Acchiappasogni
Testo di Alessandro Marrone
Foto di Daniele Abbondanza
Se chiudo gli occhi riesco ancora a scorgere chiaramente le linee che davano forma ai miei sogni d’infanzia. Avrei dato tutti i miei giocattoli e le mie videocassette (e fidatevi che erano davvero tante) per avere una Diablo. Quelle portiere a forbice, quel prepotente spoiler al posteriore, quella linea così maledettamente lontana da ogni tipo di compromesso ed un abitacolo che ti faceva subito capire che avrebbe impiegato pochi secondi per mettere a posto il tuo orgoglio. Ovviamente sto parlando di anni in cui il massimo che potevo guidare era la bicicletta, ma nonostante l’acqua passata sotto ai ponti, trovarmi di fronte ad una Diablo, a distanza di 20 anni, mi fa sempre lo stesso effetto. Resto a bocca aperta ed in contemplazione, odiando allo stesso tempo quanto sia diventata osannata da chi neanche conosce la differenza tra SV e VT. È stata l’auto che identifica al meglio la mia infanzia, la mia passione, il mio lavoro e quindi la mia vita, proprio come quel modellino rosso in scala 1/32 con il numero 18 sulle fiancate e con un enorme toro disegnato all’anteriore. L’avevo sempre con me, come non puoi fare con una vettura reale, ma purtroppo non emetteva nemmeno quel boato epico che il V12 della SV dell’amico Alessandro (si chiama come me, sarà un caso?) libera, una volta girata la chiave d’accensione. Diablo, il nome più azzeccato per uno dei più feroci tori che abbiano mai varcato un’arena. Diablo come il diavolo, perché questa Lambo sputa fuoco e fiamme ad ogni accelerata. Diablo come un’icona che vuole essere guidata come si deve, con un cambio manuale, il pedale della frizione e nessun aiuto elettronico. Sei tu e lei, anzi, c’è lei e tu speri che non ti faccia troppo male, proprio quello che il suo proprietario adora – la continua sfida per la sopravvivenza.
In una calda giornata di inizio Agosto ci siamo dati appuntamento con tre amici del SupercarSafari, due dei quali non condividono soltanto un legame di parentela, ma una autentica passione per il toro di Sant’Agata Bolognese, una passione tramandata di padre in figlio e che li ha portati a sfoggiare due miti di ieri, oggi e domani, due regine da poster che sono state in grado di prendere il posto sulle pareti di ragazzi di tutto al mondo, a discapito di modelle e conigliette varie: una Murcielago e la sopracitata Diablo SV. Il terzo cane grosso è la nuovissima Aventador di Luigi, bianca ovviamente. Non c’è spazio per mezze misure – benvenuti nel club più cool. In questo preciso momento ci troviamo alle prese con 36 cilindri e 1.800 cavalli, scatenati dalla migliore produzione Lamborghini degli ultimi decenni. Ognuna ha acquisito uno status che la maggior parte delle rivali non potranno mai raggiungere, un’aurea magica fatta di un sound più vicino al latrato di un lupo mannaro che a quello di un motore – un boato in costante crescendo in grado di far vergognare le Formula 1 moderne. Auto da ammirare, auto da conservare, ma soprattutto auto da guidare e che vogliono essere trattate nel modo giusto. Tra la Diablo SV e la Aventador sono passati 20 anni esatti e tutto sembra esser cambiato: la prima ha il cambio manuale, la trazione sul solo asse posteriore e 520cv pronti a mettere fine alla tua vita, non appena credi di essere in grado di domarla. La seconda è la supercar della nuova generazione, 700cv, trazione integrale ed un cambio automatico con paddle al volante così veloce da necessitare di un display digitale per consentire al contagiri di non restare indietro durante la folle corsa alla linea rossa del limitatore. In mezzo a loro, la Murcielago di Simone – un modello Arancio Atlas del 2003, spartiacque tra le ultime Lambo di “vecchia generazione” e l’arrivo di Audi dietro alle quinte. V12 da 6.2cc, 580cv, trazione integrale ma cambio manuale: un’auto da intenditori, da puristi, da drivers con la testa sul collo e con la capacità di capire quando non è il caso di affondare il pedale sull’acceleratore, per non lasciare i semiassi qualche metro indietro.
Luigi sa farsi riconoscere, non soltanto per l’eccentrica collezione di supercars in abito bianco, ma per il suo stile di guida da hooligan, in perfetta armonia con le sue abilità dietro al volante. Dategli il vostro trattore da giardino e lo metterà di traverso, spazzolando perfettamente il tornantino che gira attorno all’aiuola di fronte al vostro ingresso. L’Aventador l’ha conquistato a tal punto da convincerlo a sostituire la sua “Moby Dick”, una F12 che lo ha accompagnato su e giù per l’Europa negli ultimi mesi – e nonostante la sostanziali differenze a livello di trazione e cambio, conferma quanto sia godurioso sedersi a bordo, chiudere la portiera e premere il tasto di accensione che come in un jet da caccia, è il giusto preavviso per una colonna sonora estrema. A dispetto della propria potenza, la Aventador è una supercar abbastanza domabile, a patto che non le chiediate di mettersi di traverso. L’elettronica deve per forza giocare un ruolo importante, cercando di tenere a bada (ma non troppo) i 700cv di potenza e nel momento in cui il tachimetro aumenta il proprio ritmo, al pari delle palpitazioni del vostro cuore, ringraziate che Audi abbia dato il proprio contributo in termini di affidabilità, sicurezza e precisione alla guida. Come se non bastasse, un impianto di scarico by Capristo sarà presto installato sulla “biancona” di Luigi, insieme a particolari in fibra di carbonio, dopodiché siamo sicuri che non tarderemo molto per vederla in pista, a violentare le gomme su qualche curvone veloce o mettendo allo stremo delle forze il potentissimo impianto frenante. Se lo vedete, date strada, altrimenti verrete spazzati via.
Guidare l’Aventador nel modo giusto è come mettere le dita bagnate dentro una presa di corrente, ma la Murcielago manuale di Simone non è da meno. Ricordo ancora quando, appena presentata nell’ormai lontano 2001, è stata colpevole per aver causato infarti multipli a tutti gli appassionati. Sembrava un’astronave appena scesa sulla Terra, ma ciò che sconvolge maggiormente è quanto il suo look sia così attuale, a 15 anni di distanza. La prima Murcielago, quella di Simone per intenderci, è mossa (molto velocemente) da un V12 da 6.2cc, in grado di erogare 580cv e 650Nm su entrambi gli assi. Il cambio si deve muovere precisamente attraverso la sua gabbia a vista ed il design dell’abitacolo è un mix tra linee moderne ed una strumentazione più obsoleta di quanto possiate aspettarvi – avete presente le auto del futuro protagoniste dei film di fantascienza? È esattamente come ve l’aspettate. Non bisogna farsi trarre in inganno dal fatto di avere la trazione integrale dato che la violenza con cui si muove, una volta che pesterete pesante, sarebbe in grado di mettervi in seria condizione di pericolo. Salire di marcia ad orecchio è come baciare una bellissima donna da dietro ad un vetro, provate piuttosto ad arrivare a 7500 giri e non sarà soltanto il sound dello scarico ad impazzire. La Murcielago va guidata con i guanti di velluto, strapazzata ma nel modo giusto e con rispetto per la sua meccanica: ferma l’ago della bilancia a quota 1650kg ed ha dimensioni generose – rispettatela e racconterete agli amici di quanto sia bella la vita. Non farlo vi costerebbe caro.
Mai come oggi avrei bisogno di avere tre paia di occhi, invece devo per forza far correre il mio sguardo da un capolavoro su ruote all’altro, sino a che, inesorabilmente, precisa come la resa dei conti con la propria chimera, arriva lei, la Diablo SV di Alessandro. I suoi fari a scomparsa sono l’eco dei bei tempi andati, quelle prese d’aria sul tetto sono come dei bicipiti messi in bella mostra, a ricordarti che questa “vecchietta” è pronta a sculacciare l’intera mandria. SV sta per Super Veloce – quale modo è più azzeccato per far capire che siete al volante di una supercar … SUPER VELOCE!? Blu Le Mans con scritta arancio, cerchi e spoiler nero: dovrebbero arrestare il suo proprietario per istigazione ad atti osceni in pubblico! Poi apri la porta e speri che ci sia qualcuno dietro di te a sorreggerti, dato che ti ritrovi faccia a faccia con un Paradiso fatto di Alcantara, un piccolo volante sportivo, leva del cambio ravvicinata ed un tachimetro che assicura i 330 km/h. Arrivati a 180 vi sembrerà già di essere pronti per l’iperspazio – non riesco a immaginare cosa abbiano provato i collaudatori, più di vent’anni fa, testandola sull’ovale di Nardò, macinando giri su giri alla ricerca della top speed. Dura, grezza, cattiva, ignorante, feroce, brutale, rumorosa, scomoda, immaginatela come una tavola di legno piena zeppa di schegge e chiodi – una tavola velocissima e bellissima, con una linea immortale come il Sole ed indimenticabile come il vostro primo animaletto domestico. Questo “Diablo” vi porterà al lato oscuro senza far la minima fatica per convincervi, sarete voi a chiederlo – tira una marcia e poi quella successiva, Alessandro sa come gestire i 510cv del 5.7cc, deve aver stretto un patto col diavolo – ne sono sicuro. Urla ed urla ancora, a squarciagola, arriva oltre i 7000 giri e proprio mentre state accettando il fatto di diventare ornamento per il muretto a bordo strada, è tempo di mollare il gas, premere con forza la frizione e innestare la marcia successiva. Cosa succederà dopo è troppo bello e magico per essere descritto con semplici parole. Certe emozioni non si possono raccontare perché sono fuori dall’ordinario, sono come i più bei sogni, dove siamo in grado di vivere dei momenti che con gli occhi aperti non riusciremmo neppure a immaginare. Sarebbe bello poterli acchiappare e poterli custodire – se hanno un toro infuriato sul cofano, forse è possibile farlo sul serio.