A cura di Carlo Brema
L’immaginario collettivo sembra aver scritto una regola secondo la quale una supersportiva debba essere bassa, larga e magari anche italiana. Secondo il medesimo quanto fittizio manuale, un’auto sportiva assume tinte differenti, risultando di certo più sfruttabile nell’utilizzo quotidiano, eppure indirizzata verso quei weekend che profumano di strade secondarie, lontane dal traffico e vicine al cuore pulsante di un’auto inglese. Già, perché oltremanica hanno sempre saputo come colpire nel segno, realizzando vetture esteticamente straordinarie e ricche di un fascino intramontabile che spesso ha perdurato nei decenni senza mai sentire il bisogno di seguire le mode. Al contempo capaci di scrivere pagine di vita quotidiana, le sportive inglesi hanno sempre fatto la voce grossa in pista e in qualsiasi competizione stradale che possa venire in mente. Alcune di esse sono state consacrate alla storia, assumendo il titolo di icone, altre hanno avuto meno fortuna. Queste cinque meravigliose sportive inglesi sono probabilmente alcuni tra i grandiosi modelli ingiustamente dimenticati di tutti i tempi. È tempo di spolverare lo scaffale dei ricordi.
VIXEN GT (1962) [Foto: Volmeyer]
Ok, se questa vi suona nuova possiamo anche perdonarvi. Del resto, la Vixen GT è un esemplare unico realizzato dall’ex pilota inglese Ian Stronach agli inizi degli anni 60, probabilmente nel ’62. Un vezzo, che diede vita alla prima sportiva con motore posteriore centrale e anche la prima ad utilizzare uno spoiler posteriore integrato. Fantascienza? No, la visione di un appassionato che di performance se ne intende e così prende vita una GT dalle dimensioni contenute, un peso di appena 880 kg e una guidabilità strabiliante. Stronach sperava di equipaggiare la sua Vixen con un 3.5 V8 di derivazione GM, ma dovette accontentarsi di un 4 cilindri Ford 1.6 con compressore e una potenza finale di 160 cavalli, che erano comunque abbastanza per muoverla con estrema agilità (durante la fase di recente restauro, fu però finalmente equipaggiata con un V8 Buick). La Vixen GT è stata disegnata interamente a mano, realizzata secondo le più specifiche esigenze del suo creatore, tuttavia riesce ad avere un look fuori dal tempo, fatto di soluzioni avanguardistiche, linee morbide e un abitacolo privato di ogni comfort. Il destino la fece sparire dai radar fino al 2012, quando un collezionista belga – Didier van der Linden – la trovò abbandonata in un fienile e con un meticoloso restauro ha dato nuova vita ad una sportiva sconosciuta quanto grandiosa.
LISTER STORM (1993)
Quando si dice che più estrema non si può, alcuni pensano subito alla Lister Storm, supersportiva da competizione omologata per uso stradale e prodotta in soli 4 esemplari. Larga, spigolosa da far male e rasente al suolo, la Storm è spinta da un V12 Jaguar da 7-litri, 546 cv e 790 Nm di coppia, basato proprio su quello della Jaguar XJR-12 Le Mans. Niente ABS e controllo trazione da corsa, ma per tenerla incollata a terra c’è un pianale che produce un effetto suolo che consente percorrenze analoghe a quelle sfruttate nelle corse. Trazione posteriore e motore posizionato all’anteriore. Se questa non è una tra le più spaventose supersportive britanniche, meglio chiuderla qui.
SPECTRE R42 (1995-1998)
Ognuno ha i propri idoli e quello della Spectre era la Ford GT40. Non stiamo esagerando, dato che la R42 era la visione modernizzata della sportiva americana secondo Ray Christopher, noto per la produzione di fedeli repliche. R42 non nasconde il tributo all’icona a stelle e strisce, dove la R sta per Ray e 42 è l’altezza in pollici della GT40. Attingendo anche da altri mostri sacri dell’epoca, tra cui Lamborghini, Jaguar e Ferrari, la Spectre riprendeva le proporzioni della Ford e le declinava in chiave moderna, promettendo di essere la prossima grande supercar inglese. Corpo vettura in fibra di vetro, telaio in alluminio e un peso contenuto sulla tonnellata e mezzo erano un ottimo punto di partenza, come il motore, un Ford V8 da 4.6-litri che generava 350 cv e 430 Nm di coppia, per uno 0-100 km/h in appena 4 secondi e mezzo e una velocità massima di 282 orari. Cambio manuale a 5 rapporti, oppure l’opzionale a 6 marce; insomma la R42 era pronta a far impazzire il mondo intero. Qualcosa andò però storto e le ambizioni che la immaginavano tagliare il traguardo alla 24 ore di Le Mans finirono in pezzi quando per mancanza di investitori, la Spectre dovette accontentarsi di componenti dozzinali e fermare la produzione ad appena 23 esemplari. Un vero peccato e l’ennesima situazione in cui ci si trova a pensare a come sarebbe potuto essere il panorama automotive con un altro grande nome a brillare nell’Olimpo delle supercars, anziché nel dimenticatoio.
BRISTOL FIGHTER (2004-2011)
Il nome Bristol potrebbe non suonare del tutto sconosciuto, ma pochi sanno quanto la Fighter tenga fede al proprio nome bellicoso. Fondata nel 1947, produsse vetture eleganti e lussuose nell’immediato dopoguerra, ampliando la propria offerta a coupé e cabrio che condividevano una linea sempre molto personale. Nel 2004 arriva la Fighter, una coupé con portiere ad ala di gabbiano, un grosso cristallo al posteriore e una linea che la catalogava come GT. Le prestazioni erano però quelle di una supercar e il merito era del poderoso V10 da 8-litri della Viper modificato dalla Bristol e capace di produrre 525 cv e 698 Nm di coppia, che diventavano 628 nella versione S e addirittura 1.012 nella sovralimentata T, un missile con sembianze da GT con forte inclinazione stilistica anni 60, per cui Bristol garantiva una top speed di 430 km/h. La Fighter, nonostante dimensioni non certo contenute e un gigantesco motore americano, pesava 1.600 kg ed era equipaggiata con cambio manuale a 6 rapporti o automatico a 4. Trazione ovviamente al posteriore. Nella versione “standard” bruciava lo 0-100 in appena 4 secondi e raggiungeva i 340 orari. Un peccato dimenticarsela.
GARDNER DOUGLAS T70 (bei tempi andati)
Chiudiamo in bellezza con qualcosa che incarna la quintessenza del motorismo britannico, ovvero la totale devozione verso il mondo delle corse. Parliamo della Gardner Douglas T70, che teniamo a specificare non essere una semplice replica della mitica Lola T70 dei favolosi anni 60. Sì, perché sotto un corpo vettura in vetroresina e un telaio in tubi d’acciaio si cela una tra le kit car più assurde che possiate regalarvi, già montata, oppure pronta per essere recapitata sottoforma di Lego a dimensione naturale, con la differenza che questa urla e sgomma. Appena 800 kg di peso e un V8 Chevy da 5.7 cc, il quale in versione base scarica a terra 430 cavalli, ma che può raggiungere i 500, o addirittura 600 e 700 cavalli di potenza massima. Follia e poesia. Ciò che viene mantenuto intatto è il brivido che ti pervade il corpo nell’attimo in cui un oggetto ultraleggero con una potenza e una reattività simile è capace di trasmettere, su pista ma anche su strada, dato che la replica T70 è anche provvista di targa e assicurazione per circolare regolarmente su strada. Sì, perché non si sa mai, magari è il momento di tornare a guidare sul serio e queste cinque sanno esattamente cosa occorre per rinfrescare la memoria.