Il Restauro Della Mia Indy
Il mio amore per le Maserati ha radici molto profondo, nate verso la metà degli anni 80. Crescere in un luogo come Modena ha sicuramente facilitato le cose e l’azienda era praticamente un punto di riferimento assoluto: per dare indicazioni si diceva addirittura “alla rotonda di Maserati”, o “al ponte Maserati”, e per rendere meglio alcuni concetti dicevamo “corre come una Maserati” o “è bella quanto una Maserati”.
Maserati mi ha davvero segnato, sin dalla tenera età. Ricordo che vedevo scorrazzare delle Biturbo o delle Quattroporte III serie e la Ghibli blu di un nostro vicino: una visione di assoluta bellezza che mi lasciava ogni volta senza fiato. Un caro amico di famiglia aveva una vettura piuttosto antica, sembrava così grande all’epoca. Un giorno mio padre decise che era giunto il momento di sostituire l’auto di famiglia ed io non aspettai un secondo, doveva essere una Quattroporte IV. Ero così vicino ad esaudire il mio desidero, ma il destino si mise in mezzo ed il mio appuntamento con il Tridente fu rimandato: la scelta cadde su Mercedes, che nonostante fossero più noiose, avevano di sicuro una migliore reputazione in quanto ad affidabilità. Andò così, dovetti aspettare ancora qualche anno.
Sono cresciuto in mezzo alle vetture classiche, Fiat soprattutto, Alfa Romeo e Rolls degli anni 70, che adoro nelle loro versioni a due porte. Mi mancava qualcosa però. La Rolls coupé era davvero incredibile, un pezzo di ingegneria unico, ma seduto dentro sentivo che mi mancava quella passione per il design, quel lato umano. Era bella, ma una bellezza asettica. I tempi erano buoni per capire finalmente se i sogni d’infanzia fossero ancora lì. All’epoca non sapevo molto sulle Maserati, eccetto le Biturbo che erano nettamente più comuni. La mia prima scelta ricadde su una Sebring Seconda serie, argento con interni blu, ma non potevo permettermela. Provai così a trattare il prezzo di una Quattroporte del ’67, ma dopo una lunga negoziazione il venditore decise che per una manciata di migliaia di Euro, sarebbe dovuta restare anch’essa fuori dalla mia portata. Così decisi che era giunto il momento di fare qualcosa ed una volta vendute le mie Rolls, puntai una Mexico 4.7, l’ultima consegnata. La storia dietro a questa vettura era incredibilmente affascinante, niente di simile sarebbe potuto accadere al proprietario di una Rolls. Ho così capito che non sei tu a comprare una Maserati, ma che è la Maserati che ti sceglie, quando il momento è giusto. Guardando attentamente dentro di essa, puoi quasi sentire e rivivere il suo passato, cominciando dal tachimetro che segnava 32.000 km, probabilmente percorsi tra Terni e Roma, prima della morte del suo primo gentleman driver. Dopodiché fu così che il tempo e la solitudine la tennero ferma per qualche tempo e questo mi spinse ad un restauro molto impegnativo; ricordo ancora il dolore di vederle rimuovere il motore. Ma ovviamente tutto questo ebbe un felice epilogo, quando la vetture fu poi pronta ad essere messa nuovamente in moto. Il mio primo viaggio fu verso Acquasparta, la sua prima vera casa, dove ho potuto assaporare il rombo del suo V8, la migliore ricompensa che potessi mai desiderare.
Come la mia Iso Rivolta aveva bisogno della Lele, la Mexico doveva condividere il garage con … una Indy, e così ho cercato un buon esemplare ma non era affatto facile. Alcune erano decisamente care, altre di difficile restauro, tanto che fui quasi scoraggiato. Ma non sono un tipo che si arrende facilmente e così, attraverso siti online, riviste e social network, l’ho praticamente fatto diventare un hobby. La Indy doveva essere là da qualche parte, sapevo che mi stava aspettando, forse non aveva fretta però!
Poi un amico che stava cercando alcuni pezzi di ricambio mi chiese aiuto e cercammo su un sito di annunci. Doveva essere il mio giorno fortunato, dato che c’era una Indy inserzionata, soltanto a pochi km da casa mia. La mia prima visita fu indescrivibile, e la bellezza della Indy sparì per un attimo, poiché era posteggiata in mezzo alle auto dei miei sogni: Miura, 275GTB, 288 GTO, Countach, tutte insieme. Aspetta un momento, dove mi trovo? Era tutto così strano, sembrava di essere nel paese dei balocchi. Una coperta verde nascondeva la Indy, ma la sua linea felina non lasciava fraintendere nulla. Guardai oltre la coperta e lei mi fece l’occhiolino. Dopo un primo controllo non fui certo catturato dal colore, grigio su nero non è certo il migliore accostamento al mondo, ma guardai a fondo anche tutti i dettagli possibili, ipotizzando che avesse avuto una vita felice, ma che necessitava sicuramente di un buon restauro. Le pelli mostravano i classici segni del tempo, le cromature avevano bisogno di attenzioni, i 70.000km erano ok, con i pedali, volante e tappeti che confermavano precisamente di aver percorso tale chilometraggio. La Indy era là, affianco ad una Dino 246, attendeva di sgranchire le gambe ed io ero intenzionato a rendere la cosa fattibile.
Indy, il mio Pastore Tedesco, aveva soltanto 5 mesi quando la vettura varcò la soglia della sua nuova casa ed ancora oggi continua ad abbaiare al suo omonimo a quattro ruote, quasi come se fosse geloso!
Ho passato ore ad osservarla, pensando se cambiarle colore o lasciarla argento come in origine. Personalmente credo che restaurando un’auto, si debba mantenere il tutto più possibile all’originale. Non sarebbe mai potuta essere meglio di com’era, altrimenti sarebbe stata un’auto inesistente, che condivideva con il progetto originale, soltanto il numero di telaio.
Chiamai così il mio amico Fabio di Maserati Classiche, chiedendo quale fosse il colore originale per la Indy. Onestamente speravo proprio che non fosse argento, non potevo credere che il primo proprietario che la ordinò nuova nel 1969, la chiese grigia su nero. Fabio mi rispose “Oro metallizzato”. Era il colore giusto! Quelle due parole mi resero felice e cominciai a guardarla come se fosse già oro. Era un tono di colore meraviglioso, comprai addirittura le bombolette originali di Glidden Salchi, nel caso il mio carrozziere non fosse in grado di trovare la giusta gradazione.
Prima di imbarcarsi in un restauro totale, consiglio vivamente di capire se tutti i pezzi di ricambio sono rintracciabili. Il fatidico giorno arrivò e cominciò così il processo di smantellamento interni, sedili, tappeti, cruscotto, indicatori. L’ultima cosa da rimuovere era il volante, un’auto senza volante è inutile e quindi sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe l’asciato l’abitacolo.
Fu così il momento del motore, cambio, asse posteriore, sospensioni, sinché non rimase un guscio (bello) completamente vuoto.
Seguii da vicino tutte le operazioni dell’officina, niente doveva essere lasciato al caso. Rispetto al precedente restauro della De Tomaso Deuville, quello della Indy filò liscio come l’olio. Portellone posteriore, paraurti, porte, fari a scomparsa, cofano, tutto tornò facilmente sull’auto. Devo ammettere che la Indy, anche mentre era una forma nuda di metallo, manteneva quel suo charme e quella sua innata bellezza, tipica del Tridente. Proporzioni praticamente perfette, curve sinuose, dettagli curati, parti cromate eleganti. Bellissima.
L’interno fu completamente rigenerato come in origine, preservando le pelli originali, con grande attenzione che l’atmosfera di quegli anni restasse intatta.
Ecco quindi arrivare il momento dei freni, ammortizzatori, scarico Ansa, gomme, carburatori, pronti per essere rimessi in vita e far tornare a splendere di gloria questa Indy.
Restaurare una supercar italiana degli anni 60 e 70 è un po’ un viaggio nell’ignoto, tutto può succedere ed è proprio questo uno degli aspetti più belli. Durante i restauri delle mie Lambo, Maserati ed Iso, la parte più divertente era proprio quella di far andare le cose per il verso giusto. Una volta terminato il tutto, con l’auto che torna a vivere sulle proprie ruote, la magia è lì, e bisogna solo guidare, adesso come un tempo.
Testo di Manuel Bordini
Foto di Marius Hanin