Testo di Marco Mancino
Ci sono automobili con le quali ne avete passate tante e poi c’è quell’auto con cui avete vissuto momenti indimenticabili. Non è necessariamente il primo amore, ma quello più intenso. Tanto da farsi perdonare qualche periodo di troppo trascorso in officina. Il fatto è che quando c’eri sopra e con i capelli al vento le avresti potuto perdonare qualsiasi cosa. Per me è stata la mia Saab 9-3 Aero Convertible, un esemplare del 2009 giallo che più giallo non si poteva.
Erano anni così apparentemente distanti, eppure così anagraficamente vicini. Tutto era diverso, niente social media e quei cellulari che erano in grado di scattare fotografie, lo facevano così male che non ci avresti neppure provato. Per immortalare un viaggio fuoriporta avresti dovuto portare con te la cara vecchia macchina fotografica – perché no – magari ancora con il rullino. Del resto anche le confezioni Kodak erano gialle, esattamente come il bomber che tanto adoravo e che si fondeva nella carrozzeria dell’auto quando spalancavo il tetto e puntavo verso le montagne anche in pieno inverno. Stryper o Kiss a tutto volume e per me la vita era bella, maledettamente bella.
Lei poi, la Saab, faceva proprio quello che occorreva per rendere un weekend fuori porta qualcosa che si sarebbe insinuato nella mia testa per tutta la settimana lavorativa, facendomi contare i giorni e le ore affinché potessi di nuovo saltare a bordo e partire per una nuova destinazione. E dico “saltare a bordo” proprio perché più di ogni volta ho voluto impressionare gli amici più pigri letteralmente lanciandomi in abitacolo, una sorta di Dukes of Hazzard della tangenziale ovest. La 9-3, appena aggiornata, aveva poi una linea fresca, soluzioni all’avanguardia che fanno rimpiangere la scomparsa del marchio svedese e un potente V6 da 2.8-litri e la bellezza di 255 cavalli. Non era propriamente un razzo a causa di un peso complessivo piuttosto importante, ma era comunque capace di strapparti un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Le piaceva bere, oh quanto le piaceva. Quando pestavi sul gas con più decisione sembrava quasi che volesse prosciugare tutti i distributori che incontravi, ma è anche vero che ne valeva la pena. Cambio rigorosamente manuale, braccio sinistro che restava a penzoloni soltanto nei momenti di guida più rilassata e stereo che avrebbe dovuto aumentare il volume in maniera direttamente proporzionale alla lancetta del contagiri che saliva verso la linea rossa. La mia Saab gialla, non la dimenticherò mai.
Ogni volta che ci penso – e questo capita davvero spesso – è inevitabile che mi passi davanti agli occhi quella sera in cui una vecchia Alfa 145 perse il controllo e andò a sbattere proprio contro la mia 9-3 parcheggiata di fronte al bar di un caro amico. Per fortuna i danni non erano irreparabili e dopo qualche settimana tornò in garage come se nulla fosse accaduto. L’unica vera pecca era la trazione anteriore, ovvero il motivo per cui il divertimento alla guida aveva come un limite meccanico imposto. Più andavi forte e più ti rendevi conto che il sottosterzo e l’incapacità di gestire al meglio la trazione nelle curve più strette faceva preferire un’andatura più rilassata, come molti conferirebbero ad una cabrio, soprattutto se comoda e ben rifinita come la 9-3.
Quando la penso mi scende una lacrimuccia perché avrei dovuto fare di tutto per farla restare con me. Purtroppo apprezziamo a fondo le cose soltanto quando non le abbiamo più e questo ne è l’ennesimo esempio. L’ho venduta per pochi soldi, soltanto per far spazio in garage a un’auto che in tanti anni di convivenza, non mi ha mai regalato un briciolo delle emozioni vissute al volante della Aero, nonostante la netta superiorità sotto ogni singolo aspetto (sto parlando di una Porsche Cayenne GTS). Inutile dire che ne abbia pure perso le tracce. Ma la speranza è dura a morire e quando perdo la cognizione del tempo navigando su internet alla ricerca di un nuovo-vecchio acquisto, continuo a cercarla nella speranza che un giorno salti fuori e possa finalmente tornare da me.