HERO CARS
MERCEDES 190 E EVOLUTION II
Testo Tommaso Mogge / Foto Mercedes-Benz Media
Quali sono le caratteristiche che rendono un’auto leggendaria? A questa domanda apparentemente scontata potremmo dare infinite risposte, ma quella che più di ogni altra sembra mettere tutti d’accordo è legata a ciò che il modello in questione rappresenta. Inutile nascondersi dietro un dito, soprattutto quando il posteriore è provvisto di uno spoiler subito riconoscibile e che va subito dritto al nocciolo della questione. La 190 E Evolution II è un autentico simbolo di potenza bruta, dove ogni singolo dettaglio ricopre uno specifico ruolo nella corsa alla massima prestazione secondo Mercedes-Benz. Ma non è tutto oro quello che luccica.
Progettata con il preciso intento di omologare l’analoga versione destinata al Gruppo A e sbaragliare anche la concorrenza su strada rappresentata principalmente dalla BMW M3 E30 degli anni 80, la E 190 Evo II – come viene comunemente abbreviata – incarna tutti quei canoni che la posizionano sui gradini più alti delle preferenze degli appassionati. Certo il merito non è soltanto della stella a tre punte, dato che il motore fu costruito in UK dalla Cosworth e il cambio è un Getrag, peraltro il medesimo utilizzato sulla rivale M3, ma a onor del vero, la folle idea di un progetto così fuori dagli schemi fu voluto con uno scopo ben preciso, ovvero rappresentare l’apice prestazionale e declinarlo su un modello che in partenza è una pacifica berlina dal look sobrio e senza alcuna velleità sportiva, ma che in realtà aveva l’obbligo di rispecchiare nel più piccolo dettaglio la controparte destinata alle corse.
La Evo II è un tornado che ne stravolge il concetto stesso di automobile stradale, grazie ad un body kit costellato da spigoli, minigonne e l’immensa ala al posteriore che ricordano come questo modello sia stato in realtà progettato per le competizioni nel campionato DTM. Un’auto da pista prestata alla strada e prodotta in appena 502 esemplari, 500 delle quali in blu/nero metallizzato e le restanti due in argento. La vistosa trasformazione estetica rispetto al modello base conferiva un coefficiente aerodinamico di appena 0.29, un valore di assoluto rispetto per una berlina quattro porte. Ci sono poi cerchi da 17 pollici che calzano pneumatici da 245, i quali appaiono perfettamente inglobati dai passaruota grazie ad un assetto che purtroppo tradisce le velleità bellicose dichiarate da un simile look, risultando troppo morbido e sofferente sia in quanto a sottosterzo che rollio.
Quel comportamento violento che ci si attende dopo essere assaliti da un’estetica che non scende a compromessi non arriva mai, in primo luogo per il già criticato settaggio delle sospensioni, le quali mantengono l’indole da viaggiatrice di una qualsiasi E 190 in listino all’epoca, passando per un motore che attende un’eternità prima di entrare in coppia, per poi non spingere a dovere nemmeno quando si è a ridosso della linea rossa. La sorella da competizione ottenne le prime tre posizioni nel campionato DTM del 1992, proseguendo la scia di successi inaugurata nel 1984 con il modello precedente grazie a un giovanissimo Ayrton Senna. Il modello stradale è tutt’altra storia e ospita sotto al cofano un motore Cosworth da 4 cilindri e 2.5-litri in grado di erogare 235 cavalli e 245 Nm di coppia mediante un cambio manuale a 5 rapporti che sbraita sino a 7.200 giri. La potenza è ovviamente dispensata sul solo asse posteriore e un peso complessivo di 1.340 kg consente prestazioni nell’ordine dei 7 secondi sullo 0-100 e 250 orari di velocità massima. Niente male, almeno sulla carta, ma la sensazione alla guida viene sedata da tutta una serie di mancanze che rendono la E 190 Evo II una promessa mancata con la grande fortuna di non essere stata “smascherata” dai più, mantenendo così quel bagliore di splendore automobilistico principalmente grazie alla sua inconfondibile presenza scenica.
All’interno dell’abitacolo ci si trova accolti da pelle e pannelli in legno che consentono di mantenere invariato il senso di lusso e comfort offerto dalla controparte civilizzata, trovando però altri difetti che non fanno altro che penalizzare le esigenze di una guida sportiva, come il diametro del volante troppo ampio e la poca reattività dello sterzo stesso, letteralmente invariato rispetto alla E 190 del nonno. Quando ci chiedono quali siano le caratteristiche che rendono un’auto leggendaria, cominciate dai dettagli che non lasciano spazio a dubbi. Quello spoiler dice tutto. Noterete come, soprattutto parlando di modelli appartenuti ad un’epoca non troppo remota, eppure così lontana, capiti di farsi trascinare da leggende metropolitane e miti tramandati e distorti che nel bene o nel male consacrano un’auto tutt’altro che meritevole, tra le più desiderate di sempre. Tutto da gettare nella spazzatura quindi? Assolutamente no, perché con tutti i suoi difetti – e sono davvero tanti – la Evo II merita l’immortalità, perché rappresenta il più semplice e primordiale desiderio di essere qualcosa che ha senso di esistere proprio perché fuori dagli schemi.