Rolls Royce Silver Shadow: Sottovalutata Senza Motivo
ROLLS ROYCE SILVER SHADOW
Testo: Roberto Marrone
Quando si parla di Rolls Royce, la Silver Shadow è senz’altro la più conosciuta, classica come poche altre, grande ma non esagerata e anche acquistabile senza dover spendere grandi cifre. Sicuramente la convenienza è data dal fatto che è stata la RR costruita nel più alto numero di esemplari – il progetto, portato avanti in molti anni, era partito dalla necessità di rinnovare la ormai datata Silver Cloud e di creare una vettura più moderna. I grandi cambiamenti nelle tradizioni della casa rappresentavano anche un possibile rischio e la Silver Shadow infatti abbandonava il telaio a carrozzeria portante, presentando solo due piccoli telaietti per le sospensioni indipendenti, sull’avantreno a bracci triangolari e molle elicoidali, mentre i bracci inferiori erano collegati da una barra stabilizzatrice, mentre per il ponte posteriore silent block e mozzi applicati ai semiassi e molle elicoidali. Per le sospensioni arrivava il sistema di auto livellamento sulle quattro ruote (dal 1969 venne però eliminato dall’avantreno, perché ritenuto superfluo, portando tale modifica a tutte quelle precedentemente vendute) ed il sistema permetteva alla vettura di poter viaggiare anche con il bagagliaio a pieno carico senza subire nessun cambiamento nella guida; infine, anche l’ottimo servosterzo assicurava una guida facile e fluida.
Anche la stampa dell’epoca elogiò il comportamento su strada della nuova Rolls Royce, dotata di quattro freni a disco, nonostante inizialmente montasse pneumatici a tele incrociate anziché i radiali. Il peso era ragguardevole e fermava l’ago della bilancia attorno ai 2.100Kg, ma l’accelerazione era quasi da auto sportiva. La frenata era assistita da un sistema idraulico a triplo circuito, di cui uno provvedeva il 47% della potenza frenante ripartendola ai due assi, il secondo il 31% sulle sole ruote anteriori ed il terzo il 22% soltanto al retrotreno – infine, un regolatore di pressione connesso all’idraulica delle ruote posteriori evitava il bloccaggio delle ruote. Il modello Shadow venne presentato nelle versioni berlina, coupé e cabriolet, quest’ultima prodotta nella officina consociata della Mulliner Park Ward. Obiettivo fondamentale della casa era quello di mantenere la stessa abitabilità della precedente Cloud e pur se le dimensioni esterne della Shadow fossero più contenute, il risultato fu soddisfacente, anche favorito dalla forma più squadrata dell’abitacolo. La larghezza inferiore limitava un po’ lo spazio per il quinto passeggero, ma la necessità di inserire il classico divisorio portò nel 1969 alla realizzazione del modello a passo lungo, solo 10 cm che però sembravano fondamentali. La svolta dettata dal passaggio alla costruzione con scocca portante, oltre a portare grandi cambiamenti alla produzione con relativa ristrutturazione in fabbrica, fu anche la causa del calo improvviso delle richieste di realizzazione di carrozzerie fuoriserie, con la conseguenza anche della fine degli ultimi artigiani rimasti. Come ultimo rappresentante della categoria ricordiamo alcune Shadow modificate da James Young che iniziò la sua attività nel 1863.
La Shadow era una vettura che i proprietari amavano guidare in prima persona, l’autista in molti casi non era più richiesto. La berlina destinata all’esportazione venne dotata del nuovo cambio automatico Hydra-Matic della General Motors, oltre che di tutti confort possibili. Dal 1968 il nuovo cambio venne montato su tutte le RR e la cilindrata passò da 6.230 a 6.750cc, con la scomparsa del generatore che fu rimpiazzato da un nuovo alternatore. Nel 1977, al Salone di Ginevra, arrivò la Shadow II, che pur non dimostrando a prima vista sostanziali differenze, vantava un grande lavoro utile per migliorare lo sterzo e la conseguente tenuta di strada sul misto, da molti criticata; presentava il sistema di controllo automatico della velocità, la carburazione regolata tramite controllo elettronico, entrambi aspetti che avrebbero portato vantaggio al consumo di carburante. Esternamente spiccavano i paraurti privi di rostri e protetti da uno spesso profilo di gomma con protezioni angolari, sotto al paraurti anteriore si nota un piccolo spoiler che contribuiva a migliorare i flussi d’aria permettendo alla Shadow II di raggiungere i 193 Km/h. Il nuovo frontale rese necessario anche la modifica del radiatore, vennero eliminate le prese d’aria sotto ai fari, ora dotati anche dell’impianto lavafari- nuove anche le maniglie delle portiere. Ovviamente, sin dall’acquisizione della Bentley, affiancata alla Shadow trovavamo la versione marchiata Bentley con le varianti date dalla calandra e dai classici fregi, loghi e mascotte. Internamente la Shadow II offriva una plancia completamente ridisegnata, con ancor più spazio ai legni pregiati sul cruscotto e sui pannelli delle portiere, monta un più moderno volante a due razze, poggiatesta anteriori e posteriori più ampi. Per il mercato americano erano necessari paraurti ad assorbimento d’urto ed un diverso rapporto di compressione per rimanere nei limiti imposti dal controllo sulle emissioni. Dalla Shadow deriva chiaramente la Corniche, che dal 1971 diventa un modello autonomo, seguendo nelle varie serie le modifiche estetiche e meccaniche della berlina.
La Shadow II, certamente comoda, ti accoglie in un’atmosfera ovattata che ti fa sentire fuori dal tempo. Il profumo della pelle ti avvolge, la radica appaga la vista ed il tatto, chiunque trova con facilità la posizione perfetta di guida appoggiando poi le mani al sottile volante. Dopo la messa in moto, silenziosa e senza nessun scricchiolio, parti e sembra di viaggiare a pochi centimetri da terra, ma se pensi che sia una tranquilla berlina, ti rendi conto che se acceleri, va via con una decisione inaspettata. Su strada viaggi rilassato, attento solo a non fare movimenti bruschi con il volante dato l’eccessivo servosterzo che lo rende leggerissimo e sensibilissimo oltre ogni aspettativa. Maneggevole come un giocattolino anche nel traffico, devi accettare il fatto di stare in campana e di poter finire vittima di dispetti o manovre imprevedibili da parte di qualche automobilista meno gentleman di quanto tu sia. L’occhio non può che soffermarsi sulla statuina che troneggia sulla punta del cofano e ripensando alla vera storia del marchio, tutto assume un sapore più ricco di storia e nobiltà. In velocità va sempre considerato il peso e l’assetto morbido, ma non lo si può considerare un difetto – se la si guida come una Lotus, ti fa capire che non lo è, e se lo fai, non puoi dare poi la colpa all’auto se ti ritrovi in un prato. Una Rolls Royce va guidata con dolcezza e rispetto. Mi viene solo rabbia nel pensare che queste vetture si trovano a prezzi troppo bassi per quello che sono, quello che offrono e quello che rappresentano. Consigliata? Si, senza dubbio. Resta inteso che l’esemplare sul quale dovrebbe capitare la vostra attenzione sia in ottimo stato di conservazione, dalla meccanica, agli interni e sino alla carrozzeria. Per i colori c’è davvero da sbizzarrirsi, moltissimi anche gli abbinamenti interno/esterno e pure fantastici bicolori. Alcune con il tetto in vinile, anche questo da controllare con cura affinché non nasconda fioriture di ruggine. Si, perché anche le più nobili lo fanno, ma con stile e poco alla volta.