Lancia Appia Zagato GTE | Vintage
UN BASSOTTO DA CORSA
Testo Remigio Camilla / Foto Alessandro Marrone
Per la Carrozzeria Zagato gli anni 50 e 60 sono quelli più entusiasmanti, i più ricchi di affermazione in pista e su strada, quelli dei maggiori consensi da parte dei piloti privati ed ufficiali ma anche e soprattutto delle importanti collaborazioni con le più prestigiose case automobilistiche italiane e straniere, situazione che la porta – a fine anni 50 – dalla dimensione artigianale a quella semi-industriale. Leggerezza e massima funzionalità erano gli elementi di base della filosofia progettuale di Zagato, che attraverso una particolare tecnica costruttiva strutturale in alluminio, aveva realizzato auto agili e performanti, nonostante i pianali in acciaio strettamente di serie che riceveva e doveva vestire. Un grosso vantaggio nell’ottenere tali risultati, lo aveva offerto Elio, primogenito del fondatore della carrozzeria Ugo Zagato. Elio era un eccellente gentleman driver e pilota, aveva vinto una Targa Florio dimostrando di essere uno dei maggiori protagonisti in pista e su strada nella classe GT sino a 1.150 cc. Su 150 gare disputate era salito sul podio 110 volte con 83 vittorie assolute, conquistando ben sette titoli di Campione italiano GT ed un titolo Europeo GT. Attraverso tali esperienze sapeva molto bene che cosa un pilota si poteva aspettare da una Zagato e come doveva essere progettata un’auto per poter essere più veloce. Elio seguiva con grande passione la realizzazione delle famose berlinette GT che disegnava, fin dalla realizzazione dei prototipi e sperimentando continuamente nuove soluzioni attraverso severi collaudi in pista e in autostrada.
Agli occhi dei profani le linee delle Zagato appaiono inusuali, anticonvenzionali, inaspettate, tali da non raccogliere sempre il consenso del pubblico, ma ai piloti piacevano perché erano vincenti. Giustamente Enzo Ferrari affermava che “l’auto più bella è quella che vince”. Con le sue creazioni Zagato aveva introdotto nuovi stilemi che si staccavano nettamente da quelli di tutti gli altri carrozzieri contemporanei. È famosa la frase di Elio “Vedi quell’auto? È diversa da tutte le altre, è una Zagato”. I canoni di bellezza convenzionali riferiti all’auto sportiva – per Zagato – non esistevano, egli ne aveva creati di nuovi, dove la bellezza è direttamente funzionale alla meccanica, alla velocità e all’aerodinamica. In questo contesto di eventi, arrivò l’incarico di realizzare la versione sportiva della Lancia Appia, presentata al Salone dell’Auto di Torino nel 1953. Il nuovo modello Lancia, che andava a sostituire l’Ardea, si poneva in diretta concorrenza con la FIAT 1100/103 presentata poco prima, decisamente meno costosa a parità di cilindrata, ma con soluzioni tecniche meno raffinate e dotata di interni meno eleganti.
Per il suo nuovo modello, Lancia non aveva chiesto l’omologazione nella categoria Turismo, esattamente come già era successo con l’Aurelia per la categoria GT, probabilmente perché non credeva ancora in questo tipo di promozione pubblicitaria e per cui impiegò un intero anno a capirlo.
I piloti privati però sono imprevedibili e nel caso dell’Appia fu una donna di soli 19 anni, Mimi Schiagno figlia del concessionario Lancia di Aosta, osare di portarla per la prima volta in gara appena un mese dopo la sua presentazione. Fu costretta a iscriverla nella classe superiore Gran Turismo e nonostante la piccola cilindrata ed i pochi cavalli riuscì ad ottenere buoni risultati. Fu così che con la seconda serie e vedendo l’interesse del pubblico e dei piloti per il suo nuovo modello, Lancia decise di inserirlo nella categoria Turismo. Al contempo predispose circa tredici telai che differivano da quelli strettamente di serie delle berline, per la leva del cambio posto a pavimento rispetto a quello al volante e li mise a disposizione dei carrozzieri più prestigiosi per le rispettive interpretazioni.
Fu così che Pininfarina realizzò un coupé dalle linee molto eleganti e tese, con le codine tipiche e di moda all’epoca. Vignale, attraverso il suo designer Giovanni Michelotti, utilizzò la stessa filosofia, improntata all’eleganza della linea e degli interni. Zagato, volendo creare un coupé sportivo, affrontò il tema prendendo le distanze dagli stilemi di eleganza convenzionali ed attraverso una continua sperimentazione e ricerca aerodinamica sviluppata personalmente da Elio Zagato, propose modelli diversificati ed in costante evoluzione, per la seconda e terza serie. I modelli proposti da Pininfarina e Vignale entrarono da subito nei listini Lancia per una commercializzazione diretta attraverso le concessionarie ufficiali, ma così non fu per Zagato che si procurava telai Lancia per poi commercializzarli come “fuori serie”, oppure erano i clienti ad acquistare direttamente dalla casa madre i telai, per farseli vestire in modo quasi sartoriale, personalizzato e diversificato.
Giuseppe – per gli amici Giuse – è un grande appassionato di auto d’epoca soprattutto dal carattere sportivo, in quanto amante delle gare dedicate a questa categoria. Sono molte le sue partecipazioni a Rally Storici, cronoscalate, regolarità e prestigiose partecipazioni alle rievocazioni dei più importanti circuiti cittadini d’Italia. L’attenta ricerca e scelta delle sue auto è sempre stata condotta e finalizzata per caratteristiche tecniche e anno di produzione, alla possibilità di poter partecipare a determinati tipi di gara. Ma come ci racconta lui stesso, verso la fine degli anni 80 del secolo scorso “Non ho saputo resistere a quella Lancia che da un po’ di tempo mi faceva l’occhiolino da dietro il cupolino in plexiglass dei fari anteriori “. Quella Lancia è l’Appia Zagato GTE soprannominata anche “bassotto” di questo servizio, che come tutte le auto storiche recuperate, ha una sua particolare storia.
L’auto era ferma da molto tempo e in completo stato di abbandono, ricoperta da una spessa coltre di polvere che a malapena lasciava intravedere la vernice rossa ed una fascia gialla che ne percorreva tutta la carrozzeria in modo asimmetrico sul lato guida. Questo era un particolare molto interessante e come aggiunge Giuse, “la diceva lunga su che tipo fosse stato il proprietario di allora”. La mancanzadella targa, del parabrezza anteriore e la presenza di alcune ammaccature, evidenziavano chiaramente che quella Zagato doveva aver avuto qualche problema nel suo passato.
L’auto giaceva ferma in quelle condizioni a causa di un grave incidente avuto dal precedente proprietario con un ciclista e per questo fatto era stata sequestrata e radiata. Successivamente è stata oggetto di un’asta pubblica ed acquistata da un collezionista ligure, il quale per mancanza di spazio l’aveva praticamente lasciata con altre auto nell’autorimessa di un amico. Nonostante tutti questi problemi, le linee tondeggianti e sinuose dell’ Appia Zagato avevano irrimediabilmente attratto e affascinato Giuseppe. Il prestigio di possedere una Lancia particolare e il desiderio di possedere un’auto più vecchia rispetto a quelle avute sino ad allora, costituivano gli ingredienti perfetti per giustificare la sua quarta storica. L’acquisto aveva rappresentato per Giuseppe un momento di grande gioia, inoltre non era stato difficoltoso: viste le condizioni dell’auto il prezzo era accessibile, anche se il restauro si rivelò piuttosto sofferto, per la difficoltà – come sempre accade – di reperire le parti mancanti.
La carrozzeria è stata completamente risistemata dalle ammaccature, il parabrezza anteriore – pezzo molto difficile da ritrovare – è stato recuperato presso un collezionista cultore di modelli Appia, fortunatamente in possesso di molti pezzi di ricambio. Sulla vernice Rosso Arcoveggio, essendo ancora quella originale, ovviamente vissuta e testimonianza del suo passato sportivo, si è intervenuti il meno possibile. I cupolotti in plexiglass dei fari anteriori sono stati completamente rifatti utilizzando uno dei vecchi per fare il calco in negativo e da questo si è successivamente ricavata la forma in positivo in vetroresina trasparente, utilizzata poi sull’auto. Infine per non essere da meno rispetto al precedente proprietario, Giuseppe – fedele al suo spirito corsaiolo – aveva montato due sedili anatomici, cinture di sicurezza a quattro punti, roll-bar, sostituito il volante originale che deriva dal modello berlina con un prestigioso Nardi dalla corona in legno e dopo una leggera preparazione al motore si era avventurato nel mondo delle competizioni.
L’Appia si dimostra molto piacevole nella guida, ma con il suo piccolo motore e i pochi cavalli “non è certo un mulo e ama essere trattata con i guanti, da prima donna” precisa Giuseppe. Così dopo qualche esperienza agonistica è stata riportata allo stato originale, come si presenta attualmente. Come detto si tratta del modello GTE, costruito nel 1959 ed immatricolato ad aprile 1960 su telaio Appia seconda serie numero 81201 3274, riportato anche nel libro di Gino Giugno “LANCIA APPIA ZAGATO” a pagina 212, nel capitolo dedicato ai telai ed alla loro destinazione. Nel caso specifico, questa GTE era destinata a Max Hoffman, il noto importatore americano di auto europee. Non si sa se ciò sia realmente avvenuto, per la difficoltà di poterne ricostruire storicamente i passaggi di proprietà.
L’auto, come anticipato, era stata sequestrata e poi radiata, quindi privata delle targhe ed in ultimo tutta la documentazione depositata presso gli uffici della Motorizzazione di Alessandria è andata dispersa nel corso dell’alluvione del 1994. Sono le 10 del mattino quando raggiungiamo il “Golf Colline Del Gavi” di Tassarolo in provincia di Alessandria, per realizzare il servizio fotografico. Giuseppe parcheggia la Zagato ed io osservo i golfisti che le passano accanto curiosi per raggiungere le buche, senza però saperla riconoscere. Qualcuno riesce addirittura a scambiarla per un’auto sportiva inglese. La curiosità è tale da destare l’attenzione del Direttore del Golf che ci raggiunge e ci fa gentilmente segno di seguirlo conducendoci su una delle buche ed indicandoci dove poter posizionare l’auto. Non potevamo sperare di meglio.
La scenografia inaspettata e il fondo verde del campo da golf erano perfetti per mettere in risalto le linee morbide, sinuose e tondeggianti della rossa Zagato. La luce perfetta perché il cielo era velato, tale da non creare contrasti o riflessi. Posta in quel contesto naturale di prati ed alberi, lontana dal confronto con le auto attuali, la GTE recuperava ai nostri occhi il corretto rapporto dimensionale di un tempo, mostrando tutta la sua dinamica sportività così bassa, snella ed essenziale, dimostrando inoltre di essere rimasta la più giovane delle sorelle vestite dai carrozzieri di quel periodo, proprio perché lontana da quegli stilemi che generalmente ne identificano il periodo di costruzione.
La carrozzeria è completamente in alluminio, tutti i vetri laterali sono realizzati in plexiglass, le maniglie per l’apertura delle porte del tipo a pulsante che premuto fa fuoriuscire dal filo della carrozzeria la bacchetta incassata che serve per l’apertura. Questo tipo di maniglia era stato molto utilizzato negli anni 50 e 60 sulle auto sportive e riproposta in tempi moderni (negli anni 90 dello scorso secolo) per esempio sulla FIAT Barchetta. L’assenza dei paraurti cromati ne esalta ancor più la pulizia della carrozzeria. L’abitacolo elegante ma essenziale e con due posti secchi rispecchia il carattere sportivo dell’auto, la strumentazione formata da tre elementi circolari è posta quasi a raggiera intorno al piantone dello sterzo, con il contagiri in posizione centrale e sopraelevata rispetto agli altri due strumenti in modo tale da essere ben visibile a chi guida. A destra il contachilometri con scala sino a 200 Km/h, a sinistra i vari indicatori: livello benzina, termostato temperatura acqua, manometro pressione olio e spie degli indicatori di direzione. Sulla destra del cruscotto e disposti orizzontalmente ci sono tutti i pulsanti dei comandi secondari ed a sinistra sul piantone dello sterzo la leva multifunzione degli indicatori di direzione e commutazione fari. La chiave per l’accensione avviamento motore si trova normalmente sulla estrema sinistra del cruscotto, ma in questo caso tale comando è stato spostato sulla destra con i comandi secondari, al momento di montare il roll-bar, in quanto la stessa ne impediva il suo posizionamento.
Generalmente, su questo modello i cerchi ruota erano gli stessi in acciaio montati sulla berlina, ma su richiesta per i clienti più corsaioli erano disponibili altri due tipi di cerchi. Quelli in lega leggera della Amadori Campagnolo, oppure i bimetallici della Borrani, strutturalmente più robusti in quanto la parte centrale che viene avvitata sul mozzo ruota è in acciaio ed il canale sul quale viene montalo lo pneumatico è in alluminio, fissato con rivetti alla parte centrale in acciaio. Questi ultimi sono quelli montati sulla GTE, a dimostrazione di “che tipo fosse” il primo proprietario. Apriamo il cofano motore che è incernierato frontalmente ed opportunamente sagomato e rialzato verso il parabrezza in modo tale da permettere lo sfogo dell’aria calda dal motore: quest’ultimo è molto compatto in quanto a V stretta, lo si nota subito dai due coperchi valvole che su questo modello sono color alluminio, rispetto alle altre versioni rifinite con la classica vernice goffrata nera. Il carburatore Weber è del tipo invertito verticale, con tromboncino orizzontale fatto montare dall’attuale proprietario – di serie montava il classico filtro rotondo e piatto. Nonostante la carrozzeria sia di colore rosso, il vano motore e il vano bagagli sono verniciati in nero opaco, come su tutti modelli di Appia Zagato.
La GTE può essere considerata il quinto modello prodotto dalla Zagato. Cronologicamente il primo risale al 1956, definito “cammello” per la particolare carrozzeria a tre volumi caratterizzata dalla doppia gobba sul tetto e sui cofani anteriore e posteriore. Questo stesso prototipo, opportunamente modificato attraverso l’eliminazione delle due gobbe su entrambi i cofani, venne iscritto alla Mille Miglia del 1957 con il N.015. Da questo prototipo era derivato – sempre nel 1957 – il modello siglato GT, al quale era stato affiancato il modello GTS o GTZ per distinguerlo dal precedente che era dotato delle caratteristiche ed inconsuete pinnette aerodinamiche disposte sopra i parafanghi posteriori e da un motore più prestazionale. Contemporaneamente a questi due modelli con carrozzeria a tre volumi – siamo nel 1958 – erano stati predisposti tre prototipi sui telai 1875, 2130 e 2131, i quali differivano dai modelli GT e GTS per le carrozzerie molto più aerodinamiche e a due volumi, con frontale basso e coda arrotondata che molto ricordavano l’ Alfa Romeo Giulietta SZ.
La linea di questi tre prototipi preannunciava nella coda e nel fianco quella che sarà la GTE ma anche la Flaminia Sport, le quali verranno prodotte l’anno successivo nel 1959. La GTE (Gran Turismo Esportazione) presenta infatti un corpo vettura a due volumi molto basso e allungato, soprannominato “bassotto” perché in una pubblicità dell’epoca venne presentata con un cane di tale razza che aveva sul fianco impressa la bandiera a scacchi. Il messaggio era semplice e chiaro: un Bassotto da Corsa. Questo modello venne realizzato in circa 200 esemplari distinti in due serie successive, la prima quella dell’articolo su telaio Appia seconda serie con i fari anteriori carenati. La seconda, su telaio Appia terza serie, riconoscibile per fari anteriori privi dei cupolotti in plexiglas e quindi non carenati, per effetto del nuovo codice della strada che non li ammetteva più. Continuò però ad essere costruita per un certo periodo parallelamente al modello Sport che uscì nel 1961, disegnata da giovanissimo designer Ercole Spada, il quale ne accorciò il passo attraverso il taglio trasversale del telaio, rendendola in tal modo ancor più maneggevole e veloce. Con questo modello si chiude l’evoluzione e la storia dell’Appia Zagato. A testimonianza dell’ottimo lavoro svolto in quegli anni, va ricordato che nel 1960 alla Carrozzeria Zagato viene riconosciuto e consegnato l’ambito premio “Compasso d’Oro” per il design industriale.