Chi si Ricorda della Volkswagen Golf Country?
VOLKSWAGEN GOLF COUNTRY
Testo di Tommaso Mogge / Foto di Classic-Youngtimers.com
Il segmento degli SUV ha imposto la propria presenza con forza e con i numeri, tanto da soppiantare quasi completamente le monovolume, soprattutto nel momento in cui si è capito che con le molteplici varianti dalle dimensioni più ridotte avrebbero a tutti gli effetti rappresentato la scelta ideale per la tradizionale famiglia alla ricerca di una singola automobile in grado di divincolarsi tra il traffico cittadino, ma al tempo stesso di portare figli e valigie in vacanza per il weekend. I SUV hanno dato vita ai crossover e a quel punto anche le berline e le station wagon hanno perso punti in una torta di mercato sempre più affollata. Vi basti pensare che poco prima che il Covid-19 scombussolasse i piani di marketing del mondo intero, gli SUV venduti in Europa sono stati ben 6,03 milioni, ovvero il 38,3% del mercato totale, un numero pazzesco che conferma quanto questo segmento non sia più visto come qualcosa per pochi, ma piuttosto qualcosa con cui convenga davvero avere a che fare.
La mia mente viaggia indietro nel tempo – non troppo – almeno sino al 1990, anno in cui Volkswagen spiazza la critica presentando una versione della seconda generazione di Golf a dir poco singolare e chiamata Country. Una parola tanto semplice quando ideale per rappresentare il desiderio e la capacità di tastare con mano la libertà offerta da strade bianche, il tutto grazie ad un corpo vettura rialzato fino a 21 centimetri e con numerosi dettagli che sottolineavano quanto VW avesse preso la cosa sul serio, tanto da chiamare in causa gli esperti della Steyr-Daimler-Puch, già alle prese con la FIAT Panda 4×4, e presentare al salone di Ginevra del 1989 il prototipo battezzato Golf Montana.
L’anno seguente, la Golf Country presentava quindi una slitta protettiva al sottoscocca, bull-bar all’anteriore e al posteriore, dove peraltro troviamo anche la ruota di scorta sistemata esattamente come nella migliore tradizione off-road, accentuando ulteriormente quanto in Volkswagen vi avrebbero voluti condurre lontano dalle strade asfaltate. La trazione integrale rendeva la Golf Country l’ideale su terreni scivolosi o sterrati, ma in condizioni normali il sistema Syncro privilegiava l’asse anteriore, fornendo sino al 50% della trazione su quello posteriore, nel momento in cui il sistema lo ritenesse opportuno.
Prodotta soltanto per un anno – dal 1990 al 1991 – in circa 7.735 esemplari, la Country non ottenne il successo sperato, ma non per una sua colpa, quanto invece perché arrivò sul mercato con almeno una decina di anni d’anticipo. Il mondo non era ancora pronto e vedeva questa particolare versione della Golf come qualcosa semplicemente indirizzato al mondo rurale. Niente di più lontano da quello che invece viene percepito oggi, soprattutto parlando di crossover dalle piccole dimensioni, come quella che potremmo definire la controparte contemporanea, ovvero la T-Cross.
A spingerla lontana dalle città un 4 cilindri in linea da 1.8-litri e 98 cavalli, un motore elastico e condiviso con alcune delle unità tradizionali della medesima serie di Golf II, come anche nel caso dell’abitacolo, dove troviamo lo stretto necessario, ma tutto esattamente dove dovrebbe essere. Al pari della GTI, la Country rappresenta una delle varianti più interessanti prodotte sulla base della Golf II, ma nel suo caso non si bada al lato prestazionale, quanto invece al fascino di un oggetto avanti coi tempi e che l’ha resa una meteora adesso nel mirino di collezionisti. Da tenere a mente che a patto di avere la fortuna di trovarne una in buone condizioni e con un sistema Syncro sano, le quotazioni la rendono un ottimo investimento dal futuro assicurato. Un sapore vintage che puntava ad un futuro che oggi chiamiamo presente. Roba da far girar la testa.