Testo Carlo Brema / Foto Lamborghini Media
Parlare oggi degli anni 90 fa quasi venire il magone. Sembra di volgere lo sguardo a un periodo talmente lontano nel tempo da aver ben poco in comune con il mondo per come lo conosciamo oggi. È quel magico gap temporale in cui l’analogico ha quasi completamente lanciato il canto del cigno di un modo di intendere le automobili sportive che era in grado di farsi realmente comprendere da chi era davvero capace di sfruttare il potenziale di un motore e un telaio. È stato il decennio in cui si è vissuta la frenetica corsa alla velocità massima, valore assoluto che consacrava un’auto da sogno e ne cementava l’immagine sulle pareti delle camere dei più giovani e nei garage di chi sognava un’astronave su ruote al posto della propria berlina. C’erano spigoli, vistose appendici aerodinamiche e gargantueschi propulsori che facevano a gara per scendere sotto i 4 secondi sullo 0-100 km/h, infischiandosene di tutte quelle delimitazioni a cui ormai abbiamo fatto l’abitudine e che con il passare degli anni hanno imposto un radicale cambiamento della filosofia stessa delle supercars.
Parlare di anni 90 in termini automobilistici equivale anche a ripercorrere l’inconfondibile sagoma della Lamborghini Diablo, il modello che riuscì incredibilmente a svolgere l’arduo compito di sostituire la favolosa Countach, mantenendo un corpo vettura rasente al suolo e una sequela di soluzioni stilistiche pressoché fini a se stesse, o per meglio dire indirizzate nel rendere il design della nuova Lambo esotico sotto ogni punto di vista. Forme arrotondate, un posteriore che raggiungeva i 2 metri di larghezza al fine di ospitare il generoso V12 aspirato da 5.7cc e 492 cavalli, seduto appena sopra colossali pneumatici da 335”, portiere con apertura a forbice e fari anteriori a scomparsa, i quali nonostante fossero ormai considerati un trend anni 80, contribuivano a rendere l’immagine della Diablo ancora più unica ed esotica.
Questa era l’auto da battere, una vera e propria speed king con targa e assicurazione, capace di scattare da ferma a 100 orari in appena 4,1 secondi e toccare i 325 orari, entrando di diritto nell’Olimpo delle supersportive stradali più desiderate di sempre. La Diablo era potenza bruta, non c’era molto spazio per il comfort, dato che i sedili fissi della primissima generazione offrivano posto a guidatore e passeggero di fronte a una plancia piuttosto spoglia. Il piacere di guida non era neanche lontanamente quello che si intende oggi, neppure parlando di quelle supercar più estreme. Il sound del V12 entrava prepotentemente in gioco e la spinta dei quasi cinquecento cavalli e di una coppia di 580 Nm arrivava quando meno te l’aspettavi, tra i 5.200 e i 7.000 giri. Mentre si doveva armeggiare con un cambio manuale a 5 marce e fare in modo che la trazione (soltanto sull’asse posteriore) riuscisse a imbrigliare a dovere la furia di uno dei più selvaggi tori di Sant’Agata Bolognese, la Diablo era già stata capace di conquistare proprio per il fatto che domarla sarebbe stato un compito tutt’altro che semplice.
Il design di Marcello Gandini, modificato in collaborazione con Tom Gal del Centro Stile Chrysler (all’ora proprietari del marchio Lamborghini) subisce numerosi interventi atti ad aggiornare e modernizzare le successive versioni della Diablo. Nel 1993 tocca infatti alla Diablo VT (Viscous Traction) che non incrementava soltanto la potenza della vettura, adesso di 530-cv e 605 Nm di coppia, ma introduceva la trazione integrale. Nel 1993 fu anche il momento dell’edizione speciale Diablo SE 30, più leggera grazie all’utilizzo di pannelli in plexiglass e all’assenza di aria condizionata e servosterzo e con un design che ne rispecchiava la forte vocazione corsaiola, come per esempio nel caso dello spoiler fisso al posteriore offerto ora come parte integrante del pacchetto standard. Appena 15 dei suoi 150 esemplari prevedevano inoltre un kit specifico chiamato Jota, la quale raggiungeva 600 cavalli e presentava dettagli estetici che ne garantivano un’immediata riconoscibilità, come nel caso delle due grosse prese d’aria per il raffreddamento. Arriva anche la prima generazione della SV (Super Veloce), che introduce un look ancora più aggressivo e 520 cavalli distribuiti sul solo asse posteriore.
La seconda serie arrivò nel 1996 e portò con sé innovazioni prevalentemente estetiche come l’addio ai fari a scomparsa e gli interni adesso resi più confortevoli, declinati anche per la rinnovata SV, in questo caso prodotta nel solo 1999. La massima espressione della brutale potenza visiva e prestazionale della Diablo arriva però con la GT, la versione stradale del prototipo da competizione GT1, che a differenza di quanto auspicato non vide mai la luce. Il 12 cilindri aumenta di dimensioni, fino a 6-litri e con un comparto meccanico ottimizzato raggiunge una potenza massima di 575 cv e 630 Nm di coppia, numeri tali da consentire una top speed di 338 orari e uno 0-100 di appena 3,7 secondi. Si conclude l’ultimo periodo di purezza Lamborghini con la terza generazione e la sua VT 6.0, che ad un look più moderno e più civilizzato rispetto alle SV e GT, affianca un’erogazione più lineare e meno violenta, anticipando la sostanziale metamorfosi che da lì a poco avverrà con la Murcielago.