Suzuki Jimny Pro | Test Drive – Fuga di Montagna
Testo Alessandro Marrone / Foto Daniél Rikkard
Dicono che l’essere umano abbia una predisposizione naturale per il pericolo. Impieghiamo anni a costruire un percorso di vita, per poi mettere tutto a repentaglio nella spasmodica ricerca di un brivido che ci faccia sentire vivi. Del resto, nell’esatto istante in cui rischi tutto, è proprio lì che riesci ad apprezzare ciò che ogni giorno rende la tua esistenza qualcosa di insostituibile. Come tasselli che si susseguono l’un l’altro, attraversiamo gli anni arricchendo il nostro bagaglio di ricordi ed esperienze, ma soltanto alcune di esse sono in grado di cambiarci davvero, di entrare a far parte del nostro essere più profondo e al tempo stesso prendono un pezzo di noi e lo conservano. La montagna ha la capacità di risvegliare qualcosa di intimo, una sorta di richiamo atavico che ci getta in mezzo ad una gigantesca valle sovrastata da enormi speroni di roccia che solleticano il cielo.
Mi sento minuscolo, insignificante oserei dire, al cospetto di uno sfondo naturale che mi sorprende ogni volta che faccio ritorno qui, quasi stregato da un richiamo silenzioso che si insinua nella mia mente non appena l’estate prende il sopravvento e la strada oltre il Colle Valcavera comincia a farsi di nuovo percorribile per quei pochi mesi in cui le condizioni meteo lo consentiranno. Rocca La Meja non è soltanto un luogo incredibile per via del suo aspetto scenografico di rocce nude che si accavallano l’una sull’altra, ma perché riesce a rendere vivo un luogo, a farlo godere di una personalità propria e di un umore imprevedibile, capace di trasformare un’apparentemente soleggiata giornata in un temporale pronto a rendere ancora più impervio il sentiero che porta ai piedi della grande montagna.
Sembra quasi un rito, un’azione che sento di dover compiere per rivivere una tra le esperienze più assurde che abbia mai provato in vita mia e consapevole che il sentiero continuerà a non semplificare la vita a quelli che intendono affrontarlo con quattro ruote, decido di raggiungere Demonte – il paese ai piedi del Vallone dell’Arma – al volante di una tra le più efficaci 4×4 di sempre: la Suzuki Jimny Pro. La piccola giapponese, rivoluzionata nel 2019, ha subìto una lieve trasformazione che ha consentito al brand di mantenere la commercializzazione. Adesso si chiama Jimny Pro e viene immatricolata come autocarro N1 in maniera da aggirare le limitazioni che riguardano i dati di emissioni di CO2 del costruttore. Per farlo si deve rinunciare alle due sedute posteriori, dividendo la cosiddetta cabina dal vano di carico con una griglia in ferro e guadagnando un notevole volume per i bagagli. Tolto questo, la Jimny Pro è esattamente la stessa favolosa e piccola off-road che conosciamo, l’arma ideale per affrontare sentieri capaci di mettere in crisi il 98% dei 4×4 in circolazione.
Il fatto di poter contare su dimensioni ridotte, sbalzi minimi e punti di attacco di riferimento sono soltanto alcune tra le caratteristiche che consentono alla Suzuki di eccellere lontano da asfalto, scenario in cui si patisce invece una notevole rumorosità e uno sterzo molto demoltiplicato, ancora una volta a dimostrazione che la Jimny (o Jimny Pro che sia) ha uno scopo ben preciso ed è quello di vivere su terreni impervi. In fase di marcia normale, la trazione è sul solo asse posteriore, ma con l’apposita leva diventa integrale, mostrando sin da subito come i due assi siano in grado di far presa anche nei tratti più impegnativi. Ci sono poi le ridotte che avvalorano la bontà fuoristradistica di un oggetto che per natura non teme di essere trattato con vigore: saprà farvi uscire anche dalle situazioni più ostiche.
Grazie all’agilità conferita dalle dimensioni contenute, oltrepassiamo la tratta asfaltata che ci guida a poche centinaia di metri dal Colle Fauniera, svoltiamo a sinistra e dopo un battito di ciglia l’asfalto viene sostituito dal sentiero sterrato che da qui ci porterà ai piedi di Rocca La Meja, con un anello che nasconde passaggi insidiosi e una vista da mozzare il fiato. È qui che innesco la trazione integrale e rallento l’andatura, principalmente perché la vettura in prova è equipaggiata con pneumatici tradizionali che potrebbero patire pietre appuntite sparse lungo il sentiero. Avanziamo quasi sempre in prima marcia, passando in seconda soltanto quando la via si fa abbastanza larga e tale da concedere visibilità sull’eventuale avvicinarsi di veicoli provenienti dalla direzione opposta. In realtà incontriamo soltanto qualche ciclista e una manciata di escursionisti, fatta eccezione per due pick-up che ben presto accostano su un prato più ampio del solito.
La Jimny Pro ha la capacità di trasmettere una sicurezza innata. Riesci a percepire lo sforzo meccanico che avviene sotto di te quando accenni un twist o quando affronti un timido guado che taglia in due il sentiero per qualche metro. La visibilità oltre il parabrezza è totale, grazie anche alle forme squadrate che la contraddistinguono e mentre stringo il volante getto lo sguardo a lato, dove prende vita un precipizio di cui non puoi vedere la fine. La strada si fa stretta, in alcuni punti non nasconde la severità dell’inverno precedente e di qualche temporale abbattutosi giorni prima, mostrando come la terra e le pareti in pietra attorno a noi si sgretolano in maniera quasi improvvisa. Dopo due ore abbiamo percorso pochissimi chilometri, ma è come se ci trovassimo su un altro pianeta, popolato unicamente da marmotte e mandrie di bovini al pascolo. Le soste per godere dello spettacolo che la natura riserva a chi si avventura in questo luogo impervio sono frequenti e ognuna ci regala una vista impagabile, sempre accompagnata da quella cresta di roccia alla quale giriamo intorno lungo un anello di terra.
Il silenzio ti avvolge e viene interrotto soltanto da improvvise raffiche di vento e dalle grida di qualche marmotta che uscendo dalla propria tana vede questo strano oggetto di metallo scorazzare nel loro territorio. Consapevole che non effettueremo il loop intero per tornare al punto di partenza, cerchiamo di non indugiare troppo con le soste, ma veniamo letteralmente sopraffatti da un capolavoro naturale senza precedenti. Gli unici momenti in cui incito Daniél ad essere più che rapido con le foto sono quando sostiamo in mezzo al sentiero privo di rocce a lato. Se in quel momento dovesse sopraggiungere qualcuno dalla direzione opposta, sarebbe davvero una situazione da panico. Mi trovo così a percorrere a passo d’uomo il tratto a ridosso del Monte Servagno, allungando il collo oltre la curva, quasi a sopravanzare il cofano che comunica sempre con precisione gli ingombri della piccola Suzuki. Non incrociamo nessuno e con gli stomaci che brontolano già da qualche mezz’ora, decidiamo di approfittare di uno slargo per fermarci e pranzare.
La Jimny Pro mantiene il suo propulsore benzina, un 4 cilindri in linea da 1.5-cc che eroga 102 cavalli e 130 Nm di coppia attraverso un cambio manuale a 5 rapporti. Non occorre nulla di più, perché la trazione e l’agilità che dimostra lontano da asfalto premiano una scelta vecchia scuola che si dimostra efficace esattamente come ci si aspetterebbe. Per lo stesso principio con cui preferireste una Jimny (Pro) ad un lussuoso SUV, il luogo migliore per il nostro pranzo non è un ristorante stellato, ma una pietra a bordo strada ed eventualmente il vano di carico della Suzuki, con il portellone spalancato sul versante nord della valle. La vista è impagabile, l’aria è fine e incontaminata, il momento è perfetto.
Un paio di panini e qualche dolcino più tardi, siamo ancora lì a goderci lo spettacolo creato dalla natura, consapevoli che momenti come questo sono sempre più rari e preziosi, attimi da custodire gelosamente nei nostri ricordi proprio perché richiedono la necessità di spogliarsi di tutti quei comfort a cui ormai non possiamo rinunciare per più di qualche ora. Qui non c’è segnale telefonico, il tempo è scandito da come il sole si sposta sopra le nostre teste, allungando le ombre man mano che le ore scorrono. Eppure non manca nulla e l’essenza della Suzuki Jimny Pro è proprio questa, il fatto di rinunciare a tutto ciò che non occorre realmente in fuoristrada. Che poi, parliamoci chiaro, la Jimny resta perfetta anche in città, proprio grazie alla sua taglia XS. Se dopo tanti anni Suzuki ha continuato su questa strada – o dovremmo dire sentiero – è perché il suo cliente sa cosa vuole e non intende rinunciare alla solidità e all’affidabilità che contraddistingue la Jimny. Non abbiamo neppure il navigatore sulla Pro, ma soltanto la radio, una maniglia alla quale appigliarsi e la voglia di perdersi in qualche strada di montagna, giusto prima di tornare alla settimana lavorativa e magari utilizzare il ritrovato vano di carico per un ufficio meno asettico del solito.
La Jimny Pro è bella quando è sporca di fango e terra, perché ogni macchia racconta una storia. La polvere sui parafanghi parla di quando abbiamo scavalcato un paio di dossi a pochi centimetri dal burrone, il vetro sporco è la prova che anche stavolta un breve acquazzone ha fatto capolino ai piedi della Rocca. Il giorno successivo, con il ricordo ancora vivo e quei paesaggi ben impressi nella nostra mente, saremmo tornati ancora là, oppure avremmo cercato un altro sentiero – possibilmente altrettanto isolato – ricordando che per sentirsi vivi basta spogliarsi di tutto ciò di cui non possiamo apparentemente fare a meno e riscoprire cosa significhi spalancare la bocca dallo stupore di fronte ad una montagna, anziché uno schermo. Qualsiasi possa essere la vostra destinazione e la vostra avventura, la Jimny Pro sarà ancora una volta il vostro fedele compagno di viaggio.
SUZUKI JIMNY PRO
Motore 4 cilindri, 1.462 cc Potenza 102 hp @ 6.000 rpm Coppia 130 Nm @ 4.000 rpm
Trazione Posteriore/Integrale Trasmissione Cambio manuale a 5 rapporti Peso 1.165 kg
0-100 km/h 12,4 sec Velocità massima 145 km/h Prezzo €25.700