Alfa Romeo Giulietta Sprint Speciale: L’Alfa Che Arrivò Dal Futuro
ALFA ROMEO GIULIETTA SPRINT SPECIALE
L’Alfa Che Arrivò Dal Futuro
Testo e Foto di Alessandro Marrone
In discesa come in salita, tutto ciò che senti è il delizioso frastuono del 1.3 cc, mentre gli occhi sono viziati da uno degli abiti automobilistici più belli di sempre.
Era il 1959 – esattamente 60 anni fa – e il mondo dell’automobile era diverso anni luce rispetto a come lo conosciamo oggi. Molti che sfogliano queste pagine non potranno neppure immaginare come potesse essere la vita senza i computer, senza Internet, senza quella costante connessione con il mondo là fuori, da un lato in grado di arricchirci e facilitarci nel mondo del lavoro, dall’altro colpevole di averci impigrito la mente e ridotto a sognare un mondo sempre meno tangibile. Sessant’anni fa era diverso e l’automobile viveva quello che possiamo probabilmente considerare come il periodo di maggiore splendore, un’epoca in cui le auto non erano più soltanto mezzi di trasporto, ma oggetti votati a quel divertimento identificato nel piacere di guida, un vero e proprio tramite per assaporare la libertà di movimento, il tutto con intramontabili linee disegnate dalle matite di autentici geni, i quali potevano ancora avvalersi di una pressoché totale libertà di azione, per il momento lontana dalle stringenti necessità che le case automobilistiche devono invece rispettare adesso.
Quella della Giulietta Sprint Speciale è una di queste storie, di quelle che vanno custodite e al tempo stesso celebrate, proprio dove un’Alfa Romeo di inizio anni sessanta si troverà più a suo agio, in strada. La Giulietta coupé si differenziava notevolmente rispetto alla più pratica versione berlina, ma si dice che le grandi menti non conoscano attimi di riposo, e così, grazie all’estro della Carrozzeria Bertone che lavorò a “quattro mani” con Franco Scaglione, le morbide e sinuose curve della Sprint Speciale cominciarono a prendere forma. Lo studio aerodinamico vanta le leggendarie prove svolte sulla tratta Torino-Milano, in cui i prototipi della Giulietta SS sfrecciavano con dei fili di lana applicati sulla carrozzeria, in modo da studiare al meglio gli stessi flussi e come avrebbero impattato sul corpo di un’auto che non sarebbe stata soltanto bellissima, ma anche pronta per essere impiegata nel mondo delle competizioni, altro aspetto fondamentale per la casa di Arese. Vederla circolare su strada, sul finire del 1959, sarà sicuramente stato un evento in grado di catturare gli sguardi di tutti e fidatevi quando vi dico che ancora oggi suscita lo stesso effetto, lasciando in completa ammirazione chiunque abbia la fortuna di incrociarne una.
Ecco com’è cominciata la nostra giornata in compagnia di un esemplare (Sprint) speciale di proprietà di un nostro caro amico e lettore di lunga data. Il suo è un modello del ’61, immatricolato nel 1962 e poi completamente restaurato, sino a conseguire la targa oro ASI. Nonostante il 4 cilindri abbia dimensioni piuttosto ridotte, eroga 100 cavalli su un corpo vettura di appena 957 kg, per cui si può facilmente immaginare come la Giulietta SS fosse agile ai suoi tempi. Il passo è corto, il baricentro è basso e per entrare a bordo bisogna letteralmente calarsi all’interno dell’abitacolo a goccia, il quale riprende le linee curve della carrozzeria, creando una sorta di bolla di vetro. Una volta seduti non si sta comodi, c’è poco spazio per la testa e il volante è di grandi dimensioni, ma queste sono soltanto un paio di quelle caratteristiche che rendono l’esperienza di guida di un’auto d’epoca così magica.
Il cambio ha 4 rapporti ma è facile che vi troviate spesso a viaggiare in seconda o terza marcia, così da far riempire l’aria attorno a voi dal melodioso canto dei tromboncini. Una volta in movimento ogni sensazione sembra essere accentuata, a partire dal rumore che entra nell’abitacolo e passando per quel muso affusolato che disegna la propria strada. La Giulietta SS è come una elegantissima signora vestita da sera e pronta a far cadere ai suoi piedi qualsiasi essere senziente, non c’è scampo e questo va accettato. I dettagli stilistici sono dappertutto, come per esempio nel caso dello schermo di plastica trasparente che funge da carenatura per i tergicristalli, i quali alle alte velocità potrebbero sollevarsi e danneggiarsi – del resto la SS è tuttora in grado di sfiorare i 200 km/h. Esatto, non è per deboli di spirito, perché è in grado di offrire tanto, ma al tempo stesso necessita di una guida sicura, di una presa ben salda sul volante e soprattutto di abituarsi alla pedaliera. Una volta presa la giusta confidenza, sentirsi nel bel mezzo di una tappa della “Targa Florio” è un attimo e si può finire per distrarsi e guidare come dei banditi, sfruttando l’ottimo impianto frenante, capace di aggiungere sicurezza e di elevare il rapporto guidatore/macchina.
Enzo la fa urlare sino a 6.000 giri, poi con un rapido movimento afferra la leva del cambio e innesta la quarta marcia, quasi seminando l’auto dello staff dietro di noi. In discesa come in salita, tutto ciò che senti è il delizioso frastuono del 1.3 cc, mentre gli occhi sono viziati da uno degli abiti automobilistici più belli di sempre. La puoi osservare da ogni lato, da ogni angolo e tutte le volte noterai qualche dettaglio che in precedenza era sfuggito, non riuscirai a scegliere quale sia il suo profilo migliore, perché nonostante mantenga una perfetta omogeneità nelle linee, si avvale di una forma che esprime dinamicità (Sprint) ed eleganza (Speciale) allo stesso tempo, due aspetti che spesso convivono a stento e che invece sulla SS trovano la loro massima espressione. Un rumore forte, siamo scesi in terza marcia e la lancetta del contagiri schizza verso l’alto sorretta da un vero e proprio urlo che proviene dal cofano motore, la Giulietta sembra quasi accovacciarsi mentre prepara l’ingresso in curva e dopo qualche chilometro è il momento di accostare e lasciare che la signora in rosso riposi un minuto all’ombra.
In questo momento ne approfitto per scendere, sgranchire collo e schiena e riprendere ad ammirare ogni centimetro delle sue forme. Il rosso della carrozzeria splende sotto il sole d’agosto e le cromature – per l’epoca ridotte al minimo – lanciano qualche bagliore. Il cruscotto è molto scarno e fatta eccezione per i due cronografi davanti al passeggero, è tutto ridotto ad un volante, tre pedali e la leva del cambio, ovvero tutto ciò che serve per godersi uno degli aspetti in cui Alfa Romeo ha dettato legge a lungo, la guida vera. Ed è qui che ho modo di riflettere anche su un altro di quei valori che pian piano stanno scomparendo. Non si tratta solo di un’evoluzione obbligata, come nel caso delle emissioni e di design costretti a rispettare aspetti legati alla sicurezza degli altri automobilisti e dei pedoni, ma di quelle emozioni che ti vengono trasmesse quando hai a che fare con un volante ruvido e un assetto in grado di trasmetterti davvero quello che sta succedendo sotto di te, senza aiuti elettronici e senza tutte quelle fantastiche diavolerie che ci hanno rammollito. A chi importa davvero di determinate prestazioni su strada, quando a fare tutto il “lavoro sporco” ci pensano centraline e dispositivi d’assistenza alla guida? Chi sta realmente guidando? Sono domande retoriche dopotutto e forse è meglio così, in questa maniera abbiamo maggiore consapevolezza di dover custodire un passato così importante e glorioso, uno stile di guida che può essere assaporato nelle giuste dosi e che non dovrà mai essere dato per scontato. Vedo la SS scomparire all’orizzonte, ma posso ancora sentire il rombo del suo motore riempire l’aria e farmi tremare le gambe per un’esperienza (Sprint) Speciale come poche altre.
Ringraziamo Enzo per aver reso possibile questa fantastica giornata insieme.