della vettura sono perfette, se osserviamo il prospetto laterale non possiamo non notare come l’abitacolo sia in posizione perfettamente centrale ed i due volumi anteriori del vano motore e posteriore del bagagliaio abbiano la stessa lunghezza se misurati rispetto alla portiera che ha la stessa lunghezza dell’abitacolo. È rilevabile nell’insieme della carrozzeria un legame stretto con la berlina di serie, quell’impronta che la rende subito riconoscibile come la versione spyder dell’Aurelia berlina. Il frontale è più sinuoso, snello e proteso in avanti e nel tre quarti posteriore è come se Pininfarina avesse ripreso e rialzato morbidamente la sporgenza del parafango posteriore rispetto alla fiancata, allineandolo in altezza con il parafango anteriore, determinando quel caratteristico leggero rialzo rispetto alla linea di cintura. Motivo questo che verrà ripreso nella Giulietta Spyder, ma con il parafango posteriore perfettamente allineato e fuso nella fiancata piatta, motivo che verrà conservato nel tempo su altri modelli, vedi la Fiat 124 Spyder. Al frontale molto sportivo ed elegantemente aggressivo, corrisponde una sezione di coda molto morbida con un lieve accenno di pinne esaltato più dalla fanaleria sporgente che non dai lamierati. Il prospetto posteriore esalta inoltre la sportività dell’auto con i tubi di scarico uno per lato, il paraurti suddiviso in due parti con la targa centrale, altro elemento distintivo di Pininfarina che verrà ripreso su altri modelli come nella Duetto “Osso di Seppia” e sulla Fiat 124 Spyder, ma imitato e preso a modello dalla Porsche 911 del 1963 o da Ercole Spada quando disegna la Fulvia Sport per Zagato.
Ovviamente questa caratteristica del paraurti diviso posto sul retro era molto coerente con la prima versione della B24, dove anche il frontale presentava tale caratteristica esaltando il classico scudo Lancia in tutta la sua verticalità. Solo nella versione destinata al mercato americano e definita non ufficialmente America, le due lame anteriori del paraurti venivano unite fra di loro da un tubolare cromato orizzontale aggiunto e posto quasi alla base dello scudo Lancia. Nella seconda versione o serie della B24 definita Convertibile, il paraurti anteriore si presenta a lama continua dove lo scudo Lancia vi affonda leggermente alla base. Anche sul retro viene adottata la stessa soluzione della lama continua, determinando al frontale ed alla coda, un andamento più orizzontale e sottile, ma perdendo un pochino di quella sportività che aveva caratterizzato la prima serie.
Probabilmente viene adottato questo tipo di paraurti per adeguamento alla normativa americana, dal momento che la maggior parte della produzione si sperava destinata a quel tipo di mercato, ma non andò proprio così. La versione Convertibile, coincide con il passaggio di proprietà della Lancia alla Pesenti, la cui direzione decide di apportare a questo modello una serie di modifiche atte a renderlo più confortevole. Oltre ai paraurti già menzionati, altre variazioni estetiche si ritrovano nel frontale, dove la presa d’aria sul cofano è più sottile e larga sempre per il discorso di orizzontalità. Ma l’elemento che distingue maggiormente le due versioni è il parabrezza anteriore, non più avvolgente verso le fiancate della prima serie. Su questa nuova versione il lunotto anteriore e di tipo più convenzionale, non avvolgente ma funzionale al nuovo tipo di portiera ora dotato di deflettore, vetro discendente e maniglia esterna per l’apertura. Viene rivisto anche l’interno con una nuova strumentazione e la meccanica adottata corrisponde a quella della B20 IV serie. Interessante è notare che la seconda serie viene definita ufficialmente “GT 2500 Convertibile America” come riportato sul libretto di Uso e Manutenzione sino al maggio del 1957.
La B24 del nostro servizio appartiene alla terza serie, identica al modello precedente ma con le migliorie meccaniche adottate sulla B20 VI serie, questa versione perde definitivamente la dicitura America anche sul libretto di Uso e Manutenzione e riporta la esclusivamente la sigla B24 S. Alcuni particolari ci indicano però che questa B24 è stata realizzata secondo precise richieste del suo primo proprietario, come l’adozione dei due fari supplementari di profondità Marchal, perfettamente inseriti in apposita sede, che molto giovano alla sportività dell’auto in quanto ne arricchiscono elegantemente il frontale. L’autoradio Autovox a tasti di preselezione al centro della plancia che veniva montata dalla Pininfarina su precisa richiesta e le bandierine incrociate posizionate al centro del cofano posteriore sopra la maniglia di apertura, di cui una con la F di Pininfarina e l’altra personalizzata dal cliente, sono sinonimo di versione personalizzata.
L’interno presenta un cruscotto dotato di due grandi strumenti circolari che racchiudono tutte le informazioni: contagiri, indicatore di velocità, indicatore livello carburante, manometro pressione olio, conta Km totale e parziale azzerabile, termometro acqua, orologio, una strumentazione certo di alto livello, mutuato esattamente dalla B20. Molto elegante e di prestigio il volante Nardi a tre razze con corona in legno di diametro generoso. I sedili ed i rivestimenti delle porte sono in pelle di colore rosso.
Al momento del servizio la B24 fortunatamente montava lo splendido hard top disegnato e prodotto da Pininfarina, nello stesso colore grigio metallizzato della carrozzeria, che le conferisce un aspetto elegantemente sportivo, molto piatto al disopra del parabrezza anteriore e discendente verso il retro con un lunotto posteriore molto avvolgente e panoramico. La classe dell’auto è rilevabile in ogni particolare, aprendo il cofano posteriore possiamo notare la cura con cui è rivestito il bagagliaio, il completo occultamento della ruota di scorta ed in ultimo la preziosa borsa che contiene i ferri di pronto intervento, nulla è casuale. Anche il vano motore è perfettamente ordinato, complice anche la sua simmetria, con i due blocchi da tre pistoni posizionati a V, con al centro il carburatore Weber 40DCL ed il collettore di aspirazione che genera due filtri aria simmetrici, quasi dei respiratori. Il radiatore con i due collettori che portano la circolazione dell’acqua di raffreddamento ai due blocchi cilindri e per ogni blocco cilindri, il tappo per l’introduzione dell’olio lubrificante, con la preziosa targhetta dalla scritta “Ogni 6000 Km cambiare la cartuccia al filtro olio”. Il radiatore come consuetudine del tempo, aveva la classica tendina azionata da apposito termostato, che ne permetteva l’apertura e la chiusura in base alle temperature esterne e quelle del motore. Si noti come sull’Aurelia, ma come ancora su molti modelli successivi, all’interno del vano motore fosse presente la pompa dell’olio per gli ammortizzatori suddivisa in anteriori e posteriori, in modo tale da poterli periodicamente ricaricare, tutte raffinatezze perse nel tempo, che facevano delle Lancia un’auto di classe tecnologicamente superiore.
Come indicato dalla Targa Oro ASI, l’auto è del 1957 e non è mai stata restaurata, bensì mantenuta originale in ogni sua parte, compresa tutta la componentistica del cruscotto. La terza serie è stata quella in cui sono stati prodotti in più esemplari 371 e prodotta dal 1955 al 1958, restando in listino sino al 1959.
Questa B24 Convertibile ricorda la protagonista del Film “Il Sorpasso” che immancabilmente viene citata parlando di questo modello. Nel film è forse la protagonista più importante, se mi si permettete tale espressione. Le inquadrature su di lei sono continue e mettono in risalto alcuni particolari interessanti, come l’autoradio identica a quella montata sulla B24 del servizio, posteriormente sotto i fanali di serie si intravedono degli orribili fanalini aggiuntivi in ottemperanza al nuovo codice della strada, ma quello che è peggio è il vedere come l’auto sia trattata con molta esuberanza spavalderia. Il parafango anteriore destro è stuccato malamente e non verniciato. Gassman spesso sale sull’auto alla cavallerizza senza aprire la portiera o seduto al volante con la gamba penzoloni fuori dalla portiera quando si ferma, ovviamente sono tutte licenze concesse allo spirito ed alla trama del film, ma, conoscendo il valore storico e monetario raggiunto dall’auto costruita in soli 771 esemplari circa, vedere oggi quell’auto trattata con così troppa non curanza per un appassionato d’auto d’epoca è un colpo al cuore.
Non vorrei dimenticare chi ha collaborato con Pininfarina alla realizzazione di questa splendida auto, spesso definita “La più bella auto costruita”. Franco Martinengo in quel periodo e sino al 1972 Direttore del centro stile Pininfarina, amava ripetere: “Quando vedi passare un’Aurelia B24, non ti basta guardarla, avresti voglia di toccarla”. Una splendida affermazione di coinvolgimento di sensi, al pari di un’opera d’arte classica come la Nike di Samotracia o le Tre Grazie del Canova. Tra gli stilisti degni di nota: Francesco Salomone, Adriano Rabbone, Aldo Brovarone, Luigi Chicco e Giacomo Borgogno.
Sono trascorsi ormai 70 anni dal suo debutto, ma l’Aurelia continua ad essere la massima icona dell’auto italiana degli anni 50, in quanto rappresentativa del progresso tecnico italiano di quel periodo e di nuovi impulsi e sviluppi. Il Mauto di Torino le sta dedicando in questo periodo, una splendida mostra che sarà visibile sino al 27 di settembre, con ben 19 modelli esposti, tra modelli di serie e speciali.