Testo di Alessandro Marrone / Foto di Bruno Serra
Ogni viaggio che possa essere definito tale ha un inizio e una fine. Ovvio. Ma quello che non va dato per scontato è ciò che sta nel mezzo, la quintessenza di un’esperienza on the road pronta a raffigurare un nuovo benchmark. Da quel momento nulla sarà più come prima e, che lo si voglia o meno, l’inevitabile confronto farà sempre puntare il dito verso quel viaggio incredibile. Quello del settembre del 2021 ne è un esempio cristallino. Navigatore impostato verso le Alpi svizzere, quale occasione migliore per celebrare la Mazda MX-5 100th Anniversary, la leggendaria roadster giapponese che ridefinisce il concetto di piacere di guida secondo il quale non c’è bisogno di potenze assurde per trasformare ogni chilometro in un sontuoso tributo all’imprescindibile rapporto tra guidatore e automobile.
Queste mattine la sveglia suona presto, molto prima del solito. Il trasferimento che ci porta ad oltrepassare il confine sopra Como ed entrare in terra elvetica alle prime luci dell’alba è il preludio che accompagna la nostra scampagnata in una fresca giornata di fine estate. Il meteo incerto non intimidisce, a tal punto da consentirci di aprire la capote in tela della MX-5 nel preciso istante in cui mettiamo le gomme sui ciottoli del Passo del San Gottardo, chiaramente la strada vecchia che sale arzigogolata su se stessa sino alla vetta, offrendo un’esperienza mozzafiato per la bellezza del paesaggio che circonda i suoi tornanti perfetti. La Svizzera è inconfondibile e sopperisce agli assillanti limiti di velocità con un manto stradale impeccabile e prati talmente belli che sembrano finti. Ogni angolo è una cartolina e poco importa se ci si arrampica più lentamente del solito, dato che è un’ottima scusa per godersi il paesaggio e respirare il sapore di una delle strade più scenografiche sulle quali io abbia mai guidato.
Il fatto di stringere il volante della iconica due posti di Mazda è il valore aggiunto che conferisce la possibilità di percepire ogni variazione del manto stradale ancora bagnato di brina. Inanellando i tornanti volgi lo sguardo verso il basso, scorgendo una serpentina che raggruppa sempre più curve, delineando un budello di porfido ordinato e perfetto. Ci siamo noi e qualche sporadico pascolo di mucche che ruminano gli ultimi fili d’erba. Il silenzio è totale, eppure non ho quella sensazione di trovarmi in cima a qualche monte, complice anche il fatto che in lontananza possiamo scorgere la strada nuova che consente un più rapido – e di certo meno emozionante – attraversamento del passo. La Strada della Tremola è un’opera d’arte e merita di essere vissuta con la dovuta calma. È uno di quei luoghi che rivedrai in sogno per numerose notti dopo il rientro a casa, una di quelle mete che valgono il viaggio, a prescindere da dove si parta.
Quel viaggio sulle Alpi svizzere ha poi proseguito, in onore di una rubrica – l’Alps Attack appunto – che non è sazia finché non si deve ricorrere alle dita della seconda mano per tenere il conto dei valichi attraversati in poche, pochissime ore. Il sole fa il suo ingresso in scena asciugando l’asfalto del Furka, Grimsel, Susten e Oberalp, ma nonostante i panorami che si aprono a perdita d’occhio e tutte quelle curve nate per essere fotografate, nulla regge il confronto diretto con il San Gottardo, soprattutto per via di un traffico maggiore che rende l’avventura meno riservata. La Tremola sembra essere un luogo per quei pochi appassionati che vengono fin qui appositamente per le sue curve, non per passare da una parte all’altra della valle. Quel giorno, infischiandomene della James Bond Strasse, dei tornanti del Grimsel e delle vallate del Susten, avrei mandato lo shooting a monte, pur di tornare ancora in mezzo al Gotthard e respirare la sua assurda devozione per chi intende la guida come un mezzo per raggiungere il Nirvana automobilistico fino a tarda sera, sinché il buio della notte non avrebbe gettato il proprio velo scuro su una delle strade più belle al mondo.