Lamborghini Urraco: Back To Life
Testo e Foto di Manuel Bordini
Edito da Vita di Stile
Quasi un anno è passato da quando la Lamborghini Urraco di questo servizio ha rivisto la luce da dove era rimasta per 24 anni. Il tempo, l’incuria e l’umidità avevano ingessato quell’auto che doveva salvare le sorti della Lamborghini, collocandosi in un segmento dominato dalla Porsche 911. Non poteva esserlo e non lo è stato. L’Urraco #15036, la diciannovesima costruita, agli occhi attenti di chi si accinge al restauro, ha svelato subito la sua fragilità, immancabile connotazione delle cose uniche, intimamente davvero belle, costruita non con l’obiettivo di durare nel tempo, bensì con quello di regalare emozioni a questo resistenti. Lo slogan era infatti “Fare oggi quello che gli altri faranno domani“.
Ritornando alla fase di restauro, questa può essere descritta come un’avventura, le difficoltà si sono fatte progressive e incombenti man mano che ci si addentrava nel profondo. L’Urraco sembrava quasi opporre orgogliosa resistenza alle cure. La prima “ostilità” è stato il tappo dell’olio, bloccato, quasi un tutt’uno con il coperchio valvole. L’olio c’era ancora, nero nerissimo ma era ancora lì. Drenata e pulita la coppa e dopo aver ispezionato e lubrificato valvole, cilindri e pistoni, la prima importante verifica è stata quella di far girare manualmente il motore. Dopo aver lubrificato e unto tutte le parti interne in movimento e non prima di aver sostituito la cinghia di distribuzione, è venuto finalmente il momento di metterla in moto: questa volta girando la chiave. Ritento e ritento e qualche scoppio comincia a sentirsi, fino al fragore della cavalleria che, svegliata improvvisamente, un po’ scomposta corre e scalpita. È viva, straordinariamente viva e questa è l’unica cosa che conta.
Restaurare seriamente automobili come questa richiede uno sforzo scientifico di ricerca e di documentazione sistematica, occorre tenere bene a mente che non si può lasciare nulla al caso né si può prendere per buono quello che si trova: non tutto è originale! Questa Urraco #19 è una sorta di pre-serie, costruita nel 1972 ed immatricolata come esemplare unico. Le soluzioni costruttive, semplici ma non banali, sono decisamente artigianali; un pannello del rivestimento interno ancora conserva, indelebili ed immutabili, i segni di chi ha costruito quegli interni. Alla Bertone hanno punzonato con il numero * 19 * i cofani, le porte, i fanali, la scocca ad indicare che quei pezzi vanno insieme, sono parti di un tutto, realizzate ed adattate appositamente per quella vettura: questa è l’essenza del “matching numbers”.
Nulla è semplice, a volte lo spazio vitale di lavoro è quasi nullo, l’uscita di un pezzo è ostacolato dalla presenza di una miriade di altri elementi. Tuttavia, ho potuto personalmente constatare che durante la restaurazione c’è un momento, nonostante le varie difficoltà incontrate, in cui si entra in sintonia con l’automobile, e quello è il momento in cui occorre spogliarsi delle “proprie” tecniche e metodiche di lavoro per sottomettersi a quello che lei impone, capace di spezzarsi ma non piegarsi. È un po’ come la bassa marea, lentamente dissipa i dubbi e mostra le cose nascoste, occorre attendere e procedere poco alla volta senza mai dimenticare che è una vettura realizzata a mano e che i primi esemplari rappresentano il sedimentato di un processo di progressiva sperimentazione, adattamento e miglioramento: costituiscono il laboratorio della produzione di serie.
Nel restauro ho voluto mantenere la massima fedeltà alle specifiche di fabbrica, lasciando, quando possibile, anche le viti e le rondelle originali che hanno condiviso con la macchina tutta la sua storia. Ho pulito e sgrassato ogni singolo pezzo.
Questa non è una Porsche, non lo poteva essere, nel suo DNA non c’è l’ordinaria idea di macchina. L’Urraco ha i pregi e i difetti delle cose uniche, emozionali, quelle che visceralmente senti vive.
Urraco #15036, costruito nel 1972 e immatricolato nel 1973.