Per ogni appassionato che si rispetti, la nuova Mustang Bullitt non è soltanto una torta di compleanno borbottante, ma uno spiraglio che fa brillare quella scintilla che non deve assolutamente affievolirsi.
Testo di Alessandro Marrone / Foto di S. Lomax
1968, nelle sale cinematografiche esce il film di Peter Yates intitolato “Bullitt”, un poliziesco intriso d’azione e sorretto dall’iconica figura di Steve McQueen, l’attore più cool del secolo. Sono 114 minuti di suspense, divenuti ben presto famosi per il leggendario inseguimento di quella Ford Mustang GT390 Fastback verde, un susseguirsi di manovre azzardate su e giù per le strade di Frisco, divincolandosi tra lo scarso traffico dell’epoca, qualche tram e una colonna sonora che cede il palcoscenico ad una lunga e frenetica scena che fa ben presto dimenticare i numerosi errori e alcune sequenze realisticamente improbabili. Bullitt è un perfetto spaccato dell’epoca, un manifesto vintage in cui ogni aspetto assolutamente normale nel finire degli anni 60 diventa un prezioso dettaglio al quale aggrapparsi sempre più malinconicamente, man mano che trascorrono gli anni e piangiamo ancora la prematura scomparsa dell’attore più spericolato di tutti i tempi, quello che non aveva bisogno di controfigure e che soprattutto quando si trattava di saltare in auto e far fumare le gomme, non chiedeva altro che un potente 8 cilindri da mettere alla frusta, infischiandosene se questo avrebbe significato demolire metà delle auto parcheggiate a bordo strada dei caratteristici saliscendi di San Francisco.
Prodotta in edizione limitata tra 2019 e 2020, la Mustang Bullitt è il tributo definitivo ad una pellicola che più di ogni altra ha catapultato la Ford Mustang nel collettivo, quale auto cinematografica per eccellenza e quale punto di collegamento ideale con quegli anni magici che non torneranno più indietro. Bullitt – il film – non sarà ricordato come uno tra i capolavori della storia del cinema, ma resta senza dubbio un capitolo importante che raffigura lo spaccato dell’America sul finire degli anni sessanta, nel cuore di un periodo fatto di buoni contro cattivi, strade pericolose e leggende pronte per essere consacrate, proprio come nel caso della Mustang. Celebrando il cinquantesimo anniversario di quello che diventò uno degli inseguimenti più famosi della storia del cinema, Ford sottolinea la propria devozione per quei motori grossi, rumorosi e ormai ingiustamente definiti sempre più politically incorrect. Per ogni appassionato che si rispetti, la nuova Mustang Bullitt non è soltanto una torta di compleanno borbottante, ma uno spiraglio che fa brillare quella scintilla che non deve assolutamente affievolirsi.
A caratterizzare questo esemplare abbiamo alcuni dettagli estetici che la collegano in maniera assoluta alla sua antenata, partendo quindi dal colore della carrozzeria in Dark Highland Green, passando per i cerchi neri Torq Thrust da 19 pollici e all’assenza del classico cavallo Mustang sulla calandra anteriore e sul badge al posteriore, in questo ultimo caso sostituito da un mirino che ricorda quanto Frank Bullitt ci sapesse fare con la pistola. Ma se esteticamente un pazzo potrebbe anche sceglierla di un altro colore rispetto a quello “originale”, non c’è alcun dubbio che la Bullitt intenda portare un po’ di Frisco nel mondo odierno con un V8 aspirato da 5.0 litri aggiornato e potenziato di 10 cavalli – per un totale di 460 cv – abbinato ad un cambio manuale a 6 rapporti con pomello bianco. Di primo acchito potreste quasi obiettare che non siano differenze poi così sostanziali rispetto alla controparte tradizionale, ma la realtà è che l’esperienza una volta a bordo è qualcosa di distante anni luce dalla già divertente e performante GT V8 che tutti conosciamo.
La Bullitt rende un’auto speciale ancora più speciale del solito e trasforma radicalmente il coinvolgimento alla guida grazie ad un impianto di scarico che libera definitivamente la melodiosa e baritonale voce dell’8 cilindri sotto all’enorme cofano. C’è anche il rev-matching a enfatizzare il numero dei giri e simulare il punta-tacco ogni volta che si scala di marcia, ma è l’immagine nel suo complesso che ti fa davvero sentire al volante di qualcosa di magico. Se in ambito cittadino si familiarizza con le dimensioni della Mustang in breve tempo, è lontano dal traffico che hai la possibilità di capire realmente le qualità dinamiche di quest’oggetto. Se poi si tratta di una strada di montagna pronta per entrare nel letargo di fine stagione e con le pareti di roccia ormai quasi completamente spoglia a far riecheggiare i decibel scatenati dal V8, state pur certi che l’ultimo luogo a venirvi in mente sarà San Francisco.
Non ci sono assurdi dislivelli pronti a far volare via le coppe cromate di una berlina qualsiasi, ma provvidenziali curve, tratti più rettilinei e un manto stradale umido che ricorda quanto alla Mustang piaccia far allargare il posteriore ogni volta che si pesta con decisione sull’acceleratore. Seduto sui comodi sedili in pelle dalle tradizionali dimensioni extra-large, si ha la percezione delle dimensioni della vettura, di un peso che supera di poco i 1.800 kg e di un’erogazione old school che potremmo definire come tutto aperto/tutto chiuso. Già, alla Bullitt non piacciono le mezze misure e con questo non intendo dire che non la si possa guidare in maniera civile, magari per andare a prendere la nonna all’aeroporto, ma sarebbe come andare a cena fuori nel ristorante più lussuoso della città e ordinare una pizza Margherita. Ecco perché siamo venuti fin qui, in cima alle Alpi liguri e in quel tratto che idealisticamente rappresenta la miglior strada di montagna con vista mare.
Arrivati sulla strada del Monte Fasce alle prime luci del giorno, senza anima viva intorno e con un asfalto ancora umido, lascio che sia la Bullitt a dettare le condizioni, intensificando sensibilmente il passo man mano che gli spessi pneumatici aumentano di temperatura e ripercorrendo una strada che non vedevo da ormai qualche anno. In luoghi come questo, nonostante non si parli del più tipico passo di montagna sperduto sulla cima di un crinale, è difficile che le cose cambino. La vegetazione, ormai provata dall’imminente arrivo dell’inverno, lascia spazio a un paesaggio più malinconico del solito, che però trae linfa vitale dal boato del nostro V8, udibile a chilometri di distanza anche durante la più semplice delle manovre. Su questa strada ci sono curve maledettamente veloci intervallate da un rettifilo che mette a dura prova il coraggio una volta stretta la corona dell’ampio volante, anch’esso con mirino e scritta Bullitt in bella mostra, non sia mai che ci si scordi di essere alla guida di un’icona assoluta.
Del resto, la Mustang è proprio qualcosa che devi sentir dentro e la Bullitt è qualcosa che devi meritare e celebrare ad ogni chilometro che percorri. Non importa il suo potenziale e quasi certo lato collezionistico, ma piuttosto il valore dei momenti che ti mette a disposizione con i suoi 529 Nm di coppia che una volta entrati nella partita a 4.600 giri ti premono al sedile e sarei un ipocrita se dicessi che almeno nei primi attimi con il controllo trazione disinserito non siano responsabili per quel feroce brivido che sale lungo la schiena. La Bullitt è un’emozione continua, un incessante aumento del battito cardiaco che spinto da un volume sempre più intenso riempie la gabbia toracica con una vibrazione che scuote anche il cervello e ti permette di affrontare una curva dopo l’altra con la massima concentrazione necessaria dopo il sordo rumore del ciak di scena.
Le curve si susseguono e mentre la Dodge Charger che idealmente inseguo ha le sembianze di uno spettro che infesta questo tratto di strada, arrivo ai piedi del Passo del Faiallo, valico dei monti liguri che collega il versante genovese a quello dell’entroterra savonese, a circa 1.044 metri di altezza sul livello di quel mare sempre in bella vista alla mia sinistra. Giusto il tempo di far scendere l’adrenalina accumulata con gli ultimi chilometri in cui ho avuto ennesima conferma di quanto nel 2020 Mustang significhi anche correre veloci tra le curve ed è il momento di spaccare il silenzio premendo il bottone di accensione del V8 aspirato, uno degli ultimi baluardi di un mondo che rappresenta il massimo della purezza motoristica e che divide sempre più le nuove generazioni cresciute con twin-turbo e simulatori di guida, alla squadra dei puristi, quelli che ancora provano un fremito quando vedono la lancetta del contagiri arrampicarsi anziché schizzare verso la linea rossa.
Mai come in questo caso, numeri come lo 0-100 km/h (per la cronaca, bastano 4,6 secondi – alcuni sostengono 4,9 e altri 4,3 – ndr) e la velocità massima limitata elettronicamente a 250 orari sono totalmente superflui. Del resto un’auto sportiva non è un freddo strumento chirurgico con il quale aprire in due una strada, ma è quel tramite che ci permette di entrare in sintonia con essa, diventare parte di ciò che ci sta attorno e fare nostra un’esperienza di guida che nel giro di qualche anno temo potrà essere vissuta soltanto rivolgendosi a vetture non più a listino. Ecco perché la Bullitt gode di luce propria, arrivando sotto i riflettori degli appassionati come la statuetta celebrativa di una pellicola di 50 anni fa e pronta a regalare ancora mezzo secolo di gloria a quelle emozioni a cui non possiamo ancora rinunciare.
Un’altra curva con le gomme che cercano in ogni modo possibile di mordere l’asfalto adesso perfettamente asciutto e ruvido a tal punto da infondermi quella fiducia indispensabile per premere a fondo l’acceleratore e gettarmi a testa bassa dentro una sinfonia a stelle e strisce. La progressione è continua e quando entri nel regime di coppia massima attraversi quel confine che sul propulsore naturalmente aspirato apre uno scenario inesplorato, soprattutto se ti abitui a gestire i cambi marcia come faresti con un qualsiasi motore turbocompresso. Tieni l’ago del contagiri in alto e lei si fa nervosa, estremamente reattiva e di certo non intenzionata a renderti la vita facile, assordandoti quasi con il boato emesso mentre le gomme fumano in uscita dai tornanti, ma con uno sterzo morbido e pronto a indirizzare il muso nella direzione opposta, appena prima di gestire un accenno di effetto pendolo e alleggerire quindi la pressione sul gas. Quanto basta per poi aumentare i giri a caccia della tornata successiva.
Potrei continuare all’infinito, ma in questa maniera si arriva ben presto al fondo del serbatoio (e a fine vita delle gomme, ndr), del resto per rendersi conto di quanto sia speciale la nuova Bullitt basterebbe anche solo metterla in moto. Guidarla è un’esperienza ultradimensionale e non pensate che stia esagerando. Lo è perché ti trascina in un’altra epoca e non necessariamente nel 1968, ma in quella fatta di quei movimenti sempre più rari come innestare una marcia con un buon cambio manuale con frizione a pedale, o di un sovrasterzo controllato senza l’aiuto di millemila diavolerie elettroniche. E quando torni nel mondo reale e non vuoi far venire un infarto alla nonna ed altri eventuali passeggeri – ci sono pur sempre due posti dietro – puoi lasciare che la modalità Sport dia spazio al più insospettabile lato da gran turismo che appartiene a ogni Mustang da oltre 50 anni. Anche se nel caso della Bullitt, sarà davvero difficile resistere alle tentazioni e guidare sotto copertura.
La luce si fa più flebile, le ombre si allungano e il manto stradale torna a farsi insidioso come alle prime ore del mattino. Costantemente accompagnato dall’inconfondibile borbottio del suo 5-litri, lascio che il forsennato andirivieni odierno ceda la scena a qualche chilometro più rilassato, con il finestrino aperto quanto basta per lasciare entrare quel mondo esterno violato dalla prepotenza e arroganza della Mustang Bullitt. Con le pareti di roccia che rimbalzano un eco sempre più indistinto man mano che ci allontaniamo da un inseguimento che non avrà mai fine, quello a caccia di emozioni, di quelle vere, pure come lo sguardo innamorato di un bambino che ci indica mentre passiamo lentamente nella via principale di uno dei tanti paesi che ci riporta nel caos e nell’incertezza del 2020. La Ford Mustang Bullitt ci riporta indietro di 50 anni e ci fa tornare a casa consapevoli che per rendere il presente migliore non sia sempre necessario guardare avanti, ma piuttosto imparare dal passato. E in alcuni casi è anche molto più (Mister) cool.