Ogni avventura che valga la pena essere raccontata ha bisogno di un pizzico di follia. Tornare nelle selvagge terre di Rocca La Meja, dopo quanto accaduto meno di un anno fa, richiede un forte sforzo nello spingere i propri limiti oltre il buonsenso e l’istinto. L’abbiamo fatto con la Ford più agguerrita di tutte, il Ranger Raptor.
FORD RANGER RAPTOR
Testo Alessandro Marrone / Foto Bruno Serra
Sono tornato. A meno di un anno di distanza, il richiamo di quel monte inavvicinabile è divenuto forte a tal punto da avere la meglio su ogni cautela presa da quell’assurdo giorno in cui abbiamo sfiorato la tragedia (vedi Auto Class Magazine #94). Da quel momento sono cambiate tante cose, in particolar modo la mia percezione del pericolo, imparando una volta per tutte che l’alta montagna esige rispetto e che dopo averti dato una severa lezione, la volta seguente potrebbe essere molto meno comprensiva. Decido di giocare d’anticipo e non attendere la fine dell’estate, preferendo una calda mattina di metà luglio. In redazione ci prepariamo come se la nostra debba essere una spedizione sul tetto del mondo, là dove la natura più selvaggia può celare insidie a ogni angolo, anche se il sole splende alto nel cielo e anche se c’è l’eventualità di condividere con qualche escursionista il medesimo sentiero che si inerpica oltre il Colle Fauniera, in direzione di Rocca La Meja.
Nonostante le molte precauzioni e raccomandazioni non sono in grado di coinvolgere i medesimi compagni di viaggio, i quali preferiscono restare in ufficio all’ombra del climatizzatore e lasciare a me e Bruno il compito di mettere la nostra bandierina ben oltre i 2.000 metri, in quelle che vengono comunemente conosciute come le Dolomiti Piemontesi. La particolarità di questa zona montuosa della Val Maira è infatti una conformazione di pietra quasi completamente spoglia che si estende per una cresta appuntita e sparpagliata al di sopra di un tortuoso sentiero sterrato che parte poco sotto la vetta del Colle Fauniera. La cima del monte è situata a 2.800 metri circa e questa volta intendiamo arrivare fin dove quattro ruote, coraggio e tenacia potranno portarci.
La scelta della vettura si fa quindi un fattore di fondamentale importanza, soprattutto tenendo conto che mi trovo più a mio agio su asfalto che su terra. Ecco perché ho deciso di esagerare, fare le cose in grande e cogliere l’occasione per celebrare il restyling del Ford Ranger Raptor, ormai pronto a dare il benvenuto ad un modello completamente nuovo e che essendo realizzato in collaborazione con Volkswagen porterà un passo avanti dal punto di vista tecnologico, ma al contempo rischia di perdere un po’ di quel sapore Yankee al quale un Raptor non può rinunciare. Basato quindi sul Pick-Up Ranger, la versione Raptor non è un semplice allestimento, ma un veicolo che gode di vita propria. Se questi 4X4 sono infatti prevalentemente pensati come mezzi da lavoro, il Raptor rappresenta l’estremo di ogni concetto di divertimento, puntando ad una clientela che lo identifica come lo strumento definitivo per entrare in completa sintonia con la natura più incontaminata.
È un gigante lungo 5,3 metri, largo 2 e alto 1,9, ma grazie al pacchetto estetico che porta con sé sembra anche più grande. Ne sono un esempio le vistose pedane laterali rinforzate, le quali offrono un fondamentale appoggio per salire e scendere, dato che il sedile è posizionato a ben 87 centimetri da terra. Ci sono cerchi da 17 pollici che montano pneumatici tassellati e un assetto più alto del 30% rispetto a quello di un Ranger standard, per un’escursione di 28 centimetri da terra. Alle sospensioni Fox ed allo sviluppo del Team Performance di Ford il compito di rendere questo colosso da oltre 2,3 tonnellate agile su strada e soprattutto fuori da strade convenzionali. Come? Spuntando tutte le caselline utili per renderlo inarrestabile e ficcando tutto sotto la muscolosa carrozzeria con decals Raptor del nostro esemplare in prova.
Raggiungo Demonte di primo mattino e prendo la fatidica svolta a destra in direzione del Vallone dell’Arma. Non c’è il minimo ripensamento, ma man mano che la strada si fa più stretta e attraverso i piccoli borghi di Trinità e San Giacomo, le immagini della medesima strada tornano alla mente insieme ai drammatici momenti vissuti lo scorso anno, quando siamo stati sorpresi da una bufera di neve che ci ha bloccato per ore nel bel mezzo del nulla. Volgo lo sguardo verso l’alto e un cielo azzurro mi rassicura, promettendo una giornata di rivincita, potendo finalmente scoprire cosa c’è in quei prati che ricordo completamente sepolti da un soffice quanto letale manto di neve. I primi chilometri asfaltati mostrano la presenza di qualche turista giunto qui per sfuggire al caldo soffocante di queste ultime settimane, ma ben presto la presenza di auto, biciclette e moto si azzera quasi del tutto, lasciandomi procedere verso le cime rocciose che solleticano le poche nuvole sopra di noi nel relax più totale.
Il Raptor può essere guidato con la sola trazione posteriore, oppure ingaggiando la trazione integrale (4H) o le marce ridotte (4L), ma consente anche di bloccare il differenziale posteriore e ricorrere alle svariate modalità per ogni tipo di terreno tramite il display centrale. Anche per un guidatore meno esperto, la meccanica al servizio è veramente efficace in qualsiasi circostanza e il cambio automatico a 10 rapporti cerca in tutti i modi di limitare i consumi nei tratti autostradali, risultando preciso nelle B-roads ed efficace su sterrato. Giungo a un primo tornante, poi un secondo e l’aria cambia improvvisamente. Il sole continua a splendere sopra la mia testa, ma una leggera brezza che sembra provenire da Ovest ricorda che la valle si fa sempre più distante. Ecco il Rifugio Carbonetto, l’ultimo baluardo di civiltà, verrebbe da dire. La scritta “fromage” invita per una sosta, ma è tardi per la colazione e troppo presto per il pranzo, così ci si ferma giusto il tempo necessario per qualche foto e ci si rimette in marcia senza troppi indugi.
Riconosco quell’asfalto che l’anno scorso ha giocato a nascondino sotto un sottile strato di neve divenuto ghiaccio nel giro di pochi, pochissimi secondi. E poi, quasi all’improvviso, ecco quel piccolo capanno di metallo che ci ha fornito riparo nel momento più concitato della bufera di neve, in attesa dei soccorsi. Vederlo in mezzo a un prato verde, oltre un piccolo rigagnolo di cui ignoravo l’esistenza fa una certa impressione. Fermo il Raptor in mezzo alla stretta strada, accanto ad un pascolo di caprette di montagna che ruminano l’erba e lo fisso per qualche attimo, ripercorrendo nella mente scene degne di un film, ma che in realtà sono ricordi fin troppo nitidi. Avanti, non siamo neppure a metà strada. Un’altra curva ed ecco che di fronte ai miei occhi si staglia quel tratto rettilineo dove tutto ebbe inizio. Lo esorcizzo accostando il Pick-Up, scendendo e camminando avanti e indietro, scrutando il terreno, le montagne più vicine e anche quelle più lontane. Anche stavolta non un solo rumore se non il leggero fruscio del vento e il suono dei campanacci di qualche mucca al pascolo.
Da qui in poi è tutto inesplorato e anche se i chilometri immediatamente successivi sono perfettamente asfaltati, si attorcigliano ben presto raggiungendo una quota piuttosto importante che ci porta al bivio del Colle Valcavera. Proseguendo lungo la strada asfaltata si raggiunge il Colle Fauniera, svoltando a sinistra si punta il proprio radar in direzione di Rocca La Meja. Siamo qui per questo. Appena qualche metro dopo la strada si trasforma in un sentiero sterrato. Non ci sono pietre particolarmente aguzze, ma lo spazio è poco e il Raptor è molto ingombrante, a tal punto da preferire un check preventivo prima di affrontare un paio di passaggi più impegnativi del previsto. Siamo esattamente sopra la Gias Bandia, la valle disabitata ai piedi della Rocca, ma da un versante che ancora non ci consente di esclamare missione compiuta. Superiamo le vecchie casermette, dove troviamo il secondo veicolo militare, probabilmente qui per tenere sotto controllo possibili urgenze e le sempre imprevedibili condizioni meteorologiche.
Le soste a bordo del sentiero si fanno frequenti anche perché il traffico è inesistente. Da quando la strada è diventata sterrata abbiamo superato appena tre ciclisti e un paio di escursionisti a piedi, equipaggiati di tende e tutto l’occorrente per trascorrere la notte ai piedi della Rocca. Il Raptor non accenna la minima esitazione, complici anche gli speciali pneumatici All Terrain che offrono grip su qualsiasi tipo di superficie e non temono forature come farebbero coperture più tradizionali. In modalità automatica, il cambio gestisce i 10 rapporti in maniera semplicemente egregia, lasciandomi concentrare soltanto sullo sterzo e sulle generose dimensioni del Pick-Up, probabilmente l’unico aspetto che penalizza una marcia ancora più rilassata nello specifico caso di questa strada. L’escursione delle sospensioni Fox è ampia a tal punto che alle volte sembra che non ci si poggi più su una superficie piana, ma è questione di abitudine e ciò consente di percorrere in scioltezza anche una serie di dossi forse creati per far defluire al meglio le forti piogge.
Questo luogo ha qualcosa di unico. Credo che conservi qualcosa che soltanto le vette più vicine al cielo possono avere. È come se prendesse un pezzo di te e lo custodisse insieme a tutte quelle di coloro che sono giunti qui e hanno ammirato le sue appuntite cime rocciose. Rocca La Meja è proprio lì davanti ed è esattamente come l’ho ammirata sulle molte foto trovate in rete, soltanto che è ancora più maestosa. Silenziosa e impassibile, si erge nel mezzo della valle sovrastando ogni cosa e rendendomi incredibilmente piccolo al suo cospetto. Abbiamo perso la cognizione del tempo, l’arrampicata qui è come se fosse durata un anno intero e nonostante il motore sia spento e io sia in piena contemplazione in piedi sul cassone – rivestito e copribile grazie ad un coperchio ritraibile – sento già l’irrefrenabile desiderio di voler tornare. Appena qualche secondo dopo, il soffitto celeste si incupisce, l’aria diventa fredda, il vento aumenta e cominciano a cadere delle gocce di pioggia.
Appena il tempo di mettersi al riparo nell’abitacolo e sembra che il cielo stia riversando gli oceani sopra di noi. La strada potrebbe diventare un pantano impossibile da percorrere anche per il Raptor e la visibilità è azzerata dalla violenza con cui l’acqua investe il parabrezza. Un attimo di tregua, forse una nuvola che si scansa per il forte vento. Decidiamo così di seguire una camionetta dell’esercito che sembra dirigersi verso il Rifugio, in attesa che il meteo migliori. Dobbiamo ancora manovrare e l’acquazzone torna a rendere La Meja come uno dei luoghi più imprevedibili che abbia mai affrontato. Non c’è più traccia dei militari, ma la strada del ritorno è una soltanto. Non possiamo sbagliare, anzi non dobbiamo. Ancora memori di quanto accaduto l’anno scorso, tengo un’andatura più sostenuta rispetto all’andata, in maniera da non rischiare di fermare le ruote in una pozza di fango che precluderebbe una marcia avanti priva di intoppi. Nessuna incertezza e quando la pendenza raggiunge livelli di inclinazione insidiosi, basta inserire le ridotte e il 4X4 dimostra che abbiamo a che fare con qualcosa di davvero inarrestabile.
Sul fatto che il Ranger Raptor sarebbe stato il veicolo ideale per la spedizione non avevo dubbi, ma non avrei mai immaginato che sarei stato in grado di instaurare un rapporto tale con un oggetto che in fin dei conti è ciò di più distante possibile rispetto alle canoniche auto sportive che passano in redazione. Come dicevamo prima, i Pick-Up sono mezzi convenzionalmente concepiti per un utilizzo lavorativo: caricare oggetti grossi, pesanti e magari anche polverosi. Il Raptor non rinuncia a niente di tutto ciò, ma sfrutta la natura robusta del 4X4 di partenza per ricordare che se volete raggiungere un monte, c’è un modo più divertente ed efficace rispetto a quello degli SUV. Il modello in questione, pensato per il mercato europeo, è equipaggiato con un 4 cilindri in linea biturbo diesel da 2-litri. No, non bisogna pensare che sia un’eresia, perché in realtà è un propulsore maledettamente elastico e che seppure disponga di appena 213 cavalli di potenza, scarica una coppia di 500 Nm a soli 1.750 giri, che per tutti quelli che masticano un po’ di off-road significa “uscire dai guai con le buone o le cattive”.
Ecco perché non importa parlare di prestazioni, ingombri, consumo (comunque accettabile a 7,7 l/100 km), ma il discorso si riduce alla versatilità e al divertimento che questo Ranger allestito da guerra mette a disposizione. Ammetto che alcuni “dietro le quinte” hanno dimostrato che manovrare oltre 5 metri di Pick-Up con lo strapiombo da entrambi i lati del sentiero non sia una situazione in cui vorrei trovarmi domani per andare a pranzo, ma quei brividi che ti salgono lungo la schiena una volta che questi paesaggi sono lo sfondo della giornata ti restano così impressi che non vedi l’ora di assaporare quell’adrenalina che se ne infischia di velocità e tempi sul giro, ma ruota attorno allo spirito di esplorazione e avventura che soltanto la montagna può offrire. Se si tratta di Rocca La Meja, assicuratevi quindi di sfidarla con l’attrezzo giusto.
FORD RANGER RAPTOR
Motore 4 cilindri in linea Twin-TurboDiesel, 1.997 cc
Potenza 213 hp @ 3.750 rpm Coppia 500 Nm @1.750 rpm
Trazione Integrale Trasmissione Cambio Automatico a 10 Rapporti Peso 2.342 kg
0-100 km/h 10,5 sec Velocità massima 175 km/h Prezzo da€77.229