Le Auto Che Ci Hanno Svelato Il Divertimento Alla Guida
A cura della redazione
C’è un preciso momento in cui tutto ha preso finalmente forma. Certo, la passione per le auto era già una fiamma che ardeva nel cuore di un giovane appassionato, ma era ancora tutta una questione di immaginazione e aspettativa e – si sa – alle volte si resta delusi. Non in questo caso, perché in quell’istante in cui ti sei reso conto che un’automobile e la strada sapevano toccare corde che ancora non pensavi di possedere, si è aperta una nuova consapevolezza e tutto ha assunto un altro sapore, quello di un mondo fatto di rumori, movimenti ed emozioni che avrebbero dato tutto un altro significato ad ogni attimo trascorso alla guida.
Siamo tutti legati alla nostra prima auto, anche se nella stragrande maggioranza dei casi sarà stata una vecchia utilitaria pronta a immolarsi nel nome dei primi parcheggi, di qualche errore di calcolo e di un azzardo di troppo. Fondamentale per imparare davvero a guidare. Lo stesso vale per quelle dei nostri genitori, che ci hanno accompagnato durante l’infanzia, o lungo le vacanze estive. Su quei sedili posteriori c’era il nostro mondo e mentre giocavamo a guidare seduti dietro al sedile del guidatore, sognavamo il giorno in cui avremmo stretto noi il volante. E così, durante una settimana estiva in cui si cerca refrigerio dal torrido caldo di metà agosto, alcuni di noi si sono seduti al grande tavolo delle riunioni e abbiamo cominciato a raccontare qualche aneddoto, finendo per renderci conto che tutti identifichiamo un’auto in particolare come la vera responsabile della nostra passione per la guida. Alcune sono insospettabili e nessuna sarà una esotica supercar, ma la assoluta magia che hanno saputo scatenare le rende meritevoli di un posto speciale nel nostro cuore, un posto che niente e nessuno potrà mai insinuare.
VOLKSWAGEN CORRADO (Carlo Brema)
All’inizio degli anni 90 era la VW più cool del momento, ma a dirla tutta lo è anche oggi. La Corrado ha una linea tutta sua, una compatta che profuma di coupé, con un posto guida raccolto e un motore tutto pepe anche nella versione meno spinta, quella equipaggiata da un 2-litri da 116 cavalli, accoppiato ad un cambio 5 marce e la sola trazione anteriore. Ero giovane, con pochi soldi e con una voglia di correre superiore alle mie reali capacità. Ecco perché mia madre non rivolse la parola a mio padre quando accontentò il desiderio di un giovane scapestrato che non vedeva l’ora di personalizzare la propria auto e andare a caccia di curve.
La Corrado non era perfetta, pativa di un notevole coricamento e sottosterzo, ma a me importava ben poco, tolto il fatto che all’epoca erano difetti di cui probabilmente nemmeno mi rendevo conto. Era rumorosa, anche con lo scarico di serie, aveva un look inconfondibile ed era mia, la prima auto che avevo davvero desiderato. Ricorderò sempre il giorno che io e mio padre la portammo a casa. Non stavo più nella pelle e ho trascorso il primo anno lavandola ogni domenica e ogni giovedì sera, quasi al punto da rovinare la vernice. Quei 116 cavalli suonavano divinamente e più la guardavo, più mi piaceva. È lei – o dovrei dire lui, del resto si chiamava Corrado – che ha trasformato una grande passione in qualcosa di più, guidandomi lungo la strada che mi ha reso un caso disperato di malato di auto.
MERCEDES-BENZ SLK 280 (Andrea Balti)
Ok, datemi dello snob, dite che sono arrivato tardi alla festa, ma ammettete che l’abbia fatto con stile. Il fatto di vivere nel centro di una grande città non ha certo aiutato la necessità di prendere la patente presto come i miei coetanei, ma quando mi sono svegliato ho puntato in alto, complice anche il fatto che non vi erano ancora limitazioni di potenza per i neopatentati. Chissà cosa pensavano i miei genitori quando mi hanno dato le chiavi della mia SLK 280, raccomandandosi soltanto di “farmela durare”. V6 da 3.000 cc, 231 cavalli che dovevano essere tirati giù a quota 6.000 giri, quel cofano motore che chiamavo baby-SLR e la stella a tre punte sul volante. Tra le mie mani, una delle ultime Benz interessanti.
La SLK di seconda generazione era una piccola supercar, non soltanto per via del suo look. Mantenendo la compattezza che contraddistingueva il modello e ficcando sotto al cofano un motore di questo caratura garantiva livelli di divertimento alla guida incredibili e che per un ragazzo fresco di patente erano qualcosa di impensabile, misto alla miglior ricetta per un sovrasterzo troppo ottimistico. Quante volte sono finito in testacoda – nel mio fedele piazzale delle prove – ma quando mi resi finalmente conto della sensazione di poter governare quel posteriore fumante in uscita di curva capii che avevo recuperato gli anni persi ad attendere la patente. Avevo recuperato nel modo più divertente possibile.
MINI COOPER (Alessandro Marrone)
La storia è più o meno la stessa per tutti, immagino. La prima auto non è mai quella che vorresti, ma è quella che ti insegna a guidare. È quella successiva che brami a lungo e che quando finalmente arriva in garage diventa il tuo mondo. Ho sempre visto la mia MINI Cooper R50, gialla con stripes e tetto bianco ed equipaggiata con Chili Pack, come il simbolo definitivo di libertà. Quando ottieni la patente non dipendi più da mezzi pubblici, parenti o amici. Sei tu, la tua auto e chi vorrai tu, ovunque lo vorrai, perlomeno sinché i pochi soldi a disposizione per la benzina te lo permetteranno.
La Cooper montava un 1.6 da 115 cavalli, una potenza che adesso non fa gridare al miracolo, ma che abbinata al vero go-kart feeling e ad uno scarico (stock) tutt’altro che silenzioso, non desiderava altro che una strada piena di curve. Di fronte ai miei occhi soltanto l’essenziale: il contagiri. Poi, una volta terminata la fase dedicata al divertimento, toccava al relax e anche in questo la MINI era grandiosa.
RENAULT CLIO RS (Matteo Lavazza)
Utilitarie? Ma no dai. City cars? Non scherziamo. Patente presa significava soltanto una cosa: Clio RS. Era il 2007 e dopo innumerevoli lavoretti estivi ero finalmente riuscito a mettere da parte i soldi per la mia prima vera e propria auto: una Golf GTI. Peccato che appena qualche mese prima Renault ha presentato la terza generazione della Clio RS. Fu amore a prima vista, di quelli viscerali, folli. 64 giorni dopo era in garage. Stiamo parlando della RS 2.0 16v con cambio manuale a 6 rapporti e 197 cavalli. Larga, bassa, rumorosa, scomoda sulle lunghe distanze e capace di bere un intero serbatoio nel tragitto casa-università. Ma era mia ed era quella giusta.
Come l’ho capito? Del resto ho fatto un po’ un salto nel buio, puntando per una vettura plasticosa, con uno tra gli abitacoli più miseri in circolazione e un’elettronica che non dava problemi soltanto a motore spento. L’ho capito appena terminato il rodaggio, nel preciso istante in cui ho buttato giù il gas a pavimento e mi ha avvolto nei suoi sedili sportivi, dicendomi quasi “Matteo, sono la tua ossessione più grande”. E così è stato, almeno sino a quando ho stupidamente messo fine alla sua esistenza dopo aver tagliato male una curva e averla fatta carambolare in un prato a tetto in giù. Scusami piccola Clio, nessuna è stata più alla tua altezza e il semplice motivo per il quale non ne compro un’altra identica è che non voglio intaccare il ricordo di quei bellissimi – e folli – tempi andati.
AUDI COUPE (Andrea Albertazzi)
Il giorno in cui mio padre decise di vendere la sua Audi Coupé del 1993, giocai tutte le mie abilità persuasive per non farla permutare per la nuova Mercedes. E ringrazio Dio che mi abbia ascoltato. L’abbiamo sistemata nel garage della casa di campagna e coperta in attesa che divenni abbastanza grande da poter prendere la patente. Tutto il resto è storia, o meglio ciò che mi ha portato fin qui. La Coupé resta a mio parere una delle migliori auto mai prodotte. Questa – acquistata nuova ben 21 anni fa – è una B4 spinta dal 2.3-litri da 5 cilindri e 133 cavalli. Trazione integrale quattro, quattro posti e l’immancabile spoiler alla base del lunotto. Era un sogno.
Una volta raggiunta la maggiore età e ormai pronto alla patente, cominciammo a rinfrescarla, sostituendo la batteria, pneumatici, olio motore e tirandola fuori dopo un letargo che l’aveva tenuta lì per anni, per me. Inutile dire che le prime guide erano caratterizzate dalla difficoltà di non farla spegnere in partenza da ferma – la frizione era davvero troppo morbida e alta – ma una volta presa dimestichezza è stata capace di accompagnarmi dai miei primi chilometri alla guida, sino ai migliori della mia vita, supercars incluse. La Coupé viaggia da Dio ancora adesso dopo quasi un quarto di secolo. Ovviamente non la utilizzo tutti i giorni, ma ho tagliato da poco il traguardo dei 180.000 km, tutti percorsi dalla famiglia Albertazzi.
BMW 850i (Marco Mancino)
C’è sempre quello che non rispetta le regole, in questo caso sono io. La mia infanzia automobilistica è stata costellata da una miriade di auto divertenti e non saprei davvero identificare quando e quale sia stata l’artefice del mio destino. Posso però senza ombra di dubbio sancire quanto la BMW 850i di un collega di mio padre mi abbia spalancato un mondo nuovo, fatto di velocità e sensazioni che pensavo di aver già conosciuto con le più modeste sportive che avevo guidato fino a quel giorno. È lei che rappresenta il ricordo più vivo di tutti.
Ho ben impresso nella mente quel pomeriggio: rettilineo vuoto, gas a tavoletta e l’enorme muso della BMW che si alza verso il cielo. I 300 cavalli spingono subito e mentre il cambio automatico mette un rapporto dopo l’altro, facciamo in tempo a ingranare soltanto la quarta che la strada dritta volge al termine, costringendo ad alleggerire. Guardo mio padre accanto a me e ridiamo come matti. Torniamo indietro e lo facciamo ancora e ancora, per poi scoprire che nonostante il peso e un handling non certo sopraffino, la 850 era divertente anche fra le curve. E bellissima, tutt’oggi avanti coi tempi, a differenza di quelle oscenità che stanno uscendo da Monaco di Baviera. Sì, quel giorno ho capito che sino a quel momento avevo soltanto scalfito la punta di una passione che mi fa battere il cuore ogni giorno.