Black & Gold: Lotus 72 F1
A cura di Roberto Marrone
Come ogni due anni, abbiamo avuto modo di rivivere la magica atmosfera delle Formula 1 dei tempi d’oro, grazie G.P. Historique de Monaco, appuntamento assolutamente da non perdere. La memoria è tornata a quegli anni, quando da ragazzino seguivo con ansia ogni GP, tifando per il mio idolo Jackie Stewart. Pur ammirando la sua Tyrrell blu, peraltro sempre innovativa nella forma, sono sempre rimasto attratto da un’altra monoposto, quella che giudico tutt’ora come la più affascinante che sia mai stata costruita, la Lotus 72 (quella con livrea JPS) con la quale Emerson Fittipaldi conquistò il titolo nel 1972. Fu presentata nel 1970 ed il suo sviluppo fu portato avanti da John Miles (recentemente scomparso) il quale affiancava Jochen Rindt, che riuscì, nonostante il tragico incidente di Monza che gli costò la vita, ad aggiudicarsi ugualmente il campionato proprio con la Lotus rossa e d’oro recante la famosa scritta: “Gold Leaf Team Lotus”.
La versione del ‘70 presentava varianti estetiche che riguardavano la presenza di diversi tipi di alettone e nel caso di Monza anche per l’assenza totale delle appendici alari anteriori e posteriore; nel 1971 fu ulteriormente sviluppata la sospensione al retrotreno e maggiorato l’alettone, anche i cupolini prese d’aria dietro al pilota diventavano sempre più grandi, ma fu un l’anno di dominio per lo scozzese della Tyrrell – Emerson ora prima guida non ottenne vittorie. L’anno successivo arrivò la colorazione in nero con filettature oro della J.P.S, e Fittipaldi riuscì ad aggiudicarsi cinque G.P. ed il titolo mondiale. Nel 1973 ci furono introduzioni di nuove regole, tra cui quelle di creare delle strutture deformabili all’interno dei fianchi delle monoposto che diventarono più larghe e necessitarono inevitabilmente di ampie modifiche strutturali: furono tre le vittorie per Emerson e ben quattro per il compagno di Team, lo svedese Ronnie Peterson. La Lotus si aggiudicò il Campionato Costruttori come già aveva fatto nel ‘70 e nel ‘72, ma il Titolo Piloti andò a Jackie Stewart (il suo terzo alloro). Nel 1974 la Lotus 72 sarebbe dovuta essere sostituita dalla Lotus 76, ma forse quel progetto era troppo ambizioso e non dava le garanzie sperate, quindi la 72 rimase ancora sulle piste conquistando il quarto posto in Classifica, con Ronnie che vinse ancora altri tre GP, mentre il brasiliano trovò altri successi e Titolo passando alla McLaren e venne sostituito da Jacky Ickx.
Nel 1975, la “vecchietta Lotus 72” giunse comunque al sesto posto in classifica. Tornando a parlare della vettura voluta da Colin Chapman e progettata dall’ingegner Maurice Philippe è bene dire che lo sviluppo fu portato avanti sin dal 1969, la monoposto inizialmente aveva problemi di eccessiva leggerezza sull’avantreno, c’era un surriscaldamento eccessivo dei freni anteriori e la sospensione anti impuntamento con tirante a potenza variabile, pur se molto ingegnosa, portava ad avere poca sensibilità in frenata e la situazione migliorò solo quando si rimediò ai difetti alle barre di torsione. In gara poi, i guasti erano anche molto più frequenti di oggi e non c’erano aiuti elettronici o computer che avvertivano in tal senso, molte volte una vittoria poteva sfumare per una banalità, anche all’ultimo giro. La caparbietà, la costanza e la professionalità erano le uniche armi. La Lotus 72 diventò più docile da gestire dimostrando presto la sua straordinaria potenzialità. Il motore ovviamente era il classico Cosworth 8 cilindri 3000cc, con il cambio Hewland DG300. Come particolarità montava i dischi anteriori all’interno per ottimizzare e ridurre il peso delle masse sospese, anche se questa soluzione non dava miglioramenti a livello di raffreddamento nonostante spuntassero dalla scocca stessa. La cosa che fa apparire la Lotus 72C e D più moderna rispetto alle altre, è senz’altro la linea con un’aerodinamica portata al massimo, un muso sottilissimo realizzato in fibra di vetro rinforzata con utilizzo di fibre di carbonio; ciò fu possibile spostando i radiatori sulle fiancate, questo oltre a migliorare il coefficiente aerodinamico, permetteva una riduzione e distribuzione migliore dei pesi (altro punto di forza sempre sostenuto dal padre fondatore della Lotus) spostando le tubazioni e guadagnando molto anche a livello di maneggevolezza. Il telaio era convenzionale, monoscocca con telaietto con tubi in alluminio. Molte soluzioni, dai freni sino anche alla linea estremamente filante, erano state prese dal progetto del 1969 della STP a quattro ruote motrici, poi abbandonato. Era stato semplificato anche il fissaggio della coda alla scocca con soli quattro bulloni da 10mm che permettevano interventi di smontaggio del motore in tempi rapidi. I serbatoi gommati trovavano posto nelle pance laterali ed uno attorno al sedile del pilota per un totale di 205 litri di capacità. Durante la prima stagione la vettura montava delle ruote anteriori da 15 pollici (38 cm), mentre le altre le avevano da 13 pollici (33 cm). Altra novità riguardava l’alettone posteriore, un triplano a depressione variabile.
In Formula tutto corre veloce, anche il tempo, e la Lotus 72 sarebbe dovuta andare in pensione a fine ‘73, ma solo nel 1976 venne rimpiazzata, risultando uno dei progetti più longevi di sempre. Colin, come sempre, stava puntando su altre grandi innovazioni e non smise certo di stupire il Circus della Formula Uno (la storia parla per lui). Tornando alla giornata del G.P. Historique di Monaco, erano molte le creature del geniale Chapman e senz’altro balza agli occhi come nell’arco di un decennio (es. 1965-1975) ci sia stata una varietà così grande, vedere una evoluzione di forme, di idee, ma poi il massimo è ascoltare quei rombi che mettono a dura prova i timpani, respirare quell’aria mista a benzina e intensi sapori d’olio. In quei momenti sono stato davvero bene, anche a pochi centimetri dai tubi di scarico ad ammirare quelle auto leggendarie e rivivendo i ricordi di GP irripetibili.