CLIMB #02 | COL DE L’ISERAN
MASERATI QUATTROPORTE S Q4
BREATHE
Il nostro obiettivo è impostato sul Col de l’Iseran e nel giro di pochissimi minuti saremo nel cuore del gigante delle Alpi per eccellenza, quello che – carte alla mano – è il valico alpino più alto del vecchio continente.
Testo di Marco Mancino / Foto di S. Lomax
La discesa lungo il Piccolo San Bernardo è forse più panoramica dell’ascesa. Non appena muovi i primi metri in terra francese il paesaggio muta, lasciando che questa porzione non troppo imponente di montagne si insinui in maniera più rilassata rispetto al solito. C’è tanto verde, merito anche della piena stagione estiva, un traffico che per fortuna sparisce quasi del tutto con il calare della sera e una fresca aria frizzantina che costringe a indossare qualche capo pesante ogni volta che Steve reputa sia il caso effettuare qualche altra sosta per immortalare il momento con la sua macchina fotografica.
È in questo momento che il lato più sportivo del poliedrico carattere della Quattroporte lascia spazio a quello da grande e lussuosa berlina che nel divorare le lunghe distanze e ospitare persone e bagagli a bordo identifica quella innata capacità di unire l’utile al dilettevole, il necessario al divertente – questo perché ogni grandiosa strada non comincia necessariamente con la fine di un’altra. Superata La-Rosière e Sainte-Foy-Tarentaise, abbiamo quindi raggiunto le acque del Lac du Chevril, scurite da un sole ormai quasi completamente nascosto dietro al costone di roccia che sovrasta da lontano la meravigliosa Val-d’Isère. Svolta a ovest, percorrendo la diga sul lago e quindi ancora una manciata di chilometri prima di sistemare la Maserati nel posteggio dell’hotel che ci ospiterà per la notte, in quel di Tignes, rinomata località invernale dell’area.
Il mattino seguente, con il canto della sveglia che suona alle prime luci, ci godiamo un’abbondante colazione con vista mozzafiato sui picchi della Val Claret. Il cielo limpido permette ai raggi del sole di delineare ogni più piccola roccia di questo gruppo montagnoso che sembra messo lì al fine di elevare il fattore Instagram, con scatti da qualsiasi angolazione che non riescono però a rendere giustizia al senso di ampiezza offerto da un panorama simile. Nei prati circostanti ci sono marmotte che corrono da una tana all’altra e si respira un’aria incontaminata, il più profondo desiderio di inalare a pieni polmoni un luogo puro e quasi volutamente nascosto dietro un bivio che si defila dalla strada principale verso la quale ci imbarcheremo a breve, a caccia di tornanti e del modo migliore per solleticare lo spirito Gran Sport della Quattroporte in versione S Q4 e quindi spinta da un efficace 6 cilindri a V da 3-litri e 430 cavalli erogati su entrambi gli assi mediante due turbo e un cambio automatico a 8 rapporti.
Lasciamo l’accogliente culla di Tignes facendoci però catturare dalla vista incredibile che ci si para davanti agli occhi tornando in direzione del Lac du Chevril, con una catena montuosa che si estende a perdita d’occhio, cascate che precipitano dalle vette più alte per gettarsi nella limpida acqua del lago e un piccolo e tortuoso serpente d’asfalto che attraversa un piccolo ma unico angolo di Paradiso in terra. Fosse stato per me, avrei anche proseguito a piedi, così da custodire ogni singolo centimetro di questa enorme cartolina naturale, senza filtri e senza che la presenza dell’uomo abbia invaso eccessivamente la maestosa opera di madre natura, ma i cavalli scalpitano e la voglia di sentire di nuovo urlare il 6 cilindri modenese riesce a distogliere il mio sguardo e proiettarlo sul contagiri. La mano destra sposta la leva del cambio in modalità manuale, pigio il tasto Sport e faccio in modo che la musica che esce dalle due coppie di terminali di scarico invada l’abitacolo, lasciando che il panorama resti fuori dalla mente, quanto fuori dal finestrino.
In pochi minuti raggiungiamo Val-d’Isère e dopo aver abbeverato la sontuosa berlina italiana, attraversiamo il punto di assoluto riferimento della regione, che nonostante il largo anticipo rispetto al periodo clou della stagione (quello invernale) ricorda come le persone non possano rinunciare a quel senso di libertà che la montagna è in grado di offrire. Tra negozi di souvenirs, piccole botteghe con prodotti tipici, rivenditori di attrezzatura per arrampicata e articoli invernali, ci sentiamo già in vacanza, ma in realtà sappiamo che il bello deve ancora venire. Senza neppure accorgercene e dopo aver tenuto a bada i cavalli del V6 borbottante sotto al cofano, le costruzioni in legno si diradano completamente, la strada assume le sembianze di un piatto nastro d’asfalto che procede in linea retta verso quei momenti ancora più imponenti rispetto a quelli che ci hanno offerto un buongiorno dai toni fiabeschi. Il nostro obiettivo è impostato sul Col de l’Iseran e nel giro di pochissimi minuti saremo nel cuore del gigante delle Alpi per eccellenza, quello che – carte alla mano – è il valico alpino più alto del vecchio continente.
Senza se e senza ma, senza l’ingegnoso escamotage del Col de la Bonette, l’Iseran è una strada altrettanto impegnativa e che svela la propria natura quando la salita comincia a farsi più ripida. Qui la carreggiata diventa più stretta e in alcuni tratti impone la massima attenzione, anche a causa di possibili smottamenti che possono portare pietre in strada. La vegetazione cambia lentamente, ma nel momento in cui si dirada, lo fa in maniera brusca, passando da una curva contornata dal prato verde a tornanti appesi su una nuda parete di roccia. Nonostante un peso di oltre 1.900 kg, la Quattroporte approfitta di una coppia massima di 580 Nm disponibile poco sopra i 2.000 giri, permettendo di limitare l’utilizzo dei fantastici paddle al volante, perlomeno nel momento in cui si predilige una guida più rilassata. Certe curve sono però disegnate per essere pizzicate e l’enorme presa degli pneumatici consente di sollecitare l’altrettanto generoso impianto frenante impostando inserimenti che confermano una dinamica sempre prevedibile e un corpo vettura che non si scompone nemmeno quando il fondo stradale non è più in perfette condizioni.
Il V6 grida, poi aumenta ancora il volume e lascia che il suo latrato dai toni bassi si trasformi e assuma note più acute e graffianti che fanno ovviamente storcere il naso ad alcuni ciclisti, quelli che vedono il motore a scoppio come l’invenzione peggiore di quella bestia chiamata uomo. La differenza tra due e quattro ruote si conferma ancora una volta in nostro favore quando lungo gli ultimi chilometri, alcuni motociclisti sopravanzati poco prima a un’andatura a dir poco allegra, accostano e danno strada, sventolando bandiera bianca di fronte alla superiorità meccanica della nostra Maserati. A prescindere dalla stagione, ci avviciniamo ai 2.764 metri d’altezza sotto uno splendente sole che, nonostante il vento insistente, ha la meglio sulle poche nuvole sopra le nostre teste. Le pareti rocciose a lato si alternano a tratti dove il minimo errore costerebbe un tuffo nel vuoto di chissà quanti metri e ancora una volta il sistema di trazione integrale dimostra la propria efficacia quando noncuranti dei residui di pietra sgretolata a bordo strada, continuiamo a tenere giù il pedale del gas, in un costante tira e molla tra un tornate e l’altro. E poi la vetta.
Giurerei di essere appena entrato realmente in sintonia con questa strada, ma in realtà da Val-d’Isère a qui ho guidato per appena 16 chilometri. Sono stati attimi che si metabolizzano poco alla volta, dove ogni curva è differente rispetto a quella prima e nella tua mente già non vedi l’ora di affrontarla di nuovo, con ancora più grinta e con la consapevolezza di segnare un’altra conquista sul tuo personale registro. Poi, all’improvviso, l’incessante salita che ha preteso un elevato tributo a base di benzina si apre su un ampio slargo e ben presto distingui numerose altre auto, moto e biciclette, per la maggior parte rigorosamente concentrate nell’avvicinarsi al segnale che conferma che hai raggiunto la cima. Finalmente ti trovi sul tetto d’Europa. Quella dell’Iseran non è una vetta come tutte le altre però, non c’è solo un cartello tempestato di adesivi colorati, ma un grande parcheggio che offre la possibilità di salire ancora verso il cielo, ovviamente a piedi, il rifugio l’Echoppe de l’Iseran e una pittoresca cappelletta in pietra.
Il vento soffia fortissimo e l’aria è più pungente che mai, non importa se siamo nel bel mezzo del mese di Luglio. Mentre i numerosi ciclisti si concedono il tanto agognato scatto davanti alle pietre segnaletiche che confermano di aver raggiunto il valico più alto d’Europa, approfitto per allontanarmi dalla Quattroporte e osservare questa magnifica immagine da una visuale più ampia. Una vettura grandiosa la si percepisce una volta seduti al volante, ma soprattutto catapultandola in un contesto simile, non certo facendo il girotondo in una piazza del centro città. Attimi come questi sono quelli che contribuiscono nel creare i ricordi più belli di esperienze che questo assurdo 2020 ha reso ancora più difficili da vivere, ecco perché voglio starmene solo per un momento e processare con mente sgombra e cuore aperto uno dei giorni più appaganti della mia vita. Osservare un team eccellente e sempre pronto ad elevare il livello qualitativo che intendiamo mettere in gioco per farvi sentire qui accanto a noi, proprio come un prodotto Made in Italy che anche con il motore spento continua a suscitare le medesime emozioni, messo là, esattamente dove settimane prima avevamo proiettato questa stessa immagine, resa ancora più speciale da tutto ciò che non puoi programmare, ovvero la spontaneità dei momenti vissuti con i migliori colleghi che potresti mai desiderare.
Fotografie, il miglior modo per conservare intatto un fugace attimo di vita. E di fotografie amiamo averne a tonnellate, vero Steve? Detto questo e dopo aver scoperto che Alex raccoglie una pietra per ogni passo di montagna sul quale guida, trovo finalmente riparo nell’abitacolo della Quattroporte, tripudio di pelle e fibra di carbonio, stavolta sul sedile del passeggero, dividendo l’onere e l’onore proprio con lui, che di spedizioni alpine ne sa parecchio. Il versante sud del Col de l’Iseran è la conferma che strade di questo tipo sono estremamente mutevoli e infatti, dopo appena un paio di curve, non solo offre uno sfondo reso ancora più ampio dal fatto di trovarsi in alto e osservare giù verso la vallata, ma presenta una strada percorribile a velocità ben più sostenute, senza però dimenticare che siamo a quasi tremila metri di altezza, senza protezioni a lato e con un asfalto che in alcuni punti è in condizioni precarie, non solo per la presenza di terriccio, ma per rattoppi approssimativi che mettono alle strette l’assetto sportivo della Maserati.
Giù come dei siluri, con le quasi due tonnellate che aumentano a dismisura la sensazione di panico che ti pervade quando non sei tu a trovarti dal lato guida di un’auto lanciata in modalità kamikaze verso una curva che avresti affrontato alla metà della velocità, giusto per non sembrare un poppante. Dopo qualche chilometro, gli infaticabili freni cominciano a soffiare e poi a fischiare prepotentemente quando i tornanti richiedono di diminuire drasticamente l’andatura. Nemmeno il tempo di pensare a cosa scrivere sulle Insta-stories, che la Quattroporte mi conferma che avrei potuto osare ancora di più, e non poco. È incredibile come nel massimo comfort di una poltrona in pelle riscaldata e in grado di mantenermi saldo indipendentemente dall’andatura, riesca allo stesso tempo a godermi nella loro pienezza i cavalli erogati dal twin-turbo modenese e messi a terra con precisione da una trazione integrale che non si rivela soltanto provvidenziale quando il fondo stradale lascia a desiderare, ma anche quando il conducente ha dimenticato le buone maniere.
Gli ultimi gloriosi chilometri spettano ancora a me, uno sguardo d’intesa tra colleghi e la gioia simile a quella di un bimbo che scarta i suoi regali la mattina di Natale – ho riconquistato il Tridente e mentre decido di alleggerire la pressione sui freni e sul cambio, mi rendo però conto che questa fantastica signora su ruote avrebbe continuato imperterrita a divorare tornanti, senza apparenti segni di fading. Superiamo Bonneval-sur-Arc, location in cui sono state girate molte delle riprese del film “Belle & Sebastien” del 2013 (a discapito dell’effettiva ambientazione sui Pirenei, ndr), per poi godermi un piccolo bonus lungo un Colle del Moncenisio praticamente deserto e baciato da un tramonto che ha coronato una giornata perfetta e nella quale – tra tirate al limitatore, attimi più rilassati e pranzo al sacco in alta quota – non avrei desiderato altra vettura all’infuori di lei, la stessa nobile dama che dopo due intere giornate di guida su strade di montagna mi culla con cruise control e playlist soft-rock anni 60, sfruttando la totale insonorizzazione dell’abitacolo sulla tratta autostradale che divide la nostra conquista alpina dal cortile di casa.