Ricordo una volta qualcuno mi disse “vorrei che le cose belle durassero per sempre”. Io, francamente, non la penso così .
Le cose belle e i momenti positivi che segnano normalmente i periodi migliori aiutano parecchio ma non vorrei mai (non me lo perdonerei) abituarmi al fascino, alla bellezza, alla potenza rischiando quindi di non avvertirne più le emozioni.
Non mi separerei mai dalle vetture che riporto su strada, riflettono la mia personale idea di restauro, di coerenza storica e estetica. Non si può fare a meno di rimanere in contemplazione della bellezza delle linee, del battito vitale dei motori V8, perdermi nel fascino di queste forme. Ma è anche vero che le sensazioni e i brividi che danno queste supercar italiane degli anni 60 e 70 meritano di rimanere intense come il primo giorno, senza conoscere l’assuefazione lenta della quotidianità. Non sarebbe giusto, per loro, per la storia delle case costruttrici, per il ricordo di quelli che lo hanno reso possibile.
I ricordi delle cose belle dovrebbero invece durare per sempre, e io ne avrò tanti della Indy #262.
Il restauro è stato senz’altro più complesso di quanto mi aspettavo, mio nonno ricordava ogni tanto che “molti riescono a smontare, solo pochi (bravi) riescono a rimontare qualcosa che poi funzioni come deve”. I costruttori delle supercar italiane di quegli anni normalmente iniziavano a progettare una macchina partendo dalla linea della carrozzeria, dovevano colpire l’occhio, essere selvaggiamente belle, ossessionare l’acquirente con l’idea di possederle e guidarle.
Questa è la ragione per cui, nessuno realmente diede importanza all’accessibilità del vano motore, allo spazio di manovra vitale tra gli organi meccanici, allo smontaggio di alcune componenti durante le fasi di manutenzione: il risultato è una macchina a prova di meccanico!
Lo stile ha piegato la meccanica per dare forma e sostanza al sogno, al fascino, alla bellezza, alla velocità.
E’ capitato così di passare giorni e giorni a rimontare il piantone del volante, il telaio motore, il ponte posteriore per farlo precisamente combaciare ai riferimenti sul telaio. Con il tempo ci si abitua, è come decifrare una Stele di Rosetta, una volta acquisita la padronanza della logica sottesa ad ogni dettaglio (che molto spesso non esiste) si procede alla scoperta di un’automobile costruita interamente a mano che porta con sé orgogliosamente i segni della creatività di chi l’ha concepita e materialmente realizzata.
I dettagli parlano di una vettura costruita con tanta fatica, adattando e piegando spesso le soluzioni tecniche allo spazio esistente, alle invarianti strutturali. La dedizione con cui la Maserati costruiva le proprie automobili era diretta conseguenza dell’esperienza sportiva, bisognava vincere, nell’era della chiave inglese e dei carburatori il fattore umano era una ricchezza davvero straordinaria.
La bellezza salverà il mondo, disse qualcuno. Certamente lo fa quando ricompensa di tanti giorni, settimane e mesi di continuo lavoro. Prima di mostrarsi, ti tiene sotto scacco a lavorare indefessamente fino al completamento; solo quando ogni parte è tornata al suo posto, quando ogni componente ha ritrovato la propria funzione, quando anche l’ultima vite tiene ben salda l’ultima staffa allora si possono fare 3 passi indietro e godersi il miracolo della bellezza. È come che il soffio della vita avesse nuovamente trovato spazio tra quelle lamiere.
Prima di iniziare la fase di detailing, voglio godermi la vista di questo tridente dorato, toccarne le forme, sentire la pelle Connolly dei sedili, respirare i decenni passati in quella terra di confine (Gorizia)e poi gli anni romani a dividere il garage con una Mistral Spyder rossa come un rubino scintillante.
Il detailing riguarderà essenzialmente la pulizia del vano motore per liberarlo da dettagli incoerenti o inutili, idratare al meglio le pelli, profumare i tappeti di lana, far nuovamente brillare le centinaia di dettagli cromati che illuminano il cruscotto di questo aeroplano a quattro…ruote, Le supercar d’epoca, specialmente quelle italiane, erano lontane dall’essere perfette quanto il loro prezzo dal portafogli di molti. Queste macchine non dovrebbero mai eccedere la condizione di “come nuovo”; non hanno mai raggiunto da nuove il livello di perfezione che oggi vediamo in alcuni restauri, si viene quindi a creare un’automobile che non è mai esistita. Ciò non significa che il restauro non debba essere il più accurato possibile, al contrario si deve porre l’ambiziosissimo e sommamente complicato obiettivo di rendere la macchina come nuova. E’ a mio avviso insensato lottare per l’originalità su una Maserati, Lambo o Iso Rivolta e cedere all’errore di ricercare il massimo dello sfavillio, cromature eccessivamente brillanti, vernici e trasparenti come che fosse una moderna automobile di lusso.
Realizzare un restauro di qualità significa riuscire a riprodurre l’effetto che facevano queste automobili sui loro acquirenti di allora, glamour ,presenza scenica, prestazioni, non certo vernici a specchio. Qualità è mantenere il più possibile dei pezzi originali della vettura, sostituendo le parti mancanti o compromesse con parti originali o fedelmente replicate, esattamente come la fabbrica le aveva intese concentrandosi sugli elementi che incidono sulla sicurezza . Henry Ford disse che bisognava “spendere un dollaro dove tutti potevano vederlo”, io rettificherei l’affermazione specificando di spendere un euro dove chi guida può apprezzarlo. Quando si guiderà la propria automobile non credo sia dirimente e significativo abbagliare di luce riflessa i passanti quanto invece sentire di guidare un automobile che ha attraversato i decenni incarnando i valori del proprio tempo facendo innamorare le persone. Questo ci renderà orgogliosi.
Quando l’ultimo bullone sarà spazzolato, quando l’ultimo centimetro di pelle sarà pulito, quando l’ultima vite sarà stretta, la Indy sarà pronta per andare, lasciando dietro di sé non solo ricordi emozionanti ma più di tutto la soddisfazione di averle dato una possibilità di continuare a sfrecciare in tutto il suo splendore verso chi la possiederà nei prossimi decenni.
Testo e Foto di Manuel Bordini