Jaguar MK X: Avrebbe Meritato Più Attenzioni
JAGUAR MK X
Testo di Roberto Marrone
Ormai da molti anni, la linea delle grosse berline Jaguar era rimasta praticamente immutata, dalla MK VII alla MK VIII ed alla successiva MK IX, erano state poche le modifiche estetiche, e quindi era necessario dare una svolta con un modello totalmente nuovo. Dopo il successo ottenuto in marzo a Ginevra, con la presentazione della E-Type, al Salone di Londra nel mese di ottobre, Jaguar lancia la MK X.
Il modello riprendeva la numerazione rispetto alle precedenti, ma era evidente che si trattava di un’auto completamente diversa, con scocca portante, sospensioni a ruote indipendenti, freni a disco su tutte e quattro le ruote con quelli posteriori all’uscita del differenziale, per migliorare la distribuzione dei pesi. Il cambio era disponibile manuale (Moss) o automatico. Per alcuni la linea non risultava abbastanza moderna, il tetto ricordava quello della MK II ma più basso e la carreggiata stretta fu anch’essa motivo di critiche, ma pur con le sue notevoli dimensioni (5,10 m) appariva slanciata, anche per via dell’altezza limitata del padiglione. Il frontale aggressivo con la grande calandra piatta inclinata in avanti dava imponenza all’enorme cofano con la linea dei parafanghi anteriori che seguiva la proporzione dettata dai doppi fari anteriori, il tetto si univa alla parte posteriore andando ad uniformarsi con una coda che terminava sottile. All’interno grande trionfo di radica di noce su cruscotto e pannelli, ampi tavolini ribaltabili e i rivestimenti in pregiata pelle con sedili molto larghi e comodi, impreziosita dagli azzeccati abbinamenti di colore interno esterno.
Meccanicamente offriva il collaudatissimo 6 cilindri 3.781 cc alimentato dai 3 carburatori SU. I quasi 200cv le permettevano di raggiungere, nonostante il peso, i 195 Km/h. Nel 1964 per rendere la vettura più elastica venne adottato un propulsore da 4.200 cc – anche il cambio venne sostituito dal tipo completamente sincronizzato, come accaduto per la E-Type, con l’aggiunta dell’overdrive. L’automatico fu il Borg Warner Mod.8, di fondamentale importanza specie per l’importante mercato americano. Altra novità l’adozione del servosterzo Marles “Varamatic” Bendix, che rendeva la vettura facilissima da manovrare. Nel 1966 fu la volta di un leggero restyling, nuovo profilo cromato sulle fiancate che nel caso di verniciatura bicolore fungeva anche da linea di divisione e nuova calandra – anche il nome venne ritoccato, ora era 420 G, la “G” si pensa volesse significare “Great” per differenziarla dalla più piccola 420, derivata invece dal modello S-Type. In effetti questo modo di attribuire nomi e numerazioni creò un po’ di confusione anche perché la sigla Mark venne abbandonata. Un ristretto numero di 420G venne dotata di vetro divisorio tra il comparto anteriore e quello posteriore. Quando cessò la produzione, nel 1970, era già sul mercato da quasi due anni la nuova berlina XJ, che ne ereditava in chiave rimodernata molte soluzioni stilistiche. Una produzione, quella della MK X, che non porta numeri elevatissimi, 13.382 MK X 3.800cc, 5.137 MK X 4.200cc, 5.763 MK 420G., forse anche perché non ebbe il successo sperato e solo ultimamente si sta riprendendo il suo giusto ruolo nella storia. Una grande berlina di altissima qualità, dove bellezza e lusso erano al top, come solo Jaguar, sotto la supervisione di Sr. William Lyons, sapeva fare. È stato anche l’ultimo modello della casa a montare di serie la celebre mascotte del giaguaro sul cofano motore.