Dopo aver scalato la Maserati, uno dei primi obiettivi di Alejandro De Tomaso fu quello di dare al mercato un segno deciso di vitalità. Grazie, in parte, al sostegno finanziario di Ford negli anni precedenti Alejandro comprò aziende di primo piano nel panorama motoristico italiano, come la Ghia, Vignale, Innocenti, Benelli e Guzzi . Negli anni in cui fondava la fabbrica di automobili che portava il suo nome, la De Tomaso Automobili, la casa del Tridente stava passando sotto il controllo Citroen; la famiglia Orsi non riuscendo a garantire alla Maserati i fondi necessari per investire in nuovi modelli e dotazioni infrastrutturali optò quindi per la vendita a chi aveva le spalle sufficientemente larghe per rilanciarla.
Non fu proprio così. Ben presto infatti, nel 1975, la GEPI, la società dello Stato per la gestione e le partecipazioni industriali, rilevò la Maserati messa in liquidazione per evitare che le ripercussioni sociali e sindacali determinati dalla chiusura della fabbrica degenerassero in conflitti difficili da risolvere. La GEPI, non in grado di gestire una realtà industriale complessa come quella della Maserati che aveva più che mai bisogno di un programma di sviluppo e una guida forte, affida la guida della Maserati a De Tomaso vendendogli poi la totalità delle azioni.
De Tomaso, imprenditore capace e impaziente, vuole dimostrare al mondo che la Maserati è viva e guarda al futuro e per fare questo ha bisogno di un nuovo modello, subito. Non è certo un mistero che per progettare e industrializzare un modello nuovo occorrano anni, ma questo per l’argentino di Modena non era un problema, non poteva né doveva esserlo. Da lì a qualche mese c’era il salone di Ginevra del 1976 e quello sarebbe stato il palcoscenico più adatto alla presentazione del nuovo modello. Dopo una rapida ricognizione con i suoi collaboratori, la cosa più sensata da fare deve apparire quella di partire da un progetto già fatto e da una macchina già in produzione: la Longchamp da qualche anno sul mercato sarà la base della nuova Maserati AM 129 che rompendo la tradizione dei nomi dei venti, viene battezzata con il nome del circuito del Sud Africa, Kyalami appunto. Alejandro De Tomaso presenta la nuova nata come una macchina interamente nuova ma in realtà è una De Tomaso Longchamp in un favoloso abito da sera. Tom Tjaarda disegnò la Longchamp solo tre anni prima in risposta alla sfida lanciata da Lee Iacocca alla Mercedes sul segmento dei coupè quattro posti ad alte prestazioni. In termini di sinergie industriali, De Tomaso all’epoca poteva contare anche su due delle carrozzerie più in vista in Italia, la Ghia e la Vignale che vennero subito coinvolte nel progetto Kyalami. La nuova nata pur con i vincoli imposti dalla scocca della Longchamp, doveva tuttavia caratterizzarsi come Maserati per cui Alejandro chiese a Pietro Frua, l’artefice di alcune tra le più eleganti e futuristiche automobili del Tridente, di concentrarsi sul disegno di Tjaarda ed apportare quelle modifiche (piccole) per farne una Maserati. Frua lavora principalmente sull’anteriore, muso e cofano, e il risultato non è solo “cosmetico” ma trasuda eleganza, forza e composta sportività. Frua ha realizzato una Maserati con pochi cambiamenti, l’ultima Maserati coupè con un V8 pulsante sotto il cofano, l’ultima versione del motore della 450S, il canto del cigno di una lunga tradizione di sportive, non certo la meno significativa ma forse la più melanconica. Alejandro chiede di salvare il più possibile delle pannellature della Longchamp, telaio, ponti, sospensioni, interni, etc. Nonostante le tante somiglianze il risultato è incredibilmente nuovo, figlio legittimo e a pieno titolo degli anni ’80 che da li a poco sarebbero arrivati. Al posto delle luci posteriori dell’Alfa Romeo 1750/2000 trovano spazio quelli montati “a filo” della Citroen-Maserati SM. Anche i fari anteriori vengono sostituiti, a quelli della Ford Granada MK1, le due coppie di fari tondi come nei “pop-up” della Indy. Negli otto anni di produzione, vengono prodotte solo 206 vetture equipaggiate con il motore 4200 e a richiesta il 4900, diventando di fatto uno dei modelli più rari della produzione Maserati con motore V8. Il telaio della Kyalami, identico a quello della Longchamp e Deauville, è disegnato da Gianpaolo Dallara e concretizza quelle doti di rigidità e guidabilità alle alte velocità da farne, a detta dei collaudatori dell’epoca, la Maserati migliore di sempre. Come dargli torto! Guidare una Kyalami è un’esperienza entusiasmante e la sensazione che trasmette è di assoluto dominio sulla vettura, un’ auto “compiutamente” moderna certamente d’avanguardia per quegli anni.
Tenuta di strada, efficienza frenante, solidità strutturale e semplicità di guida sono solo alcune delle caratteristiche che fanno di quest’auto un bolide estremamente piacevole. La Kyalami è quindi l’erede naturale della Mexico e nonostante sia stata lanciata solo quattro anni dopo l’uscita dal listino della Mexico, è una macchina completamente nuova che della prima, per i motivi illustrati, non conserva nulla, ad eccezione del motore di 4200 cc. Anche il cambio ZF è diverso dal S5-325 della Mexico, è infatti il più robusto S5 24-3 che equipaggerà tutti i V8 fino all’ultima Quattroporte vecchia scuola, la Royale.
A volte mi chiedo come dev’essere guidare una Mexico con il telaio della Kyalami, la risposta è semplice: una Kyalami! Solo 25 Kyalami uscirono dalla fabbrica di via Ciro Menotti con il cambio automatico e quasi tutte con motore di 4900cc .
Ermanno Cozza dopo una vita intera passata alla Maserati ricorda ancora le istruzioni di De Tomaso di sostituire in garanzia i cambi automatici difettosi, il costo del lavoro necessario all’operazione era ben più alto che non cambiare il pezzo.
Negli anni di produzione la Kyalami non è cambiata, solo qualche dettaglio fu aggiornato. La sua bellezza e animo sportivo ha rubato il cuore di personaggi famosi tra cui Luciano Pavarotti che ne acquisto una nel 1978. Se la fortuna di una creatura dipendesse solo dalle capacità dei genitori, la vita della Kyalami sarebbe stata sicuramente più luminosa. Disegnata infatti da due tra i designer più influenti del suo tempo, Tom Tjaarda e Pietro Frua per i quali la proporzione delle forme, l’armonia delle linee erano i fondamenti della bellezza, il suo passaggio non può lasciare indifferenti.
L’automobile costruita per dimostrare al mondo le capacità imprenditoriali e il genio di Alejandro de Tomaso fu lasciata morire piano piano, relegata sempre più di lato man mano che il Nuovo, in questo caso il progetto Biturbo, avanzava a tamburo battente. La migliore Maserati gran turismo di sempre porta con sé una tradizione di “saper fare” difficilmente eguagliabile fino a divenire la quintessenza della produzione del Tridente. La sua unica colpa è quella di essere stata voluta da de Tomaso e i puristi Maserati da sempre non apprezzano quel pilota argentino che venne a Modena per scalare le vette della produzione automobilistica italiana.
Testo e foto di Manuel Bordini