L’aria è ancora fresca, ma puoi già respirare la libertà che luoghi del genere sono in grado di offrire. Sotto si stagliano i numerosi paesi e in lontananza puoi ancora scorgere il mare, ma inevitabilmente ti fai rapire da quella perfetta striscia d’asfalto che si attorciglia su se stessa in maniera ancora piuttosto ordinata.
CLIMB #03 | GORGES DU VERDON
JAGUAR F-TYPE CONVERTIBLE
Testo di Alessandro Marrone / Foto di S. Lomax
È ancora presto quando lasciamo il centro di Grasse, la capitale europea dei profumi. L’unica fragranza che ci cattura alle prime luci dell’alba è il più tipico gusto di pane caldo appena sfornato, cornetti ripieni di ogni confettura, strisce di pizza con formaggio fuso e un non ben precisato tipo di panetti ripieni di prosciutto e mozzarella. Approfittando della quasi totale assenza di persone in giro e di un lockdown che non ha di certo mollato la propria stretta sulla libertà di movimento, riempiamo gli zaini di cibo tutt’altro che genuino, ma a dir poco squisito. A breve non ci ingozzeremo soltanto di questo però, ma anche di una delle strade più incredibili che la mente umana abbia mai concepito e stavolta è tutto fuorché il più tipico dei valichi di montagna. Stiamo per immergerci – letteralmente – nel canyon più profondo del vecchio continente, le Gorges du Verdon.
Situata a poco più di un’ora dalla costa Azzurra, la regione del Verdon si estende per diversi chilometri suddividendosi in quelle che sono le due strade principali, denominate appunto Rive Gauche e Rive Droite (riva sinistra e riva destra). In mezzo, oltre alle acque del Var, un baratro che nei punti più estremi arriva a raggiungere addirittura i 1.500 metri di profondità. Meglio non soffrire di vertigini quindi, soprattutto quando si accosta la vettura nei numerosi punti panoramici e si volge lo sguardo verso il basso, un salto quasi interminabile accompagnato da pareti rocciose a tratti perfettamente verticali che non fanno altro che accentuare il senso di vuoto e di immenso che questa zona è in grado di offrire a viaggiatori ed escursionisti che giungono qui da tutto il mondo.
Il tettuccio della F-Type Convertible è ancora opportunamente ripiegato sopra le nostre teste e mentre Steve riepiloga rapidamente quelle che saranno le prime tappe fotografiche, la mia mente è già in mezzo alle Gole, dove un paio di anni fa ho guidato per la prima volta al volante di una McLaren 720 S per il libro “The Great Escape”. In quell’occasione avevamo però percorso soltanto un versante – quello meno panoramico se vogliamo essere pignoli – ma questa volta esploreremo il Verdon alla scoperta di ogni suo più meraviglioso segreto. Lungo i primi chilometri della D6085, la F-Type dimostra ancora una volta come rappresenti una perfetta gran turismo in grado di rilassare guidatore e passeggero, soprattutto in modalità Normal e con il cambio impostato in automatico. Lasciare che sia la vettura a preoccuparsi di tutto consente così di godersi gli scorci che vengono pian piano illuminati dai raggi del sole che a ogni chilometro che passa salgono verso il cielo, dove sembrano attesi da una fitta e sempre più vicina coltre di nubi.
Poco prima di Escragnolles ci concediamo una sosta presso la terrazza panoramica che rappresenta tappa obbligatoria per chiunque si avventuri in questa regione. L’aria è ancora fresca, ma puoi già respirare la libertà che luoghi del genere sono in grado di offrire. Sotto si stagliano i numerosi paesi e in lontananza puoi ancora scorgere il mare, ma inevitabilmente ti fai rapire da quella perfetta striscia d’asfalto che si attorciglia su se stessa in maniera ancora piuttosto ordinata. Il manto stradale fin qui è perfetto, con una strada larga e sempre molto pulita, caratterizzata da una quasi costante linea di mezzeria tratteggiata che da modo di scaricare a terra i 300 cavalli della Jaguar quando raggiungiamo qualche veicolo con ambizioni meno performanti del nostro. La F-Type si dimostra l’auto ideale per questo genere di cose proprio quando ci rendiamo conto che in realtà non sarebbe servita la potenza dei propulsori più generosi, dato che ben presto la strada si fa talmente tortuosa e stretta che la sola trazione posteriore concede ampie dosi di divertimento, quando uscendo dalle tornate più larghe ti permette di allargare il retrotreno e con un movimento tanto semplice quanto preciso raddrizza un imponente muso che non svela la cubatura del piccolo motore celato sotto di esso – nel nostro caso, un 4 cilindri turbocompresso da appena 2-litri.
Adesso che le limpide acque della riviera non sono neanche più lontanamente parte dello sfondo che ci circonda e la vegetazione si fa più fitta, senti di essere davvero entrato nell’avventura che ci attende. Raggiungere le Gorges du Verdon è un procedimento quasi metodico, con un territorio che muta con il passare dei chilometri e sembra prepararti per ciò che sta per accadere. Diciamocelo sinceramente però, non si è mai davvero pronti per qualcosa di simile. Un po’ come il fatto che nonostante ci fossimo fermati appena un’ora fa per un rapidissimo spuntino, siamo finiti a votare e stillare una lista dei punti di forza del nostro pranzo al sacco odierno e giusto per concludere a dovere l’esperienza gastronomica on the road, diamo fondo anche ai croissant che stavano emanando un profumo fin troppo provocante per non essere divorati. Dicono che con lo stomaco pieno si possa ragionare meglio e fortunatamente il Verdon non è neppure una di quelle strade che necessita di essere attraversata con il coltello tra i denti, anzi strizza l’occhio alla nostra digestione non appena superiamo Castellane e prendiamo il primo dei due fondamentali bivi che non bisogna mancare al fine di godere appieno delle Gorges.
Una volta sulla D952 bisogna tenere la destra e prendere quindi la Rive Droite. Immediatamente sembra di essere stretti fra due altissime pareti di roccia, intramezzate dalle numerose e strette gallerie scavate nella stessa montagna e che costringono ad un’andatura più cauta, anche per la presenza di detriti in strada. Il nostro felino si muove con agilità e con le nostre teste al riparo sotto il tettuccio in tela, percorriamo i chilometri che da lì a poco ci porteranno al vero e proprio canyon. La strada è ancora completamente deserta, c’è solo qualche camper accostato a lato, ma non incrociamo una vettura provenire dalla direzione opposta da quando abbiamo oltrepassato Castellane. Aumento il passo e impostando la modalità Dynamic mi concedo quello che sarà, almeno per il momento, l’ultimo tratto a base di un’adrenalina offerta dalla GT a nostra disposizione. La vettura che ci segue con i colleghi si fa sempre più piccola nello specchietto retrovisore e complice anche il fatto di avere dimensioni che costringano comunque a portare il doppio del riguardo nei punti più stretti, la F-Type dimostra che in una strada di questo tipo, 300 cavalli siano più che abbastanza.
Peccato che il sound emesso dallo scarico non sia abbastanza graffiante, neppure con l’apposito tasto abilitato per alzare il volume, ma dovendo scegliere tra colonna sonora e sostanza, mi ritengo felice di poter avere a disposizione una dinamica di guida ulteriormente migliorata rispetto al modello precedente. I chilometri vengono ingurgitati con grande facilità e quell’irregolare muro di roccia sempre così estremamente vicino allo specchietto lato destro lascia spazio ad uno slargo che porta con sé il secondo bivio fondamentale. Meglio accostare e attendere che i colleghi ci raggiungano, così da svoltare stretto a sinistra sulla Route de Cretes. Passano pochi, anzi pochissimi minuti e puoi veramente dire di essere in uno dei luoghi più folli del pianeta. Dopo un tratto più largo e veloce di quanto affrontato negli ultimi chilometri, la strada davanti a noi si apre e il canyon rispetta alla grande le aspettative create in coloro che non avevano mai messo piede qui. Io stesso, che tempo fa avevo guidato la sponda opposta del Verdon, non posso far a meno di accostare la Jaguar nella prima piazzola, spegnere il motore e gettare lo sguardo in quel vuoto, apparentemente infinito.
Avete presente quella sensazione che aumenta il tremore delle gambe ad ogni passo verso l’orlo del burrone? Immaginate di accentuarla a mille nel momento in cui appoggi e stringi le mani alla ringhiera di ferro che ti divide da un salto nel vuoto di oltre 700/800 metri. L’aria si fa più fine, nonostante l’altezza sul livello del mare arrivi nel punto più alto ad appena 660 metri, ma in modo da permettere ai nostri occhi di godere appieno di questo incredibile luogo sperduto nell’angolo più incontaminato del globo, non resta altro da fare che aprire il tettuccio e procedere lungo la D23. Dietro ogni curva c’è almeno un paio di motivi per restare a bocca aperta e nonostante questo tratto di strada sia più stretta del solito, il fatto di essere a unico senso di marcia consente di guidare in relax e pensare soltanto a godersi il panorama che ci avvolge. Ci fermiamo in prossimità del Belvédère de la Carelle e poi ancora un paio di tornanti dopo, trovando quella che considero come la terrazza principale sorprendentemente libera da turisti, che minuto dopo minuto cominciano ad affollare lo stretto serpente d’asfalto. La terrazza identificata come Grand Canyon du Verdon è il checkpoint principale, quello che ti offre un’immagine a 360 gradi di quello che le gole del Verdon sono realmente. Da un lato la stretta strada che esce da una galleria scavata nella montagna, dall’altro il vuoto totale dello strapiombo che divide la riva destra dalla sinistra, visibile in lontananza nonostante la minacciosa presenza di nubi ancora più scure e fitte rispetto a prima.
Lomax scatena la macchina fotografica e come accade in quei luoghi in grado di entrarti dentro con una forza quasi surreale, lascio la chiave della F-Type a un collega cominciando a camminare verso Ovest, con lo sguardo che rimbalza da una parte all’altra e cerca di catturare ogni più singolo angolo di questo posto meraviglioso. È però qualcosa che non puoi né toccare né vedere, che rende la giornata odierna tra le migliori di quelle mai vissute da quando faccio parte di questa redazione di pazzi scatenati. L’assenza di segnale telefonico mi limita a scattare qualche foto con lo smartphone, senza perdere tempo sulla bacheca di Instagram, oppure a pensare a quale frase di circostanza pubblicare. Il momento è da godere appieno e tutti i pezzi sembrano andare a incastrarsi alla perfezione. Almeno sinché non comincia a cadere qualche timida goccia di pioggia.
Torno alla macchina, saltiamo a bordo e nemmeno 500 metri dopo ci fermiamo in favore dell’ennesimo punto panoramico, il Belvédère des Glacières, un’altra piazzola ricavata a ridosso dello strapiombo e dalla quale riesci a scorgere alcuni punti che attraverseremo a breve, una volta raggiunta la sponda opposta. In realtà, le Gorges du Verdon tradiscono distanze apparentemente ridotte, unendo punto A con punto B in un tortuoso tragitto che continua a immergersi nella roccia, perlomeno prima di scendere verso valle in direzione delle acque turchesi del Lac de Sainte-Croix, in grado di ospitare bagnanti e canoe per tutta l’estate, mentre oggi cerca di farsi spazio sotto ad un cielo che continua a farsi sempre più minaccioso. Proseguiamo percorrendo il Pont du Galetas e riprendiamo la nostra salita in direzione della Rive Gauche. Lo facciamo attraversando il borgo di Aiguines e guidando i primi chilometri immersi in una vegetazione più tradizionale e fitta, lasciandoci le acque del lago alle spalle e dando uno sguardo all’autonomia residua, notando che nonostante il motore sia un 2-litri, quando si cerca di sfruttare la potenza a disposizione o si affrontano tratti con numerosi dislivelli, alla F-Type piace bere benzina come le sorelle maggiori, complice anche un peso di 1.600 kg, che con due occupanti e bagagli a bordo non fatica ad arrivare a 1.800 chilogrammi.
Ecco che finalmente la vista attorno a noi ricomincia ad aprirsi e con un provvidenziale break concesso dalla pioggia, sfruttiamo appieno la possibilità di sostare presso la Corniche Sublime e in un altro piccolo spot fotografico ricavato a lato della corsia di marcia del senso opposto. Non vorrei più ripartire e ancora una volta abbiamo conferma che per godere appieno delle Gorges bisogna prima di tutto avere un’intera giornata a disposizione, a meno che non vogliate affrontare qualche sentiero a piedi o sentirvi dei veri e propri adoratori del brivido, magari saltando con l’elastico dagli oltre 180 metri d’altezza del Pont de l’Artuby, una costruzione in cemento che unisce le due sponde e introduce la risalita verso quel ristorante che qualche ora prima era soltanto un puntino indistinto dalla parte opposta del Grand Canyon du Verdon. È il momento di chiudere il tettuccio, selezionare la modalità più idonea per asfalto bagnato e sentire l’incessante rumore della pioggia battere sui pannelli della F-Type. I giochi sono potenzialmente finiti e con un tempismo quasi perfetto dalla ricetrasmittente mi comunicano il via libera per impostare l’ufficio quale prossima destinazione. La giornata è cominciata presto, i chilometri di guida sono stati molti e praticamente tutti sviluppati su una strada che non lascia spazio a distrazioni, ma la comodità della Jaguar ha dimostrato che le gran turismo sono la scelta ideale per quando si vuole valorizzare il viaggio e al tempo stesso godere di una vettura che rappresenti il più puro piacere di guida, nonostante la mancanza di qualche cavallo di questo 2.0 cc, aspetto sul quale in una strada di questo tipo si può tranquillamente soprassedere.
Raggiungiamo così Trigance nel quasi totale silenzio radio, con Steve accanto a me che controlla i suoi scatti e poi si addormenta cullato da un comfort di marcia davvero notevole e da un abitacolo che nonostante abbia due soli posti e poco spazio per gli oggetti, dimostra grande abitabilità per i due occupanti. La pioggia si fa più intensa e mi costringe ad affrontare il tratto di strada successivo con le dovute cautele, notando come la vettura cambi radicalmente tra la modalità Wet e la Normal, con la prima che oppone maggiore resistenza in maniera tale da garantire sicurezza extra su un fondo scivoloso come questo. Con il comprensibile desiderio di non voler calare il sipario su questa straordinaria spedizione, colgo l’occasione per un’ultima sosta, prima che gli affollati centri della riviera facciano da preludio alla nostra immissione in autostrada per la tirata finale verso casa. C’è una piccola chiesetta, una cappella probabilmente utilizzata di rado, con una tettoia che ci permette di fermare l’auto e scendere, volgendo lo sguardo indietro e andando a puntare quelle rocce ormai quasi del tutto indistinte nella confusione di una pioggia adesso divenuta torrenziale.
Con la malinconia meteorologica ad accentuare l’arrivederci alle Gole del Verdon, torno a bordo della F-Type e nel più totale abbraccio ovattato dei suoi sedili in pelle e Alcantara e con un sistema multimediale aggiornato e ora più preciso e reattivo, facciamo rientro alla base portando con noi un pezzo prezioso dell’esperienza odierna: l’auto giusta per lo scopo più emotivamente profondo al quale un appassionato di guida possa ambire: guidare per il puro piacere di farlo.