Io e la Mia Dipendenza per le Auto (Soprattutto se Inglesi) | Lifestyle
A cura di Marco Rallo / Foto di Roberto Marrone – Giorgia Rossi
Per un appassionato, la ricerca dell’auto definitiva è come il Sacro Graal. Il costante e ossessivo inseguimento verso qualcosa di così sfuggente, un obiettivo che ti scivola via come acqua tra le dita. Ti ritrovi a tu per tu con i miti d’infanzia, con delusioni inaspettate e scopri che le più belle sorprese si nascondono proprio dove meno te lo saresti aspettato. Ma nulla, niente di nemmeno lontanamente avvicinabile a quell’immagine che è rimasta immutata nella mente per tanti anni. Un giorno cambia tutto, senti qualcosa di diverso rispetto al solito e capisci che in realtà l’auto apposta per te non è perfetta, non è la spunta di tutte le caselle prefissate, ma quella che ha toccato i tasti giusti del tuo spirito di romantico automobilista. L’automobile che ti tira giù dal letto prima dell’alba, quella che vuoi guidare per il puro e semplice piacere di stringere il suo volante e sentire il rombo del motore in una sinfonia di estasi sensoriale. Se poi è addirittura speciale in senso assoluto, la storia da scrivere insieme sarà ancora più avvincente, proprio come quella di Alessandro e la sua insolita Morgan.
Ciao a tutti, mi chiamo Alessandro e ho compiuto da poco 50 anni. Sono sposato (ciao Beatrice che scoprirai questo – come al solito – a danno fatto) e ho chiaramente una dipendenza per le automobili. Dopo averne provate diverse, credo che il mio “problema” si sia oramai definitivamente orientato verso le inglesi.
Il tutto è cominciato nel peggiore dei modi. Avevo circa 25 anni, iniziavo a guadagnare qualcosina e la Civic che avevo si era dimostrata tanto affidabile quanto noiosa. Avevo poche idee e tutte confuse. Volevo una macchina senza tetto e non troppo diffusa, insomma non la solita MX-5. Sulla strada tra il cliente per cui lavoravo e casa (a quel tempo vivevo ancora a Milano) c’era un concessionario MG/Rover. Entro e la mia MGF era lì ad aspettarmi. Neanche l’ho provata o mi ci sono seduto dentro. L’ho comprata.
Cosa desiderare di più? Ve lo dico io. Fondere il motore a 15.000 km (un classicone con il Rover K). E poi trovarsi la cinghia dei servizi sbriciolata a 20.000 km. Venduta. “Mai-più-una-macchina-inglese” – cascasse il mondo. Ma in quei pochi chilometri, tantissimi raduni con un gruppo splendido (il TFpassion) e più sorrisi che rimpianti. Sapevo che questo mi avrebbe segnato.
La vendo, prendo una Z4 (dimenticabilissima) una 911/997 (la migliore di sempre) e “here we go again”. È Febbraio, sono sul divano e come al solito perdo tempo su Autoscout svizzero (nel frattempo mi sono trasferito a Zurigo). Mi capita sott’occhio ‘sta roba viola e inglese, con delle brutte foto nell’annuncio, ma niente, non riesco a resistere. Qui comincia la più delirante contrattazione ed annessa permuta. Ho acquistato quella vettura senza neanche vederla. E il venditore ha ripreso la mia 911 con lo stesso approccio. Cosa potrebbe mai andare storto acquistando a scatola chiusa un’auto inglese – per davvero – con 8.000 km, prodotta in meno di 200 esemplari al mondo in una fabbrica dove spostano i telai spingendoli su dei carrelli (dei pezzi di alluminio incollati e saldati da dei signori di mezza età) con dei battilastra che sagomano tutto a mano – dal cofano motore e le sue prese d’aria- e qualcuno che pialla dei pannelli di frassino che non solo fanno da plancia e palpebra strumenti, ma legno che costituisce anche tutta quella struttura su cui viene avvitata la carrozzeria e che appoggia sul telaio?
Proprio nulla, a patto che si abbia qualcuno vicino che conosce bene queste automobili. Nel mio caso Borghi Automobili (ora acquisito da Romeo Ferraris) a Milano. Sì, per una vettura “speciale” (lascio ad ognuno dare la giusta interpretazione di questo) 300 km diventano un piccolo prezzo da pagare per far si che continui a regalare sorrisi.
Ma quindi di cosa stiamo parlando esattamente?
Stiamo parlando di una Morgan Aero Supersports. Il colpo di coda di un ragazzino di 21 anni. Sì, Matthew Humphries è diventato head of design di Morgan a quell’età, dopo aver disegnato il bozzetto dell’Aeromax per un affezionato cliente e amico personale di Charles Morgan, il principe Eric Sturdza, il quale voleva una Aero8 Coupé. Da lì una serie di sorprendenti colpi di scena uno dietro l’altro: viene presentata a Ginevra e subito si trovano altri clienti Morgan che fanno di tutto per averla e si decide di fare 100 Aeromax. Ma non bastavano, i clienti mordevano e quindi, al concorso di eleganza a Villa d’Este del 2009 viene presentata l’Aero Supersports, di cui sono felice possessore del telaio numero 8.
È una macchina insensata. Piccola, bassa, scomoda, rumorosa e scricchiola. Sempre e comunque. Non vuole stare dritta, mai, perché nonostante i 380 cv, 480Nm di coppia e un rapporto peso/potenza pari a quello di una 997 GT3, non ha alcun filtro tra l’asino al volante e la strada ad eccezione di servosterzo, servofreno, ABS e ripartitore di frenata. ADAS, ESP, E-diff e qualsiasi altro acronimo sono sconosciuti a questa scultura steampunk di alluminio, frassino e pelle. Anche pelle, perché ci sono sei intere pelli di vacca (non trattata) stipate e sagomate tra l’abitacolo, il tetto e il bagagliaio. Sì, sono riusciti a mettere dei pannelli e dei cadenini in pelle anche nel bagagliaio.
È una vettura che sembra rompersi sempre ma che non mi ha mai lasciato a piedi. Vabbé un finestrino una volta si è inabissato per sempre nella portiera, un’altra volta sono tornato a casa con uno scarico che rimbalzava sull’asfalto (ah gli scarichi sono di lato, all’altezza delle orecchie, proprio davanti alla ruota posteriore), sono rientrato da Cortina sotto la pioggia battente con mia moglie che teneva in mano uno dei tre tergicristalli, quello lato guidatore – ca va sans dire. Ma sono sempre tornato a casa. Merito del motore e del cambio BMW da 4.800cc e uno ZF6 che si stanno dimostrando all’altezza del loro nome.
Sì, perché questa tutto è fuorché una garage queen. Oramai sta per vedere la soglia dei 70.000 km, non pochi per una macchina del genere ma non abbastanza per quanto vorrei io. Maledetto tempo tiranno. Il segreto è tutto qui. Le auto che guidiamo, che abbiamo guidato e che guideremo ci sotterreranno, e la mia esperienza mi dice che più la si usa, meno problemi saltano fuori. Una macchina deve fare il proprio dovere. E credetemi, lo fa meglio in strada che stando nel box.
Il primo anno tra problemi da risolvere, problemi inventati dal mio cervello e cambiamenti indispensabili, si sono volatilizzati circa 10.000 euro, la maggior parte a causa del suo stare ferma. Da lì in poi, con qualcosa come 1.500 euro l’anno la macchina è sempre andata bene. Ma non bene come una 911 – che deve andare sempre e bene. Ciononostante bene per essere poco più di un Frankenstein costruito in un capannone pieno di trucioli e sudore. Vuol dire che non ci piove dentro? No. Vuol dire che l’aria condizionata non è più il sospiro di un asmatico? No. Vuol dire che i tergicristalli non si limitano più a riposizionare l’acqua sul parabrezza secondo nuovi disegni? No. Vuol dire che la Becker Mexico che hai penato per trovare ha un senso oltre a quello di essere un orpello esclusivamente estetico perché intanto l’antenna della radio prende poco e male. Vuol dire che ti trovi ad accettare le spese più indecorose della moglie solo perché c’è così rumore nell’abitacolo che sorridi ed annuisci ad ogni richiesta per non sembrare quello nella sala d’attesa all’Amplifon? No. Vuol dire che semplicemente hai trovato la tua partner in crime su ruote. Una macchina che rende speciale non solo il raduno tra i colli del Barolo (qualcuno ha detto Classic Run?), ma anche una settimana sulle Dolomiti per sfuggire al COVID, l’alternativa al treno per tornare a Milano per salutare tua mamma o per fare una puntata al supermercato e caricare la macchina con 10 faldoni d’acqua. Sì, ci stanno anche quelli.
Questo é quello che cerco in un’auto e che Violetta mi ha dato (ah sì, in Morgan ti scegli il colore che vuoi e quindi, nel mio caso, Bugatti Violet Metallic con cui avevano presentato una delle prime Veyron). Non un’auto da utilizzare nelle occasioni speciali, ma da utilizzare perché rende ogni occasione speciale. Sembra una frase da bacio Perugina ma è la realtà. La mia realtà.
Credo che tutti abbiano poco tempo da dedicare alle proprie passioni, Violetta mi permette di rendere ogni spostamento un momento per regalarmi un sorriso. Nessun’altra auto c’era mai riuscita.
Ma quindi è la mia unica macchina? Non più, ma lo è stata per quasi cinque anni. Poi mi è venuta voglia di cambiare, sono tornato a cavalcare una cavallina di Stoccarda un paio di volte e poi? E poi rieccoci. Ad affiancare Violetta adesso c’è una Aston Martin Vantage V8S non certamente più sobria di Violetta. Verde inglese (1959 Q Special) fuori e blu elettrica dentro (blu aurora). Come? “Blue and green should never be seen”. Ma non fatevi ingannare dai colori da svizzero. È davvero inglese. Infatti ho fatto avanti e indietro per più di un anno dall’officina per sistemare un problema al cambio (altra ex garage queen, 9 anni e 17.000 km quando l’ho presa). Anche qui una volta sistemata e iniziato ad usarla con regolarità, guarda caso, è sempre andata bene. Ma questa è un’altra storia. E no, non parlo delle McLaren che consumo con gli occhi su Autoscout.