
Lotus Emeya | Test Drive
Sinora non avrei avuto alcun riferimento utile per capire di essere a bordo di una Lotus. È la ridefinizione del marchio, un nuovo capitolo che per tutto il tempo che l’ho guidata è stato talmente valido da non farmi pensare neppure una volta ai brividi che mi hanno regalato negli anni le varie Elise ed Exige.
Testo Alessandro Marrone / Foto Jay Tomei

“Semplifica e poi aggiungi leggerezza” – è una delle tante celebri frasi scolpite nella storia dell’automobilismo e lasciateci in eredità da Colin Chapman, visionario fondatore di Lotus, creatore di alcune tra le più grandi auto sportive e da corsa di tutti i tempi. Un mantra che ha probabilmente raggiunto il suo apice nella Seven, ovvero l’anello di congiunzione tra uomo e macchina, capace di trasmettere sensazioni che una volta risorti dall’anoressico abitacolo dello sfilatino avrebbero riscritto per sempre la propria visione di prestazioni. Elise e quindi Exige hanno evoluto un simile concetto, offrendo un tetto sopra la testa, delle vere portiere e la parvenza di automobile per come i più la intendono. Con le dovute proporzioni, la magia scaturita alla guida è incredibilmente rimasta intatta, ma sembra purtroppo un qualcosa di cui il mondo di domani dovrà fare a meno.




Lasciando fuori dall’equazione Evora e la più recente Emira, lo sguardo degli appassionati, una volta rivolto a Hethel, si concentra sui due modelli che rappresentano ciò che Lotus ha in mente per gli anni a venire. Il SUV Eletre e la berlina Emeya sono prodotti totalmente nuovi, non soltanto per via delle portiere e dei posti in più, o per un sistema infotelematico che su Lotus era superflua fantascienza, ma perché rinunciano alla benzina in favore di una scarica di elettroni che promette di rendere i due colossi incredibilmente rapidi negli spostamenti. Tutto qui? Proprio per niente, ecco perché sono andato a Torino dagli amici di Gino Lotus.




Arrivo presso il nuovo showroom dedicato a Lotus e Caterham e vengo subito accolto da un colpo d’occhio mica male. L’esposizione è un tripudio di colori e mette in mostra l’intero ventaglio di offerte dei due brand: dalla piccola Caterham che mantiene fede allo spirito di Chapman, alle Lotus contemporanee. Emira, sia V6 sia 4 cilindri turbo, ma soprattutto Eletre ed Emeya, quei due modelli che per capirli realmente vanno toccati con mano, guidati e quindi analizzati con cognizione di causa, perché non sempre abbiamo ciò che vorremmo, ma quello di cui abbiamo realmente bisogno. E se un SUV di 2 tonnellate e mezzo, magari 100% elettrico, non è più una mosca bianca, il fatto di avere quel badge giallo/verde sconvolge e non poco la percezione della realtà, lasciando inevitabilmente che tutta una serie di pregiudizi entrino in gioco.

C’è soltanto un modo per chiarirsi le idee, cancellando il disegno che ha preso forma nella nostra mente e spazzando via quei residui di impressioni rimasti lì come tanti piccoli detriti di gomma dopo aver disintegrato ogni minima traccia di ciò che il nostro subconscio di appassionato ha materializzato di fronte ai cinque metri dell’Emeya. Ho intenzionalmente cercato di non documentarmi troppo, perlomeno prima del mio test, in maniera da presentarmi con una tavolozza bianca pronta per essere colora con le sincere sensazioni che avrei provato alla guida. Lei è lì, un gigantesco oggetto nero, con cerchi scuri da 21 pollici a 10 razze, vetri posteriori oscurati e un design che sebbene riprenda i tratti stilistici introdotti con l’Eletre, vengono altresì ammorbiditi, probabilmente in maniera da rendere questa berlina più in armonia con un tipo di clientela che quindi si differenzia da quella che preferirà il SUV.


Le due sono strettamente imparentate e per una volta non scomodiamo la parte alta del listino, ma puntiamo al primo step, alla Emeya da 102 kWh, ovvero 612 cavalli e circa 450 km reali di percorrenza con un pieno di energia. Sottolineo reali ed evidenzio anche che la fase di ricarica può avvenire in maniera piuttosto rapida, dato che Lotus dichiara che il sistema elettrico funziona a 800 volt ed è in grado di ricevere sino a 350 kWh. 100% nel pacco batterie posizionato molto in basso, il tutto in favore di un baricentro e un bilanciamento delle masse che premia sia una seduta vicina a terra, sia una precisione di cui approfondiremo a breve, una volta usciti dal traffico torinese di un giovedì qualsiasi. La Emeya si presenta con un pacchetto estetico invidiabile. Ricorda un po’ la concept Estoque di Lamborghini, restando però più fedele alle rotondità del family feeling di Hethel, con un frontale spigoloso e reso spiccatamente sportivo dai gruppi ottici a doppia “L”, un profilo laterale sinuoso e una coda morbida che si concede uno dei tanti ritrovati tanto estetici quanto funzionali, come le feritoie utili a ottimizzare il grip e ridurre la resistenza aerodinamica. Già, la stessa che viene premiata dal sistema attivo di apertura e chiusura – a petalo – dello splitter anteriore. Insomma, la Emeya non è qui per un puro caso.

La vita a bordo è qualcosa di eccezionale. Il sistema è responsivo, preciso e tra i più veloci attualmente sul mercato. Il grande schermo centrale è un touch da 15,2”, il quale permette di intervenire sui vari parametri della vettura, passando per navigatore satellitare, audio e climatizzazione, in quest’ultimo caso supportata fortunatamente da una serie di comandi fisici che semplificano la regolazione della temperatura. Niente leva del cambio, ma un’altra rotellina con la P a pulsante. Di fronte ai miei occhi c’è un sottile display che riprende le informazioni fondamentali, mentre l’head-up display è assurdamente completo, tuttavia chiaro e mai invasivo. E poi c’è il volante, quel fantastico volante in misto pelle ed Alcantara, tramite perfetto per un’impugnatura comoda durante i lunghi viaggi, ma di diametro e forma ideale quando si decide di chiamare in causa la potenza a disposizione. Con esso girano anche i paddle, che ovviamente non servono per variare rapporto, ma per aumentare o diminuire la frenata rigenerativa (quello a sinistra) e le modalità di guida disponibili (quello a destra).









Dopo aver percorso i primi chilometri in Tour, ingaggio Sport e le sospensioni riducono i centimetri da terra. La risposta del volante si fa sensibilmente più rigida e comincia a solleticare la curiosità di chi non vede l’ora di scoprire le carte e capire finalmente se l’Emeya non sia soltanto un’ottima auto (elettrica), ma anche un’ottima Lotus. Eccole, le curve. Quelle forme che uniscono un punto ad un altro nella maniera che ogni Lotus drivers – perché così si chiamano – brama e di cui necessita per tenere viva la fiamma della passione per la guida sportiva. Consapevole di portarmi appresso un vano di carico nel quale potresti sistemare una Elise S1 (509/1.388 l) e poco più di 2 tonnellate e mezzo, affondo il piede destro e comincio a stringere la corona del volante. Un forte sibilo s’insinua in abitacolo e vengo premuto al sedile come se fossi finito per sbaglio in griglia di partenza in quel di Cape Canaveral.



C’è un minimo accenno a scomporsi, forse dovuto all’asfalto ancora umido, poi l’Emeya morde la strada con tutte e quattro le ruote e mi spara con una violenza diversa rispetto al solito. Voglio dire, 4,2 secondi non rendono giustizia a come ti muovi nello spazio da 0 a 100 km/h, perché sembra di farlo in molto meno. Ma ciò che più mi sorprende è che la spinta riesce ad essere allo stesso tempo brutale e confortevole e fidatevi che non c’è niente di rilassante quando si spinge una berlina da oltre centomila Euro in un continuo tira e molla che intacca di pochissimo l’autonomia residua. Provo ancora e capisco che la taratura adottata da Lotus sia volutamente quella di unire il lato di una berlina di altissimo livello alle performance garantite da 710 Nm disponibili nel preciso istante in cui l’acceleratore affonda a pavimento. Cerco così di fare ordine nei miei pensieri e dopo altri tentativi metto giù ancora e più a lungo, realizzando che la gentilezza in accelerazione era forse dovuta al fatto che lasciavo andare troppo presto. La Emeya è un aereo pronto al decollo e se lo spazio lo concede, vola infischiandosene di pesare come ben tre Elise S1.



Ma la parte più divertente non è la semplice velocità sul dritto, tantomeno la fulminea accelerazione alle quali ormai le più potenti vetture elettriche ci hanno abituato. Per quello, la variante R da 918 cavalli sarebbe ancora meglio. Ciò che mi appaga e allo stesso tempo sorprende maggiormente è come l’Emeya sia coinvolgente tra le curve. Con un manto stradale non perfettamente asciutto e addirittura spesso coperto da fogliame, mi lancio da una curva all’altra sfruttando l’impressionante coppia capace di azzerare massa e peso di una berlina cinque posti di cui non sapevamo di avere bisogno. Anche nel settaggio massimo, la rigenerazione in frenata non è mai invasiva, al punto di rendere la guida con singolo pedale possibile, ma meno elastica rispetto per esempio a Tesla e Taycan, le due possibili rivali, almeno per il momento. In favore della Lotus abbiamo un assemblaggio migliore, l’utilizzo di materiali di livello superiore e la percezione che non sia più un brand da considerare come si è fatto sino ad oggi – nel bene e nel male – ma qualcosa che non intende stare a guardare i cugini di Bentley, giusto per fare un nome con origini analoghe. Nel misto, a prescindere che sia più guidato che stretto veloce, la Emeya è precisa, ma meno affilata delle Model S e Taycan, bilanciando così nuovamente pro e contro che differenziano i tre modelli, così diversi eppure così vicini, perlomeno come concezione di auto elettrica che non impedisce ad un appassionato di divertirsi dietro al volante.



Prendi dimestichezza quasi subito e ti dimentichi delle dimensioni importanti della vettura, non certo della splendida chiave triangolare, che sembra uscita da un episodio di Star Trek. Tra fibra di carbonio e morbida pelle Nappa, se dovessero nascondere il logo del brand, fino a questo momento non avrei avuto alcun riferimento utile per capire di essere a bordo di una Lotus. È la ridefinizione del marchio, un nuovo capitolo che per tutto il tempo che l’ho guidata è stato talmente valido da non farmi pensare neppure una volta ai brividi che mi hanno regalato negli anni le varie Elise ed Exige. Del resto, noi essere umani siamo creature malinconiche e romantiche, alle volte fin troppo. E siamo tutti d’accordo che la stragrande maggioranza di chi legge le nostre pagine non ha necessariamente bisogno di un simile lusso, comfort e addirittura potenza per essere felici. Il punto è che il mondo è continua evoluzione e noi con esso. Il cambiamento fa parte della vita e l’elettrificazione è la diretta conseguenza di un pianeta fin troppo assetato di combustibile fossile. Potremmo discuterne per mesi e in fin dei conti vi darei ragione, non c’è niente capace di battere le emozioni di una superleggera che scoppietta tra i tornanti di una strada di montagna, quella è guida vera. Il futuro elettrico di Lotus è infine arrivato nel presente e lo fa in maniera sorprendente, a tal punto da permetterci di accennare un sorriso di gratitudine sotto quella lacrima che dice addio a un’epoca.
Ringraziamo il Gruppo Gino, Lotus official dealer, per averci dato l’opportunità di provare la Lotus Emeya in prima persona.

LOTUS EMEYA
Motore Elettrico con batterie da 102 kWh Potenza 612 hp Coppia 710 Nm
Trazione Integrale Trasmissione Cambio Automatico a Rapporto Singolo Peso 2.555 kg
0-100 km/h 4,2 sec Velocità massima 250 km/h Prezzo €111.490 (€121.870 vettura in prova)