I Primi 61 Giorni con la Mia Lamborghini Diablo
Testo Albert Remy / Foto Lamborghini media
La passione automobilistica è un sentimento forte almeno quanto l’amore. Anzi, a dirla tutta è amore. E se qualcuno vi accusa di scrivere lettere d’amore ad un grosso mucchio di lamiera, è probabile che non abbia mai avuto la fortuna di fare conoscenza con una Lamborghini, più precisamente con la Diablo. Il mio grande amore, capace addirittura di soppiantare la Countach, e divenuto realtà grazie ad una combinazione di fattori che nel 2009 mi ha visto portare a casa un esemplare immacolato di SuperVeloce, quella che nel lontano ’96 rispolverò la leggendaria sigla SV in ricordo della madre di tutte le supercars – la Miura
Dopo qualche inevitabile settimana trascorsa in officina per assicurarmi che il suo V12 fosse in ordine come un orologio svizzero, fu finalmente il momento di andare a ritirarla, poco sopra Monaco. Quella mattina non stavo nella pelle, la sera prima e la notte intera ero rimasto con gli occhi sbarrati a fissare le lancette che sembravano non voler più far sopraggiungere il mattino. Poi, senza neanche accorgermene, il mio amico Jean suonò alla porta: era ora di andare a prendere la mia Diablo. Dicono che di fronte a certi momenti ci si senta un po’ come un bambino che apre i regali di Natale, ma in realtà certe situazioni sono ancora più speciali: forse perché nessuno ti ha regalato nulla stavolta. Hai fatto tutto da solo.
Lei era lì, bellissima e perfettamente capace di rubare gli sguardi anche se accanto ai modelli più recenti ed esclusivi. Un cliente dell’officina mi chiese addirittura se fossi interessato a venderla e a dire la verità non ricordo nemmeno cosa risposi, ma forse non risposi affatto. Ero troppo concentrato su di lei e su quella sua immagine che non lascia spazio a dubbi. I sogni hanno queste forme e come confermato qualche attimo dopo alla mia prima vera accensione, questo suono. Prendere dimestichezza con la Diablo non è stato facile, figuriamoci confidenza, quella è una cosa che non ti concederà mai. Quella mattina sono salito subito verso La Turbie, ho guidato in direzione Eze e approfittato di un caldo sole di maggio per gustare il sapore di un sogno finalmente realizzato.
Il suo V12 aspirato da 5.7-litri erogava i 530 cavalli più violenti che avessi mai provato in tutta la mia vita. Il cambio manuale era preciso, ma la frizione era un blocco di cemento e le dimensioni extra-large del posteriore, unite alla scarsa visibilità, non agevolavano certo i primi attimi di guida. Lontano dalla comfort zone e quasi maltrattato da un un telaio che non avrei mai immaginato così rigido, ricordo bene come evitai il centro città per diversi giorni, temendo di dover affrontare insidiose partenze in salita. L’ho guidata per due mesi interi, ogni singolo giorno, fregandomene di qualche pomeriggio piovoso e di aver prevalentemente percorso le stesse strade di sempre. L’importante era andare a spasso, scoprire come è la Diablo a dettare i tempi e lasciarti azzardare una pressione più decisa sul gas, mettendo in gioco un’erogazione corposa e tipicamente vecchia scuola, un aspetto che con la Murcielago poi e l’Aventador ancora dopo si è affievolito in favore di una risposta più lineare e precisa.
Me ne lamentavo? Nient’affatto. La SV era ed è superlativa, una supercar assoluta sotto ogni punto di vista, proprio a partire dal fatto che fosse estremamente scomoda. Mi darete del pazzo, ma era proprio una delle caratteristiche che rendeva le giornate alla guida un qualcosa di differente rispetto a quanto potessi fare con qualsiasi altra vettura sportiva. Non eri tu a guidare, era lei che ti permetteva di farlo. Parcheggiare era una missione impossibile e i dossi artificiali erano un vero incubo, ma una volta calato in abitacolo, ero un uomo felice. Ancora oggi alcuni amici mi chiedono – Ma era anche veloce? – Non era soltanto (Super) veloce, sapeva terrorizzarti proprio, il che – a mio parere – vale molto di più.