Testo Marco Mancino / Foto concesse da Chevrolet Media
Scegliere una Corvette su tutte è un po’ come voler più bene ad un figlio rispetto agli altri: molto difficile e moralmente ingiusto. La C2 Stingray (spesso indicata anche Sting Ray) prodotta a cavallo tra il 1963 e il 1967 ha però qualcosa che suscita emozioni assolute, a partire da un design che stacca di netto rispetto alle morbide curve della leggendaria C1 e che pesca a piene mani da quegli spigoli che hanno caratterizzato l’epoca d’oro del design automobilistico, devoto ad uno stile che per elevare il proprio prodotto volgeva inevitabilmente lo sguardo alle grandi matite italiane. La Corvette C2 è la quintessenza di una gran turismo in grado di soddisfare anche quei guidatori che da una sportiva di razza si aspettano prestazioni con la P maiuscola e un look da eterna ragazzina.
Del resto è proprio grazie alla C2 che Chevrolet riesce a rivolgersi ad una clientela che non si limita alla soleggiata Sunset Boulevard, ma che rispecchia il bisogno di correre forte su qualsiasi strada e pista, obiettivo centrato con la Stingray, peraltro disponibile sia con carrozzeria coupé, che convertibile. L’incremento prestazionale veniva accompagnato da freni potenziati (e freni a disco davanti), sospensioni anteriori indipendenti e una struttura in fibra di vetro che limitava il peso complessivo sotto la tonnellata e mezzo (1.423 kg). La C2 Stingray era ed è un capolavoro di design, con un muso largo e spigoloso che lascia spazio ad un abitacolo raccolto appena davanti un’inconfondibile coda a V con due cristalli separati.
Sotto al cofano motore c’è un V8 da 5.4-litri che mette a terra 304 cavalli a 5.000 giri, un propulsore estremamente elastico e che genera una coppia di 488 Nm a circa 3.200 giri tramite un cambio automatico a 4 rapporti, ovviamente abbinato alla trazione posteriore. Questo si traduce in una dinamica di guida molto reattiva e capace di mordere l’asfalto su una strada tortuosa, almeno quanto su una pista nella quale era possibile rendersi realmente conto delle potenzialità di una sportiva avanti rispetto ai propri tempi sotto ogni punto di vista, dove anche meccanicamente non aveva nulla da invidiare alle competitors europee.
L’abitacolo è elegante e al contempo sportivo, con due soli posti, nonostante ci sia una sorta di panchetta ricavata nella zona posteriore, utile esclusivamente come seduta di emergenza per brevi distanze. Del resto il posto che conta è quello lato guida, dal quale si gode della vista migliore di tutte, avendo come riferimenti di ingombro le due estremità del cofano motore e stringendo il volante a tre razze, strumento definitivo per condurre il sogno americano sulle strade più belle d’America e non solo. Il fatto di vederne poche in giro e il ruolo iconico ricoperto dalla precedente C1 non fanno altro che alimentare quell’alone di leggenda che aleggia attorno alla C2 Stingray, per me il figlio prediletto. Perché in fondo, anche se vogliamo negarlo e ci si nasconde dietro a risposte a metà tra il diplomatico e lo sfuggente, ognuno ha la sua preferita e lei è la mia. Chissà, magari la pensate come il sottoscritto.