Ferrari 288 GTO | Gran Turismo Che Profuma Di Racing
GRAN TURISMO OMOLOGATO
Testo Marco Rallo / Foto Ferrari Media
In molti, quando sentono parlare di GTO pensano subito alla leggendaria 250 GTO del 1962. E come dargli torto, del resto si tratta di un’autentica icona che va anche oltre il l’immaginario collettivo automobilistico, rivestendo l’immagine di oggetto di culto, di vettura dal valore quasi inestimabile e di testimonianza di come le forme di un’auto fossero quanto di più puro si potesse trovare al mondo, là negli anni sessanta. Aggiungete poi il fatto che si trattava di un modello votato al mondo delle competizioni, dove il cavallino rampante di Maranello poteva dare massimo sfoggio di sé e avete quel fatidico profumo di leggenda che attraversa i decenni, cementificando la propria immagine quale rappresentazione definitiva del fascino italiano. Un oggetto di lamiera, pneumatici e liquidi che racchiude un universo di emozioni e storie di uomini grandiosi.
Potrebbe anche finire qui, se non fosse per il fatto che nel 1984 arrivò un’altra GTO, egualmente in grado di fare breccia nel cuore degli appassionati e dei collezionisti: si chiama 288 GTO ed è l’ennesimo capolavoro Ferrari che rappresenta un’epoca – quella degli anni 80 – tanto differente quanto ancora legata agli schemi analogici che permettono ad un’auto di godere di vita propria. Questi oggetti hanno un’anima e quando scatenata da vita a un boato assordante, qualcosa di ugualmente melodioso e graffiante come il V8 posizionato là dietro. A renderla incredibilmente esclusiva abbiamo una produzione durata appena 2 anni e che ha dato alla luce soltanto 272 esemplari.
La genesi della GTO – Gran Turismo Omologato – è una delle tante controverse storie che subiscono aneddoti improvvisati con il passare del tempo, dove alcune inesattezze contribuiscono a creare un piccolo alone di mistero sulla realtà assoluta dei fatti. È vero che la GTO sia stata sviluppata anche con l’obiettivo di prendere parte alle competizioni del Gruppo B ed in proposito nel corso dell’85 fu infatti sviluppata una versione dedicata chiamata 288 GTO Evoluzione, di cui ne esistono 5 esemplari. Al contempo la 288 GTO non va considerata come un’elaborazione della più modesta 308 GTB, con la quale condivide soltanto i principi costruttivi. Se infatti è indubbio che almeno a livello estetico ci siano delle forti somiglianze, il lavoro svolto da Pininfarina fu sottile, ma abbastanza da rendere il look della GTO estremamente più aggressivo e perfettamente in linea con il propulsore in posizione posteriore centrale, un V8 da 2.8-litri (da qui appunto la sigla 288) capace di erogare ben 400 cavalli a 7.000 giri e 496 Nm di coppia a 3.800 giri. Ricordate che siamo appena nel 1984? Questi sono numeri sbalorditivi, soprattutto per via di un’aerodinamica mantenuta pulita e che rinuncia a qualsiasi vistosa appendice aerodinamica.
L’eleganza innata della 288 GTO è pari soltanto alla drammaticità con cui la potenza viene gestita dalla trazione posteriore abbinata ad un cambio manuale a 5 rapporti. Rispetto al design della 308 troviamo parafanghi allargati, un nuovo profilo all’anteriore e uno spoiler più pronunciato al posteriore, il tutto con carrozzeria realizzata in kevlar. Il propulsore, qui montato longitudinalmente, era turbocompresso e posizionato davanti al gruppo cambio. Adesso provate a immaginare, nonostante l’ottimo bilanciamento dei pesi, a gestire una potenza di 400 cavalli che arriva all’improvviso, dopo il proverbiale lag che caratterizzava i motori sovralimentati di quegli anni, senza alcun tipo di controllo mentre tenete giù il gas in una frenetica corsa verso i 305 km/h di velocità massima. Impressionante.
Trattandosi in fin dei conti di una vettura “omologata” e quindi adatta per un utilizzo stradale, la 288 GTO dispone di un abitacolo che non rinuncia al comfort, seppure sia pur sempre limitato allo stretto indispensabile, in maniera da non distrarre il pilota dal motivo principale per il quale si trova al volante di una delle più entusiasmanti Ferrari di sempre: la guida. Abbiamo quindi aria condizionata, finestrini elettrici e impianto stereo, una manciata di plus che comunque sono in secondo piano rispetto ai tratti salienti del cockpit rappresentati dal cambio meccanico con gabbia a vista e leva ravvicinata, sedili in pelle a contrasto e un volante a tre razze che incarna il sogno di milioni di automobilisti per decenni. Il tramite ultimo tra guidatore e strada, il timone tramite il quale navigare su acque rese turbolente da un motore nervoso e impegnativo. Nessun pulsante, soltanto uno scudetto giallo con il cavallino rampante nero ben impresso, a ricordare dove cominciano i sogni ad occhi aperti. Un amore tinto di rosso che ha visto le sue quotazioni aumentare sino a superare la soglia del milione di Euro, toccando addirittura i 3 milioni, per alcuni esemplari battuti in varie aste. Cifre importanti che contribuiscono ad alimentarne la leggenda, grazie a rarità, importanza storica e quel sapore meccanico (e metallico) di un motore vecchia scuola capace di risvegliare dal torpore letargico chi pensa che il turbo lag possa mai essere un difetto.