Ford Indigo – Da “Need for Speed” Alla Strada (quasi)
FORD INDIGO
FORMULA INTERSTATE ‘96
Testo: Carlo Brema
Non parliamo molto di concept cars – non tanto per il fatto che spesso rappresentino un banco prova per le scelte stilistiche che un marchio riverserà sui futuri modelli, ma perché è praticamente impossibile provarne una, anche a causa della totale mancanza delle sue parti meccaniche. Spesso i numeri e le prestazioni dichiarate nelle schede tecniche che accompagnano l’esibizione al grande pubblico di una di queste concept sono soltanto delle stime e nella maggior parte dei casi i brevi spostamenti dal palco al camion per il trasporto avvengono a spinta, anche perché senza motore, il peso è notevolmente ridotto. Ma allora perché ci troviamo ad analizzare una concept car di ben 22 anni fa? Per prima cosa la Ford Indigo Concept era uno di quei casi in cui un prototipo era dotato di un vero e proprio motore a combustione, ne furono prodotti due esemplari, uno marciante ed uno per la sola esposizione.
La storia della Indigo è nota ai più grazie al famoso videogioco “Need for Speed 2”, ma ad essere sinceri, la realtà dei fatti è avvincente in egual misura, anche senza improbabili voli a suon di pixel, che con il passare del tempo sono ormai roba vecchia. La Indigo Concept fu infatti prodotta per ribaltare su strada alcune caratteristiche principali delle monoposto che prendevano parte al campionato di Formula Indy – da qui il nome. La si può definire come un esercizio tecnico che va ad interlacciarsi con un esercizio stilistico dove la forma è tutta a disposizione della funzione. Come per le monoposto di Indy c’è infatti un corpo vettura estremamente ridotto e sviluppato per ospitare due persone a bordo dentro un abitacolo minimalista, ma non necessariamente scomodo, grazie a due comodi sedili in pelle. Le ruote si trovano al di fuori della carrozzeria e sono coperte da dei piccoli parafanghi neri, i quali contribuiscono ad accentuare il contrasto tra il design spigoloso della carrozzeria rossa e quel grosso copri scheletro in plastica nera che nasconde motore ed organi meccanici. La sua forma a goccia è ciò che rende la Indigo uno spettacolo per gli occhi, con la parte posteriore che è letteralmente staccata, andando a creare uno spoiler fisso che sovrasta una coda tronca dotata di due coppie di terminali di scarico. Le quattro ruote si trovano alle rispettive estremità dell’auto e questo, confermato anche da chi ha avuto la fortuna di guidarla, ha reso la Indigo agile nelle curve e perfettamente in grado di gestire la potenza sprigionata dal suo V12 da 435 cavalli. Proprio il motore, una potente evoluzione del Duratec V6 da 3.0cc che equipaggiava la Ford Taurus, divenne un 6.0 che rappresenta uno dei punti chiave della vettura, la quale forte di un peso di soli 1.043 kg era in grado di spingere la piccola furia da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi, con una velocità massima di circa 276 km/h. Il cambio è un sequenziale a 6 rapporti, abbinato alla sola trazione posteriore, esattamente come ci si aspetta da un’auto dall’animo racing ed il sottile parabrezza, anch’esso figlio di un attento studio aerodinamico, è lì soltanto per evitarvi un’indigestione di moscerini.
Andando a chiamare in causa i suoi numerosi punti in comune con le Formula Indy, vero fulcro di questo progetto, c’è da sottolineare che abbiamo a che fare con un monoscocca prodotto dalla britannica Reynard Racing Cars (vincitrice del campionato costruttori 1995 nella CART/PPG Indy Car World Series) e composto da una struttura centrale in fibra di carbonio, alluminio e materiali compositi. Proprio il fatto di disporre di un pezzo unico come struttura per l’abitacolo, consente non soltanto elevati standard di sicurezza, ma anche un ottimale effetto aerodinamico, con i flussi d’aria che potevano sfruttare lo spoiler anteriore e le aperture dovute al particolare design dell’auto. Anche le sospensioni, sia anteriori che posteriori, sono costruite con lo stesso principio di quelle utilizzate in Formula Indy e prodotte dalla Reynard Racing, con la sola differenza che per quelle anteriori fu necessario ridurne la lunghezza e adattarne la geometria, al fine di permettere di avere due posti nella zona cockpit. Il cambio è un sequenziale a 6 rapporti (+ retromarcia), ci sono pulsanti sul volante per salire e scendere di marcia; in questo secondo caso, per farlo è necessario agire sulla frizione, anch’essa in fibra di carbonio, mentre per salire di marcia ci pensa un dispositivo idraulico elettronico. Fantascienza? No, il futuro a portata di mano secondo Ford.
E pensare che dai primi progetti alla realizzazione della Indigo bastarono soltanto 6 mesi, ancora meno per far sì che il proprietario dell’unico esemplare marciante la distruggesse in un incidente stradale, facendo così in modo che l’ultima Indigo rimanente fosse custodita da Ford, seppure non marciante e senza quello strepitoso V12 stivato in quel minuscolo vano motore. Ancora oggi, ad osservare quel look unico e reso ancora più futuristico dall’utilizzo di luci HID sul sottilissimo baffo anteriore, la sensazione che ci viene trasmessa è quella di una Indy Car per le interminabili interstate americane. Con un’arma del genere, il bisogno di velocità verrebbe saziato a dovere e mai come in questo caso, una concept car ha dimostrato che si può essere molto di più di un vezzoso esercizio stilistico. Peccato per la tragica fine dell’esemplare marciante, ma forse il destino ha voluto che un’auto così speciale restasse unica, e soprattutto davvero irraggiungibile.