Guidare un’auto d’epoca è come innamorarsi e come in ogni rapporto sentimentale arriva il momento in cui non tutto va come avresti immaginato. Ma non è forse questo che rende l’amore una cosa meravigliosa? Ho preso una cabrio del ’71 e mi sono lasciato guidare lungo la strada delle emozioni.
Testo Christian Parodi / Foto Bruno Serra
In questo preciso istante ho le mani quasi congelate, puzzo di un forte odore di olio misto benzina e vedo a stento la strada davanti a me a causa della fioca luce emessa dai fari. Ma sono maledettamente felice, ho un sorriso disegnato da una parte all’altra del volto e nella solitudine di questo giro fuori porta, sto tornando a casa con la consapevolezza di aver vissuto più emozioni alla guida in quest’unico giorno, di quanto possa fare in intere settimane al volante d’inappuntabili automobili contemporanee. Il fascino è proprio questo, l’imprevedibilità di quello che accadrà il prossimo chilometro, ma anche la consapevolezza che il rapporto uomo/macchina sarà sempre viscerale e che esattamente come nei più classici rapporti umani va gestito con rispetto e dedizione. Ecco perché quando la spia della riserva del carburante smette di accendersi a intermittenza e resta fissa, comincio a parlare alla Peugeot 504 Cabriolet che sto guidando da giorni, implorando di non lasciarmi a piedi, di non tradirmi proprio adesso, perché finora è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Probabilmente adesso sarete curiosi di sapere come sia finita la mia giornata, ma voglio prima partire da come è cominciata, raccontandovi cosa significhi per me guidare un’auto d’epoca nel mondo di oggi. Partiamo con le presentazioni, avvicinandoci ad un modello che non ti aspetti, un’auto vintage nel classico senso del termine e quindi con cromature, coppe e quelle tipiche linee squadrate che posero la fine all’estroso e ricercato design degli anni 60, introducendo quello più funzionale e rivolto al futuro che rendeva soprattutto le berline degli anni 70 imponenti su strada e al tempo stesso perfettamente adatte ad una convivenza che vedeva l’automobile sempre più al centro della vita delle persone. La 504 non è un modello qualunque, tanto che addirittura Enzo Ferrari ne possedeva una (anzi un paio), del resto stiamo parlando di un design impreziosito dalla sapiente matita di Pininfarina, qui in versione cabriolet e con sotto il cofano un generoso 4 cilindri da 2-litri e 102 cavalli, perlomeno in origine.
Lo stato di conservazione di questo modello affidatoci dai ragazzi di Peugeot Italia è più che buono, con il logico stato di usura di alcune plastiche e pelli dell’abitacolo, ma tenete presente che questa signora ha 50 anni, motivo per il quale non passerete assolutamente inosservati e anzi sarete puntualmente accolti da sguardi di ammirazione, soprattutto da coloro che l’hanno vissuta al momento della sua nascita, mezzo secolo fa. Disponibile in versione berlina a quattro porte, coupé, familiare o appunto cabrio, la 504 rappresenta il mio collegamento con un mondo incredibilmente lontano, una vita che non parla digitale, che non ha idea di cosa voglia dire “essere connessi” e che alla fine della giornata era più vera, sincera e probabilmente anche basata su valori più concreti di quelli odierni. Ma se il tempo è un inesorabile tiranno, i decenni trascorsi non hanno di certo fatto invecchiare questa graziosa cabrio che non nasconde il proprio desiderio di ripiegare manualmente il tetto in tela e offrire un’esperienza di guida en plein air a guidatore e occupanti, dove quelli posteriori dovranno sacrificarsi in quanto a spazio per gambe e piedi, mentre nel vano bagagli ce n’è abbastanza per non rinunciare a nulla, ovviamente senza dimenticare qualche attrezzo che ci assicuri di tornare a casa per cena.
Senza tirare in ballo discorsi economici e quindi tralasciando volutamente le agevolazioni fiscali offerte con l’utilizzo di una vettura storica e soprattutto senza scendere in dettagli legati alle quotazioni – spesso esasperate – e la quasi sicura rivalutazione e rivedibilità futura della vostra auto d’epoca preferita, preparo l’occorrente per una giornata all’insegna della guida più pura, di quelle che non sanno neppure dove ti condurranno e con il solo intento di assaporare quel piacere di tenere un volante tra le mani e lasciare che ogni svolta porti dove il cuore suggerisce. I 50 anni di differenza rispetto alle vetture che guido abitualmente si fanno sentire più nell’approccio alla guida, che nelle differenze reali con un’auto moderna, del resto questa 504 ha tutto ciò che una vettura di alto livello necessitasse a inizio anni 70, tutto fatta eccezione per l’aria condizionata, ma di certo non soffrirò il caldo, soprattutto alle prime luci del mattino, momento in cui il mio viaggio prende il via.
La Peugeot parte al primo colpo e senza il minimo accenno di incertezza, il 2-litri gira regolare e si assesta quasi subito al corretto regime. A quel punto, con il tettuccio ancora rigorosamente chiuso sopra la testa, ingrano la prima marcia e muovo la 504 Cabriolet fuori dal cortile di casa, notando la precisione del pedale della frizione e uno sterzo che nonostante non sia servoassistito, diventa morbido e diretto non appena le ruote vengono mosse. Il 4 cilindri è silenzioso e insieme ad un assetto prevalentemente indirizzato verso un approccio alla guida più turistico che sportivo, mi trovo ben presto a decine di chilometri di distanza da casa, immerso in un paesaggio che sta lentamente trasformando i verdi prati in distese gialle, ormai pronte per lasciare spazio alla stagione autunnale.
Nonostante una coppia disponibile in basso, il cambio a 4 marce sarà il tramite per tenere la 504 sempre pronta ad affrontare tratti in salita, oppure diminuire lo stress sul motore, quando si può lasciare scorrere più liberamente. La sola trazione posteriore consente poi di “giocare” controllando accenni di sovrasterzo che con il fondo stradale scivoloso si fanno sempre più insistenti, senza però diventare eccessivamente pericolosi o fastidiosi. I più anziani sorridono, i bambini mi indicano sorpresi di vedere qualcosa di così diverso da ciò a cui sono abituati ed è quindi facile ritrovarsi aggrappato al volante con un enorme e sincero sorriso, anche quando percorri semplicemente la strada che ogni mattina ti conduce da casa al lavoro. La mia gita odierna consiste in circa 190 km di strade collinari a cavallo tra Liguria e Piemonte, godendomi la tranquillità di una mattina libera da impegni o pensieri e gustandomi le cose più semplici come tenere un volante e cambiare marcia, apprezzando quei movimenti ormai sempre più lontani dalla nostra quotidianità automobilistica.
Un’auto d’epoca – seppur tutto sommato recente come concezione – è un tripudio di odori e rumori, ti permette di accorgerti se qualcosa non sta andando per il verso giusto, ancor prima che le spie di allarme siano lì ad avvisarti. E il bello è che con una semplice cassetta degli attrezzi, qualche latta d’olio, un imbuto e nessuna paura di sporcarsi le mani, puoi sistemare un buon 80% degli intoppi e ripartire, felice per essere stato utile all’automobile, quando ormai siamo semplicemente trasportati e nemmeno pronti ad aprire il cofano, quando qualcosa va storto nel mare di elettronica di cui sono provviste le auto oggi. L’assetto non sarà preciso come quello di una Lotus e quando la strada si fa sconnessa, sembra quasi di saltellare a destra e sinistra, il clacson resta bloccato lasciandomi tra l’imbarazzato e il divertito per qualche momento e dimentico sempre dove siano quei pochi pulsanti spesso senza nemmeno la minima indicazione circa la loro funzione, ma la realtà è che non mi sono mai divertito tanto, proprio perché raramente mi sono sentito così protagonista dietro ad un volante.
Per una volta non si tratta di prestazioni, ma di emozioni. Non servono cifre da capogiro, ma storie da poter rivivere e raccontare. Un’auto d’epoca è l’incertezza di cosa accadrà il chilometro successivo, il piacere di accostarla a bordo strada e apprezzare il contrasto con il resto del mondo, lasciando che tutti – anche chi non ha il minimo interesse verso le automobili – siano catturato da un oggetto che viene da un’altra epoca e che è in grado di trascinarti indietro nel tempo semplicemente girando la chiave e guidandoti per un’emozionante strada che profuma di benzina. Seduto comodamente sui suoi sedili in pelle e con le cinture di sicurezza semplicemente appoggiate attorno alla vita, approfitto di qualche attimo di sole per aprire il tettuccio e godermi qualche chilometro con il braccio fuori dal finestrino, osservando le case dei paesini che attraverso e scrutando gli sguardi delle persone. Ripenso a quelli che per paura di problemi improvvisi stanno alla larga da queste vecchiette su ruote e già comincio a passare in rassegna i miei modelli preferiti, escludendo a priori quelle troppo costose, perché se man mano che passano le ore mi convinco sempre più che un’auto storica deve far presto parte della mia vita, voglio che sia un oggetto da poter sfruttare per rivivere momenti come questo e non un gioiello prezioso da dover assolutamente custodire in garage.
Del resto un’auto è prima di tutto un mezzo di trasporto e sta soprattutto a noi se quel momento che ci divide da un luogo ad un altro è vissuto con enfasi verso ogni singolo aspetto che rende speciale il momento in cui diamo vita al motore. Guidare un’auto d’epoca è come innamorarsi e come in ogni storia d’amore arriva il momento in cui non tutto va come avresti immaginato. Il buio irrompe nel cuore del pomeriggio e una leggera pioggia comincia a farsi sempre più intensa. Dai finestrini entra un po’ d’acqua, ma il problema più grande è rappresentato dal freddo che mi sta letteralmente congelando le mani e dalla poca luce emessa dai fari. È uno di quei momenti in cui odieresti tutto, ma al volante della 504 diventa una piccola avventura, un’inaspettata svolta negli eventi che vuole mettermi alla prova e farmi capire che forse c’è anche la possibilità che debba rinunciare e chiamare aiuto.
Con una pioggia sempre più insistente e il buio ormai tutto intorno, ripercorro la medesima strada che ha contraddistinto la prima parte della mia giornata, rendendomi conto che siamo noi che ci siamo impigriti e abituati alle troppe comodità delle auto moderne. In quel momento capisco che il mio viaggio di ritorno, per freddo e buio che possa essere, non deve essere la rovina, ma la ciliegina sulla torta di una giornata resa ancora più indimenticabile. Adesso la spia della riserva che ha lampeggiato negli ultimi 30/40 km è fissa e minaccia di lasciarmi in mezzo al nulla. Non manca molto, ma nelle prossimità non ci sono distributori. Vuoi vedere che resto a piedi per colpa mia?
Non oggi, la spia si affievolisce e poi si spegne del tutto. Non ho nemmeno tempo per chiedermi quale sia il motivo, che prendo un’ultima svolta improvvisata – già, di navigatore satellitare neanche a parlarne, si guida tornando a leggere i cartelli stradali – e mi trovo in una zona familiare, a pochissimi chilometri da casa. Quando vedo il cancello e lo apro a distanza, la spia della riserva è di nuovo lì a farmi compagnia, ma ormai sistemo la 504 nel garage, lasciando fuori la pioggia torrenziale, il freddo e un mondo che ho visto diverso dal solito, più vivo, meno indifferente. E non vedo l’ora di tornare a guidare, apprezzando quelle piccole cose che nel comfort di un abitacolo gestito da sistemi wireless ci tiene sempre più lontani da ciò che conta realmente, ovvero il semplice piacere di sentirti un tutt’uno con l’auto e la strada sotto di noi. Se ve lo state ancora chiedendo, lo strumento ideale per risvegliarci da questo intorpidimento non è soltanto l’auto giusta, ma quella che lasci a noi il compito di rendere ogni giornata alla guida diversa da quella precedente.