Nonostante quello sguardo fin troppo simpatico, l’Alpine vuole essere guidata con prepotenza, gettata nei tornanti anziché accompagnata, facendoti pestare con decisione sul pedale del freno a ridosso della curva, sperando in qualche modo di sbilanciarla e scoprire se esista un modo per metterla in crisi.
CLIMB #01 | COL DE LA BONETTE
ALPINE A110
Testo di Alessandro Marrone / Foto di S. Lomax
Ogni viaggio che si rispetti comincia di primo mattino, con la sveglia che fa tremare il comodino e interrompe i sogni notturni e lascia spazio a quelli diurni. Questi prendono forma lentamente, ma soprattutto dopo una provvidenziale colazione a base di cornetti e caffè, molto caffè. Il problema è che oggi la sveglia ha deciso di andare in vacanza e la partenza alle prime luci dell’alba si è trasformata in una frenetica corsa contro il tempo, con Steve (il fotografo, ndr) e Andrea (il più temibile collega nella corsa al buffet della colazione, ndr) che ci davano per dispersi e approfittavano del campo libero per mettere sotto i denti qualche pan-au-chocolat di troppo. Per fortuna ci troviamo già in zona e dopo aver guidato lungo gli stretti tornanti del Col de la Cayolle nella giornata di ieri, sarà finalmente il turno del primo dei giganti delle Alpi, la prima tacca sulle vette da conquistare in questo 2020 che ci ha letteralmente stravolto i piani.
Il Col de la Bonette è a poche dozzine di chilometri e nonostante siano le 8.30 inoltrate, il sole non è ancora riuscito a farsi spazio tra la fitta coltre di nubi. Tutt’intorno a noi, una spessa nebbia impedisce di vedere oltre qualche metro dal proprio naso, non lo scenario che avremmo ipotizzato, soprattutto dopo aver trovato una piacevole giornata di sole durata dal mattino al tramonto, appena poche ora fa. Sei arrivato fin qui, avendo la meglio su un’agenda che un giorno dopo l’altro compie i salti mortali per incastrare prove, eventi e tutto ciò che ruota attorno alla cosiddetta ripartenza post-Covid e tornare indietro e riorganizzare le idee non è una opzione da prendere in considerazione. Tempo di mettere i bagagli sulla vettura di supporto, stivando nei due vani di carico dell’Alpine A110 Légende soltanto lo stretto indispensabile, un paio di giubbotti pesanti per fronteggiare un’eventuale diminuzione delle temperature e parte dell’attrezzatura fotografica.
Ieri abbiamo percorso un valico altrettanto interessante e panoramico, respirando a pieni polmoni la fresca brezza di uno dei luoghi più incontaminati delle Alpi francesi, ma quando si tratta del Col de la Bonette tutto assume un fascino ancora più speciale, un po’ perché con i suoi 2.860 metri si tratta della strada asfaltata più alta d’Europa (anche se unicamente grazie ad una astuta trovata del Dipartimento che ha letteralmente costruito un anello d’asfalto che ruota attorno alla vetta stessa, quel che basta per ottenere il primato), ma soprattutto per il fatto che la larghezza della strada e la incontaminata bellezza di un paesaggio costellato da ruderi, rovine e una vegetazione che si fa sempre più sporadica man mano che ci si arrampica verso l’iconico monolite, rendono l’arrampicata una delle esperienze alla guida più entusiasmanti che si possano provare. Se non avete ancora percorso la Bonette, dovete assolutamente rimediare, possibilmente a inizio estate o inizio autunno, quando i prati cominciano a tingersi di arancione.
Oggi è come addentrarsi in un enorme muro bianco, con le curve che si delineano troppo tardi per consentirci di tenere un passo nemmeno lontanamente simile a quello che la A110 potrebbe offrire su una strada di questo tipo. Accostiamo e scendiamo per fare il punto della situazione. Allontanandosi di qualche metro possiamo sentire il click della reflex di Lomax, che stoicamente si dedica ai dettagli e all’abitacolo di questa versione Légende. Con i suoi sedili in pelle marrone sottolinea come una superlight possa anche essere la scelta ideale per un viaggio più lungo del solito, ma su questo non avevamo dubbi, perché del resto se la destinazione è un passo di montagna dai mille tornanti, ogni sacrificio è sopportabile, esattamente come la mancanza di vani portaoggetti – fatta esclusioni di quello sotto al tunnel del cambio e dell’astuccio optional posto tra i due sedili. In fin dei conti cosa ti aspetteresti da una sportiva che si chiama Alpine, se non l’opportunità di trovarti a tu per tu con una piccola sportiva che tira fuori 252 cavalli da un apparentemente semplice 1.8 turbo da 4 cilindri?
Dinamicamente sempre molto prevedibile, l’A110 riesce ad offrire la reattività di un peso contenuto di poco sopra alla tonnellata (1.123 kg) alla provvidenziale coppia massima di 320 Nm erogata ad appena 2.000 giri, consentendoti di entrare in curva con il gas spalancato e giocare con le sue doti dinamiche, oppure prediligere una guida pulita e sfruttare la potenza del turbo come se stessi giocando al gatto col topo inseguendo il punto di corda successivo. Con il passare dei minuti e il sole ancora parzialmente nascosto da qualche parte sopra di noi, il Col de la Bonette inizia a mostrare le sue forme, offrendo finalmente maggiore visibilità, ma lasciando tuttavia ancora qualche chiazza umida sull’asfalto. Un rapido sguardo d’intesa e da modalità Sport passiamo a Track, inibendo il controllo trazione della A110 e sfruttando i tornanti più larghi per prendere le misure con l’apertura del posteriore, giusto per assicurarmi di non essere arrugginito nel corso della notte.
Il 1.8 strilla che è un piacere e la mancanza di una trasmissione manuale viene subito perdonata una volta che nel misto più intenso ti rendi conto che tenere le due mani ben salde sul volante consenta di osare qualcosa in più rispetto al solito, sfruttando la leggerezza e le ridotte dimensioni del corpo vettura. Il nostro è un andirivieni continuo e mentre il 4 cilindri ingurgita benzina come un alcolizzato nel cuore dell’happy hour, affronto il mio tratto preferito, quello che rientrati definitivamente nel budello del passo ci guida lungo i tornanti attorno al Fortino de Restefond. Con la coda dell’occhio riesco a vedere Lomax in cima al tornante superiore e con la strada tutta per me getto la Alpine da una curva all’altra con l’intenzione di sollecitare gli pneumatici sino al limite della loro tenuta. Il comportamento della A110 è sorprendente e schizza fuori dalle curve senza perdere nemmeno un giro motore, con un sottosterzo reso inesistente nel momento in cui preferisci caricare il peso al posteriore. E la giostra prosegue per chissà quanti altri chilometri, raggiungendo il monolite non più avvolto dalla nebbia, ma ancora all’ombra delle nubi minacciose che si nascondevano oltre il fitto banco bianco.
L’A110 Légende mantiene le caratteristiche dinamiche della Première Edition guidata mesi fa, offrendo una guida precisa e coinvolgente anche in modalità Sport, con il controllo trazione attivo che rende senza dubbio più alla portata di tutti un’arrampicata di questo tipo, con un fondo stradale umido e che può nascondere qualche insidia a livello di grip. L’attimo che allenti la presa sul volante dimostra di essere la più piccola GT che 61.000 € possano comprare e poco importa se il navigatore integrato non è preciso e se la chiave in plastica è sostanzialmente identica a quella di una Clio qualsiasi. L’Alpine sa esattamente dove solleticare la fantasia del proprio guidatore, facendolo sentire un vero e proprio pilota grazie a feedback sempre chiari e semplici da interpretare. È probabilmente questo l’aspetto più interessante dell’alpinista francese, il modo in cui riesce a comunicare con chi la conduce, che potremo paragonarlo simile a quello di una Lotus, senza il compromesso di dover diventare contorsionisti per salire e scendere e con un servosterzo che nel complesso funziona bene e non penalizza il piacere di pennellare le curve.
Molti ciclisti la osservano, alcuni chiedono di che auto si tratti e soltanto quando menzioni il nome Alpine, rispondono tutti alla stessa maniera “Ricordo quella degli anni 70”. In quel momento è come risvegliare le memorie d’infanzia, le stesse che una vettura creata con il divertimento quale obiettivo principale ti porta sul tetto d’Europa e non chiede altro di poter riprendere l’avventura, addentrandosi nel versante meridionale del Colle, superando gli edifici abbandonati di Camp des Fourches e discendendo sino ai piedi del passo, dove abbiamo concordato che la strada migliore per rientrare in Italia non fosse né la più breve, né la più scontata, ma la stessa dalla quale eravamo arrivati. “Questo significa che dobbiamo tornare su?” mi chiede Steve. “Certo, è proprio questo il punto”. L’ennesimo sguardo d’intesa, l’ennesimo appostamento a bordo strada, senza bisogno di avvisare del mio arrivo tramite il walkie-talkie, dato che la A110 scoppietta e sbuffa in cambiata e in rilascio. Nonostante quello sguardo fin troppo simpatico, l’Alpine vuole essere guidata con prepotenza, gettata nei tornanti anziché accompagnata, facendoti pestare con decisione sul pedale del freno a ridosso della curva, sperando in qualche modo di sbilanciarla e scoprire se esista un modo per metterla in crisi. Intono non c’è più anima viva, la strada è tutta per noi e la visibilità è finalmente tale da non creare scrupoli nel momento in cui i giri salgono e il muso sembra alzarsi di qualche millimetro, con le ruote posteriori che si fanno carico di spingere la piccola baguette blu scuro in quel selvaggio serpente d’asfalto che resterà in letargo e sepolto dalla neve anche a inverno inoltrato.
Poco meno di 7 ore e un pieno di 100 ottani fa ero ancora nel mondo dei sogni. Adesso sto sognando ad occhi aperti, percorrendo in loop una delle strade più emozionanti del pianeta al volante di una delle più strepitose sportive in circolazione, il tributo ideale ad uno dei tanti miti dei rally che hanno scritto pagine indelebili nel magico mondo del motorsport. L’A110 non è una scelta scontata – soprattutto da noi in Italia – ma al pari di Lotus, riesce a entrarti dentro e creare un viscerale bisogno di restare al volante e guidare ancora e ancora. È così che si riempiono le memory card e mentre i miei compagni di viaggio si alternano sul sedile del passeggero, ognuno rivelando le stesse impressioni e sensazioni di chi l’ha preceduto, decido di prendere un momento per me stesso e accostare a pochi metri dal fortino più grande. Lasciando il motore acceso e permettendo alla turbina di raffreddarsi – scendo dall’auto e osservo questo fantastico angolo di mondo, un parco giochi naturale in cui l’uomo si avventura per poche settimane l’anno, non potendo nulla contro il grande freddo dell’inverno, dove i monti, i ruderi, i fortini e soprattutto la strada, saranno tutti inesorabilmente coperti da un soffice manto bianco.
L’improvviso risveglio di una mattina cominciata con la fretta addosso, la speranza che le condizioni meteorologiche cambiassero al più presto e gli occhi alla costante e frenetica ricerca di un compromesso tra la concentrazione necessaria per affrontare una strada del genere e il bisogno di catturare immagini che erano ben impresse nella mente, dopo aver percorso questo passo di montagna appena un paio di settimane prima in occasione del “Tour delle Alpi” e quell’indimenticabile arrampicata autunnale dello scorso anno, dove con la Maserati GranTurismo abbiamo risvegliato l’intera vallata. Quasi sembra di sentire riecheggiare il V8 modenese, come se i rumori e le emozioni si cristallizzassero e potessero essere raccolte esattamente dove le avevamo lasciate. Se fosse davvero così, sono sicuro che quando farò ritorno troverò ad aspettarmi anche lo sbuffo del 1.8 turbo della A110 e lo stridere delle gomme nelle curve affrontate con la consapevolezza che giorni come questi – perlomeno quest’anno – sono merce rara. Proprio come auto come la nuova Alpine, divertenti e in grado di creare immediata dipendenza, stordendoti nel giro di poche curve, ricordandoti che dopotutto siamo creature semplici e bramiamo emozioni sempre più forti. Sino alla prossima arrampicata.