Bianchi S9 | Vintage
Testo Remigio Camilla / Foto Alessandro Marrone
Correva l’anno 1934 e sulla scena fece il suo ingresso la Bianchi S9, equipaggiata con motore a 4 cilindri in linea di 1.452 cc. Sotto questa denominazione le officine Bianchi presentavano un nuovo modello molto interessante rispetto alla precedente S5, per il complesso delle sue caratteristiche e dei perfezionamenti introdotti. Un’auto di grande classe per meccanica, finiture di pregio, ricca strumentazione, carrozzeria robusta e ben rifinita, dall’eleganza discreta non appariscente. Un’auto di sostanza dedicata soprattutto ai ceti abbienti, quelli che nella Milano dell’epoca erano definiti “i padrun de ca” (proprietari immobiliari), ma molto apprezzata anche dalla nobiltà. Un’auto perfettamente in linea con la produzione e la filosofia della Edoardo Bianchi.
Nelle pubblicità dell’epoca veniva definita “vettura utilitaria economica di lusso” e le sue doti proclamate “perfezione, distinzione, qualità, economia e sicurezza”. Sicuramente un’auto di lusso, ma di certo con un prezzo non proprio da utilitaria, se la si confronta con la FIAT Balilla, la prima vera utilitaria FIAT venduta a 11.000 Lire, la S9 nella versione base ne costava il doppio e quasi il triplo nelle versioni Coupé e Cabriolet. Con la S9 di cilindrata media, la Bianchi aveva cercato di inserirsi nella fascia delle vetture popolari, entrando in concorrenza con la Lancia Augusta e con l’Artena – di cilindrata ben superiore – e per confrontarsi con la nuova FIAT 1500 6 cilindri che uscirà l’anno seguente. La nuova Bianchi era dotata di un telaio molto irrigidito e ribassato che permetteva di essere vestito con diverse tipologie di carrozzerie, Berlina, Cabriolet, Coupé, al fine di poter abbracciare un’ampia fascia di mercato. Tutte le versioni avevano denominazioni che riconducevano a splendide località italiane di mare e montagna: Mendola, Imperia, Rimini, Riccione, Dolomiti. Non mancavano però modelli dedicati al lavoro come l’autocarro leggero Ambrosino, la versione furgone richiesta anche da Poste Italiane, la trasformazione in ambulanza, il minibus dedicato soprattutto agli hotel. Una particolare versione era stata realizzata per seguire la squadra corse ciclistica BIANCHI nel Giro d’Italia e le varie corse su strada.
Questo modello fu ancora utilizzato nel dopoguerra al seguito di Fausto Coppi. Una particolare versione torpedo denominata Riccione era in dotazione alla Milizia Militare e viene inoltre predisposto un modello Coloniale secondo le specifiche richieste dagli enti statali, dotato di particolari accorgimenti come doppie ruote di scorta, pneumatici maggiorati e serbatoi carburante supplementari. L’arco temporale nel quale la S9 viene prodotta è abbastanza limitato, dal 1934 al 1939 in quanto a causa del coinvolgimento dell’Italia nella seconda guerra mondiale, gli stabilimenti della Bianchi verranno utilizzati per la produzione di veicoli e forniture militari. La loro produzione limitata nel tempo fu dovuta anche alla grave crisi economica nella quale il nostro paese era ormai entrato. L’auto viene prodotta in due serie successive, del 1938 viene introdotto un frontale più aerodinamico attraverso l’adozione di una calandra radiatore curvata e inclinata rispetto a quella della prima serie più rigida piatta e meno inclinata.
Nella versione Cabriolet Dolomiti la capote è leggermente più bassa, snella e curva nel profilo posteriore, su tutte le versioni era possibile avere la carrozzeria con coloritura bicolore. Le informazioni relative a questo modello sono molto limitate, purtroppo tutto l’archivio Bianchi dell’epoca è andato completamente distrutto nel corso di un bombardamento aereo nel corso della seconda guerra mondiale. Interessanti fonti di consultazione sono il libro: “Dalle auto BIANCHI alle Autobianchi” scritto da Sandro Colombo per la Libreria Automotoclub Storico Torino ASI e “Edoardo Bianchi” scritto da Antonio Gentile, Presidente del Registro Storico Bianchi. Quest’ultimo è molto ricco di notizie per quanto inerente al settore biciclette e motociclette, dovuto anche e soprattutto al loro utilizzo e coinvolgimento sportivo su strada ed in pista con corridori e piloti famosi. Sulla S9 sono certi e documentati tutti i dati tecnici relativi al telaio, motore, i vari organi meccanici, i tipi di carrozzeria anche attraverso la stampa e la pubblicità dell’epoca. Il modello è molto raro già nella versione berlina diventando rarissimo e quasi introvabile nelle versioni Coupé denominate Faux Cabriolet tipo Mendola e Cabriolet Dolomiti, pertanto come spesso accade per i modelli rari, si rivelano fondamentali le informazioni rese disponibili dai collezionisti e possessori del modello che nel tempo hanno raccolto materiale, informazioni dai proprietari precedenti, eseguito importanti restauri e nella maggior parte dei casi si conoscono personalmente con reciproco scambio di informazioni a loro utili, soprattutto visto l’esiguo numero di S9 ancora esistenti. Della versione Faux Cabriolet Mendola che corrisponde alla Coupé, pare ne esista un solo esemplare, mentre nella versione Cabriolet Dolomiti ne sopravvivono quattro appartenenti alla prima serie e tre della seconda serie con frontale inclinato aerodinamico.
Avere a disposizione i due modelli, poterli conoscere pienamente in tutti i loro particolari, nella loro eleganza, nella preziosità dei materiali utilizzati per gli interni è stata un’esperienza veramente emozionante ed entusiasmante. L’amico Valerio, attento e raffinato collezionista fortunato possessore delle due auto, ci attende nella splendida cornice dell’Abazia di Staffada fondata nel XII secolo, uno dei più importanti e grandi edifici medioevali del Piemonte nei pressi di Revello in provincia di Cuneo. Le due auto, appartenute a importanti personaggi dell’epoca sono fra loro unite da una interessante storia che si intreccia proprio in questi ultimi anni relativi al loro recupero e che Valerio ci racconta.
La versione Cabriolet denominata Dolomiti, in ordine di tempo è la prima che riesce a conquistare nel vero significato del termine, perché è l’auto che lo ha seguito sino ad oggi, un desiderio maturato da bambino quando il papà lo portava con sé nell’azienda di famiglia a Busca ed incrociavano sul loro percorso la S9. La individuava da lontano con estrema facilità per la linea ormai fuori tempo, seguendola con lo sguardo sino al momento dell’incrocio, rimanendone estasiato e sognando un giorno di poterla avere per sé. L’auto apparteneva a un signore di Busca che l’aveva acquistata nel 1957 da un farmacista di Cuneo che a sua volta l’aveva acquistata nel 1938.
L’auto era stata utilizzata sino ai primi anni 70 del secolo scorso, poi lasciata in custodia presso una concessionaria FIAT in seguito all’acquisto di una vettura nuova. Passano alcuni anni e la concessionaria chiude. La S9 viene sistemata all’aperto sotto gli alberi, per fortuna viene ripresa poco tempo dopo dal suo proprietario che la risistema e la utilizza per alcuni servizi matrimoniali, essendo un’auto elegante con possibilità di essere scoperta. All’inizio degli anni 2000 viene messa in vendita, Valerio non può lasciarsela sfuggire e riesce finalmente a comprarla, la soddisfazione è grande, il sogno di bambino si realizza, ma non sa che da quel momento in poi lo attenderanno una serie di piacevoli “Coups au cœur”. Dopo l’acquisto inizia a documentarsi sull’auto, esegue una ricerca attraverso il Reale Automobile Club d’Italia, scoprendo di possedere una S9 Dolomiti molto importante perché il suo primo intestatario era stato Edoardo Bianchi – proprio lui – il fondatore e proprietario della Edoardo Bianchi Società Automobili e Velocipedi.
L’auto il cui anno di prima immatricolazione è il 1935, appartiene alla prima serie caratterizzata da una calandra radiatore più squadrata e verticale. Con grande attenzione viene condotto un restauro filologico su ogni particolare, anche proprio per la storicità dell’auto, legata al suo primo importante proprietario. Viene completamente rivisto il motore con tutta la meccanica, così come il telaio. La carrozzeria non presentava per fortuna grossi problemi, le lamiere erano ben conservate e prive di ruggine. Su di essa, dopo gli opportuni interventi di preparazione, si è provveduto alla riverniciatura nel rispetto dei colori e degli smalti utilizzati all’epoca. I paraurti sono stati completamente ricostruiti e sostituiti in quanto variati nel tempo e non corrispondenti all’ originale, così come sono stati rimossi i fari anteriori per lo stesso motivo. Valerio ci spiega che i fari originali in ottone cromato realizzati in periodo autartico, a causa della scarsa qualità del materiale utilizzato, tendevano a sfaldarsi ed erano stati sostituiti con quelli della FIAT 1500 6C. Attraverso una paziente ma molta fortunata ricerca, riesce però a trovare due coppie dei fari originali. Particolare attenzione e cura è stata dedicata all’interno, dove sono state recuperate tutte le preziose finiture in radica di legno del cruscotto e delle portiere. Il rivestimento in pelle dei sedili e dei pannelli portiere è stato completamente rimosso e portato alla ditta Foglizzo di Torino, esperto di pellami sin dal 1921. Su pellame nuovo è stato qui riprodotto lo stesso colore d’origine e realizzata la successiva trama utilizzando piastre di stampaggio dell’epoca.
I cerchi ruota a raggi montati erano i suoi originali, Rudge-Whitworth, con finitura cromata, sui quali erano stati montati degli pneumatici Michelin X con spalla troppo bassa che conferivano all’auto un aspetto poco convincente. Rimuovendoli si è scoperto che l’interno dei cerchioni, il canale, era verniciato in rosso scuro, colore coordinato con l’interno dell’auto. Pertanto sono stati riportati cromaticamente allo stato di origine e dotati di nuovi pneumatici a spalla alta, operazione che ha ridato alla Dolomiti il giusto e corretto assetto ed eleganza. La ricerca estetica di coordinare l’interno con l’esterno attraverso i cerchi ruota è un particolare molto interessante della S9, una ricerca di raffinata eleganza di derivazione Art Decò. Se osserviamo l’auto dall’esterno, quando si aprono le lunghe portiere, il pannello in pelle che le riveste si collega visivamente direttamente con il colore dei cerchi ruota, ottenendo una continuità con i sedili in pelle e la parte centrale del cruscotto dove è alloggiata la strumentazione.
Nel 2004 nel corso del restauro della Cabriolet Dolomiti, a Valerio giunge notizia di un camioncino Bianchi abbandonato sotto una tettoia. La curiosità è ovviamente grande ed anche in questo caso non perde tempo e si reca sul posto per prenderne visione. A questo punto avvengono una serie di eventi che hanno quasi dell’incredibile. Ormai da intenditore, ma supportato dai documenti in possesso al veicolo, scopre che si trattava di una S9 prima serie immatricolata nel 1936 e trasformata in camioncino nel 1954. Negli anni del dopoguerra queste trasformazioni da autovettura a camioncino o furgone erano abbastanza usuali, in quanto si aveva una grande necessità di mezzi di trasporto per il lavoro. Valerio ne intravede una possibile fonte di ricambi per la Cabriolet Dolomiti. Trasportato il camioncino in carrozzeria, vengono rimosse tutte le parti incoerenti non originali, quindi il cassone con tutti i vari supporti, scoprendo che i montanti di ancoraggio delle portiere non erano stati modificati nel taglio della cabina, ma erano quelli originali dell’auto, semplicemente spostati in avanti. Le portiere erano state tagliate per ottenere un cassone il più lungo possibile, tutti particolari che destano da subito l’attenzione di Valerio, il quale decide anche in questo caso di condurre una serie di ricerche presso il Reale Automobile Club d’Italia.
A questo punto del racconto se si trattasse di un film ci sarebbe il classico colpo di scena, infatti con altrettanta imprevedibile sorpresa, scopre che il camioncino era in origine un modello Faux Coupé Mendola, ma non basta: il suo primo proprietario era stato il famoso Designer di Tessuti Rista Ugo di Trivero che nel 1936 aveva fondato il Lanificio Biellese “Ugo Rista & C”. I suoi tessuti erano molto famosi e pubblicizzati su celebri riviste di moda femminile. Ugo Rista era sempre ospite d’onore alle più importanti sfilate di moda e con questi presupposti non poteva che iniziare una nuova avventura, un nuovo restauro decisamente più impegnativo rispetto al precedente, dove oltre al recupero filologico di quanto rimasto, occorreva ricostruire quanto a suo tempo era stato rimosso per la trasformazione in camioncino.
La parte di carrozzeria che era rimasta integra comprendeva tutto il frontale, i parafanghi anteriori e posteriori, la pedana che li unisce ed una parte della cabina. Mancava la parte di coda, quella centrale compresa tra i due parafanghi posteriori ed una parte della cabina, i fari anteriori non erano più quelli originali in quanto sostituiti ed i paraurti ricostruiti in quanto mancanti, Con molta pazienza, professionalità e passione sono state ricostruite tutte le parti strutturali in legno di frassino della parte di carrozzeria mancante e la relativa lastronatura metallica, avendo come modello la versione Cabriolet che differiva solo nella parte alta corrispondente al tetto dell’auto. Le porte ridotte in lunghezza, sono state riportate nella loro giusta sagoma e dimensione, i cerchi a raggi Rudge-Whitworth sono stati ripristinati, recuperando la coloritura originaria verde in abbinamento con l’interno in pelle e montati pneumatici corretti. La carrozzeria, terminata tutta la laboriosa lavorazione utilizzando le stesse procedure dell’epoca, è stata completamente riverniciata nel rispetto del colore originale.
Altrettanto impegnativo è stato il recupero dell’interno con tutte le finiture in radica di legno, parecchio logorate dal tempo e dall’incuria nell’utilizzo trattandosi di un mezzo da lavoro. Per i sedili ed i rivestimenti, la ditta Foglizzo ha ripercorso lo stesso iter d’intervento prelevando dei campioni di pelle ancora presenti e riproducendo su pellami nuovi colore e trama corrispondenti all’originale. Contemporaneamente il motore e tutta la meccanica, telaio compreso, venivano rimessi completamente a nuovo. Se la S9 Cabriolet è stata inseguita da Valerio sin da bambino, sembra quasi che la Coupé, dopo aver affrontato l’onta della trasformazione in camioncino, abbia sfidato con pazienza i maltrattamenti, il duro lavoro, l’incuria del tempo e abbia atteso con fiducia chi la potesse riportare al suo prestigioso passato. Oggi è ritornata ad essere la lussuosa Faux Cabriolet Mendola del 1936 con la quale probabilmente il designer Ugo Rista di Trivero raggiungeva le importanti sfilate di moda.
Fra le caratteristiche tecniche della S9 veniva evidenziato dalla Bianchi un sistema di montaggio elastico del motore sul telaio, mediante l’interposizione di 5 tamponi in gomma in altrettanti punti di ancoraggio tali da permettere al motore di avere un certo grado di oscillazione, rendendo minime le vibrazioni dello stesso sul telaio. La carrozzeria era fissata al telaio attraverso otto punti di appoggio protetti, con interposizione di tamponi in feltro con la funzione di ridurre ulteriormente le vibrazioni provenienti dal telaio. Sui cerchi a raggi Rudge-Whitworth venivano montati pneumatici Pirelli Aerlex a bassissima pressione. Il motore è dotato di valvole in testa, la sua alimentazione a benzina avviene tramite un carburatore Stromberg e sviluppava una potenza di 42 cavalli. Il cambio è a quattro marce più retromarcia, la sua velocità massima è allineata con quelle della concorrenza a 100 Km/h.
Come la Lancia Augusta è dotata di ruota libera per ottimizzare i consumi. Su strada si dimostra molto comoda silenziosa con un’ottima guidabilità e tenuta di strada. La carrozzeria della S9 è composta da un sistema misto, realizzato con struttura in legno di frassino stagionato per un anno, alla quale venivano fissati i pannelli in lamiera opportunamente sagomati, ottenendo in questo modo una carrozzeria rigida ed al contempo costruttivamente duttile, tale da permettere eventuali modifiche in corso d’opera senza gravare troppo sui costi. Molto accurata era poi tutta la procedura di preparazione prima della verniciatura. Venivano applicate tre mani di fondo alle quali seguivano tre passaggi di stuccatura, tre di pomiciatura alle quali seguiva l’applicazione dello smalto alla nitrocellulosa ed in ultimo la lucidatura.
L’utilizzo della S9 in ambito sportivo deve essere stato molto limitato. Si ha notizia della sua partecipazione alla 27° edizione della Targa Florio svoltasi il 20 dicembre del 1936, con un ottavo posto per merito del pilota Sergio Matrassa. Un’edizione della Targa Florio che si era svolta con problemi e difficoltà finanziarie notevoli ma al contempo pressata dalla stampa che ne aveva un certo interesse e dove gli organizzatori avevano deciso di svolgerla in extremis e in forma ridotta.