Alfa Romeo Alfetta | Vintage
ALFA ROMEO ALFETTA
VIAGGIO NEL TEMPO
Testo Remigio Camilla / Foto Alessandro Marrone
Scoprire che cosa muove l’interesse di un appassionato di auto d’epoca a prediligere un determinato marchio e modello di auto, ha sempre destato la mia curiosità ed il mio interesse, perchè dietro ogni persona che sceglie, dietro ogni auto scelta, c’è sempre una storia coinvolgente.
Marco aveva già presentato su questa rivista alcune sue auto tra le quali la Giulietta Spider alla quale era legata una piacevole storia di ricordi e sentimenti che fu protagonista dell’articolo pubblicato nel mese di settembre/ottobre 2021 e intitolato “Tesoro di Famiglia”. Su questo numero ci presenta l’Alfetta che è stata oggetto di una lunga, difficile e complessa ricerca durata circa 30 anni, in cui Marco non ha mai desistito e quando ormai aveva perso le speranze l’auto è stata trovata. Era indispensabile per un tuffo nel suo passato di bambino. È lui stesso a confidarmi che alla sua età si inizia anche a vivere di piccoli ricordi, come il non poter scordare il suo primo incontro con quest’auto.
Siamo nel 1972, il padre amante del marchio Alfa Romeo aveva posseduto già una Giulia Super 1600 e una 1750 berlina, ma quando a maggio viene ufficialmente presentata l’Alfetta, la tentazione è troppo forte e decide di ordinarla subito, senza però dire nulla a Marco ed ai suoi fratelli, probabilmente una delle prime ad essere consegnata a Genova. Un giorno, tornando a casa, il papà dice ai bambini di affacciarsi al balcone, sotto c’è l’Alfetta, in tutto il suo splendore, pronta per essere osservata, accarezzata, per sentirne il profumo di nuovo emanato dalla vernice e dai materiali dell’interno, per poterla conoscere in ogni minimo particolare come ai bambini di allora piaceva fare. Vengono subito attratti dalla linea, muso aggressivo e spiovente in avanti, coda alta ed il colore molto particolare – Verde Pino – non i soliti grigi, azzurri o blu. Saliti subito a bordo, il papà li portò a fare un giretto parlando di sistema transaxle, di ponte De Dion, concetti ancora troppo difficili ed inafferrabili per loro, però avevano capito molto bene che l’auto era dotata di una tenuta di strada straordinaria.
Già in quell’anno l’Alfetta venne utilizzata per un lungo viaggio in Tunisia, con passaggi ai margini del deserto, guadi e tanto caldo in cinque a bordo e senza aria condizionata, ma esistevano i deflettori molto utili per avere aerazione e viaggiare con i finestrini chiusi. Il padre ne era entusiasta per le novità tecniche contenute, per la sua precisione in curva diceva che fosse come stare sui binari e i bambini lo osservavano guidare con grande soddisfazione, seduti sul sedile dietro nei lunghi viaggi in giro per l’Europa, senza mai incontrare una rivale. Marco ricorda persino quando per la prima volta l’Alfetta è stata guidata dalla mamma che con molta disinvoltura era passata dalla seconda alla terza sgommando. Intanto gli anni a bordo dell’Alfetta passavano e Marco ritrovandosi patentato era riuscito ancora a guidarla per un paio di anni, destando la bonaria invidia degli amici, perchè l’Alfetta riusciva a coniugare perfettamente sportività, spazio e comodità. Infatti, comodamente in cinque, erano andati a Pisa per la visita militare divertendosi parecchio e correndo in autostrada da La Spezia a Pisa.
Ecco svelati i motivi per cui Marco ha pazientemente cercato per 30 anni un’Alfetta Verde Pino. È stata la ricerca di un’auto, ma al contempo di emozioni, sensazioni, rumori, profumi che gli
avrebbero permesso di compiere il suo viaggio nel tempo a ritroso di 50 anni e finalmente poter rivivere i ricordi indelebili che per tanti anni aveva conservato dentro di se. Quella di Marco è si una
storia, un’ avventura, ma anche un atto d’amore nei confronti di quest’auto e soprattutto verso suo padre che ha saputo trasmettergli la passione per le Alfa. Questa Alfetta è in tutto e per tutto uguale a quella di famiglia, trovata a Bergamo, prima serie scudo stretto, del 1974, 1800 cc e con circa 80.000 km.
Quando Marco l’ha ritirata è stato naturale portarla a casa per strada normale e non su autostrada, così da poterla godere al meglio nella guida sul misto ed una volta arrivato non voler più scendere. L’istinto era di chiudere gli occhi e ritornare bambino sul sedile posteriore ed osservare il papà alla guida e poi rivedersi più grande per la prima volta alla guida dell’Alfetta.
Le sue impressioni di guida oggi sono ancora di un’auto sportiva, con un motore potente e reattivo, con il tipico rombo Alfa, quello del gattone che solo gli alfisti comprendono, freni sempre all’altezza e quell’inconfondibile comportamento in curva, che come diceva il papà : “è come stare sui binari”. Entra decisa in curva, segue la traiettoria e reagisce con il controsterzo se si anticipa l’apertura dei due carburatori a doppio corpo. Il cambio allora criticato per la seconda che grattava viene confermato, con la tendenza a farlo soprattutto da freddo: occorre prenderci un po’ la mano, ma del resto se non gratta in seconda che Alfetta è! Ci si dimentica persino di non avere i vetri elettrici, di non avere l’aria condizionata, intanto ci sono i mitici deflettori. L’insonorizzazione per quei tempi era molto buona, anzi era uno dei tanti fiori all’occhiello dell’Alfetta, oggi non è neppure paragonabile alle auto moderne.
Per poterla riportare come sarebbe dovuta essere sono stati eseguiti alcuni piccoli lavori, come montare i cerchi in ferro con pneumatici Cinturato Pirelli da 165 ed uno specchietto esterno decente, che sulla prima serie non esisteva. Qualche piccolo ritocco estetico alla carrozzeria ed un’autoradio dell’epoca con mobiletto. Ecco ora l’Alfetta è veramente pronta e il sogno si è avverato. All’inizio degli anni 70 del secolo scorso, l’Alfa Romeo era impegnata su due importanti progetti. Il primo era la realizzazione di un’auto a trazione anteriore, sicuramente in controtendenza con la filosofia Alfa sino ad allora perseguita e di certo non amata dai puristi. La richiesta del mercato in quel momento però era quella ed occorreva avere almeno un modello con tali soluzioni tecniche in listino per poter competere con la concorrenza. L’altro importante progetto era quello di sostituire quel capolavoro di incontrastato successo che era stata sino a quel momento la Giulia, la berlina sportiva adatta per la famiglia che vinceva le corse, un modello amatissimo dagli alfisti e desiderato da molti automobilisti. L’ Alfetta, era già pronta nel 1971, ma la dirigenza Alfa Romeo aveva deciso di dare priorità e molto risalto all’Alfasud per le novità tecniche che conteneva, motore boxer, trazione anteriore, carrozzeria a due volumi, presentata proprio in quell’anno.
La scelta del nome Alfetta è storicamente legato a due famose autovetture da corsa, con le quali l’Alfa Romeo si era distinta con numerose vittorie nei Gran Premi, tra la fine degli anni 30 sino ai
primi anni 50 del secolo scorso. Tale soprannome era stato dato affettuosamente al modello 158 e successivamente al modello 159 proprio dai tifosi Alfa, per la compattezza, snellezza, agilità e
potenza che le due auto possedevano, qualità che le avevano rese famose ed imbattibili nella classe 1500 cc. L’ultima vittoria fu nel 1951 nel Campionato Mondiale con i piloti Nino Farina e Jean
Manuel Fangio, dopodichè Alfa Romeo decise di abbandonare il mondo della F1, per dedicare le proprie energie e risorse economiche nella progettazione e realizzazione della Giulietta, il modello
che traghetterà il marchio dalla dimensione semindustriale ad industriale.
Il nuovo modello Alfetta venne presentato nel maggio del 1972 e proprio quest’anno compie 50 anni, all’epoca era tecnologicamente molto avanzato, con soluzioni mai adottate prima di allora
dall’Alfa per le sue auto di serie. Proprio queste qualità tecniche avevano convinto i vertici della casa a riutilizzare il glorioso soprannome Alfetta come nome ufficiale per il nuovo modello.
Sicuramente gli amanti lo avrebbero gradito molto. La grande novità che l’Alfetta introduceva nel mondo Alfa Romeo era lo schema transaxle, con il gruppo cambio a 5 rapporti in blocco unico con differenziale e frizione a comando idraulico, i dischi dei freni posizionati entrobordo direttamente all’uscita dal differenziale dei semiassi e l’adozione del ponte De Dion, il tutto posizionato nel retrotreno. Tale scelta tecnica garantiva all’Alfetta due grandi vantaggi, una migliore distribuzione dei pesi per una tenuta di strada impeccabile ed una riduzione dell’ingombro anteriore del tunnel interno che offriva maggiore spazio alle gambe per guidatore e passeggero. Non mancarono però le critiche a tale scelta da parte di molti alfisti i quali lamentavano una minore precisione negli innesti, dovuta alla complessità dei leveraggi che dovevano raggiungere il cambio al retrotreno. Nonostante questa piccola pecca, l’Alfetta era veramente innovativa rispetto a tutti i precedenti modelli prodotti.
L’unica auto a lei superiore risultava essere la sorella maggiore, l’Alfa 2000, con una velocità maggiore di circa 7 Km/h ed un’accelerazione da fermo inferiore di 1 secondo. Non poteva essere diversamente, la nuova Alfetta aveva ereditato il motore bialbero della 1750 che andava a sostituire insieme alla Giulia, ma modificato nella forma dei collettori e nella coppa dell’olio che permettevano ora una potenza di 122 cavalli, migliorando potenza ed elasticità. Il circuito di raffreddamento era sigillato ed il radiatore era per la prima volta su un’Alfa Romeo dotato di elettroventola comandata da interrutore termostatico. Era stata migliorata anche la silenziosità rispetto ai modelli precedenti attraverso una migliore insonorizzazione della scocca. Alfa Romeo aveva dichiarato un CX di 0,42, valore buono che le permettevano una velocità di 184 km/h in quinta marcia, velocità che nessuna delle sue rivali all’epoca era riuscita a raggiungere. Un’altra novità introdotta su questo modello è l’abbandono dello sterzo a vite a rullo a favore dello sterzo a cremagliera, pronto e diretto, al quale inizialmente occorreva fare attenzione nelle curve veloci, perchè se si strerzava troppo l’Alfetta tendeva a portare in fuori la coda, ma questa caratteristica piaceva soprattutto agli amanti della guida sportiva.
La linea dell’Alfetta realizzata dal Centro Stile Alfa Romeo guidato da Giuseppe Scarnati è caratterizzata da superfici lisce, tese e spigolose, sicuramente gli studi realizzati verso la fine degli anni 60 del secolo scorso per la carrozzeria della 1750 avevano influenzato Scarnati nella realizzazione dell’Alfetta, soprattutto nella parte anteriore dove il cofano motore è piatto e raccordato senza dislivelli ai parafanghi. La calandra è suddivisa in due parti speculari dallo scudetto che è posizionato in rilievo su di un supporto in lamiera a filo e dello stesso colore della carrozzeria. I 4 fari di uguale diametro le conferivano un tono decisamente aggressivo ed elegante. Molto particolare e caratterizzante è l’andamento alto della coda nel punto di raccordo con il montante posteriore, per poi scivolare verso il basso, al fine di non appesantire la linea ed agevolare la visibilità posteriore. La soluzione della coda alta, anche se inizialmente criticata, aveva il duplice vantaggio di migliorare l’aerodinamica ed aumentare la capacità di carico, notevole se confrontata con le berline dell’epoca di pari ed anche superiore categoria. Sotto il piano del bagagliaio era sistemato il serbatoio e la ruota di scorta. Le fiancate non presentavano scanalature o modanature, solo un semplice piego dei lamierati per l’irrigidimento degli stessi a segnare la linea di cintura.
L’abitabilità interna ed il confort di marcia erano molto buoni grazie alle dimensioni maggiori dell’abitacolo, in linea con la filosofia della casa, comodità e sportività binomio che aveva sempre caratterizzato le berline Alfa. Il posto di guida presentava una buona ergonomia, le regolazioni del sedile e quella del volante in altezza, permettevano di trovare sempre una buona posizione. La plancia ben disegnata elegante a sviluppo orizzontale ripercorreva gli schemi già adottati sui modelli precedenti con finiture in legno, la scritta Alfetta in acciaio lucido sulla destra sopra il cassettino portadocumenti, la strumentazione era inserita in un apposito vano rettangolare rialzato rispetto al resto della plancia e conteneva la strumentazione di forma circolare, di diametro più grande per contachilometri e contagiri e più piccolo per i tre strumenti relativi al livello benzina, temperatura acqua, orologio. Inoltre una ricca serie di spie e pulsanti completavano l’intera strumentazione, il volante dal tono sportivo con corona in legna aveva forma a calice con tre razze sulle quali era posizionato un pulsante per l’avvisatore acustico. Sul tunnel sotto la plancia in posizione molto comoda trovava posto il comodo mobiletto porta radio. All’epoca l’Alfa prevedeva la serie Azzurra della Autovox. Complessivamente il giudizio sull’Alfetta all’epoca era di un’auto dalle notevoli prestazioni, con ottima tenuta di strada e frenata sicura, le critiche erano rivolte soprattutto alle finiture migliorabili, alla leggera rumorosità della trasmissione nella marcia in folle ed alla manovrabilità del cambio (la seconda )… ma se non gratta in seconda che Alfetta è!?