Scegliere l’Auto Ideale
Per il viaggio ideale ci vuole l’auto ideale, proprio per il fatto che metà del nostro obiettivo (mio e di Max) è quello di guidare un numero smisurato di auto in grado di farci battere il cuore, anche quando i fastidiosi limiti di velocità locali, ti impongono di non superare le 60 miglia all’ora. Così, il venerdì della nostra partenza, mi preparo, faccio colazione e scendo dalla stanza, approfittando del ritardo (cronico) di Max per osservare il lifestyle locale. Impossibile non innamorarsi degli USA, impossibile non far viaggiare avanti la mente, sapendo che tutto questo, purtroppo, finirà.
Ma eccolo, prima sento un ruggito, l’inconfondibile boato di un vecchio V8, poi intravedo una sagoma nera e dentro, un pazzo scatenato con un sorriso che va da una parte all’altra del viso. Il mio compagno di viaggio è arrivato e per i primi km ha scelto una meravigliosa Dodge Charger del ’69, una di quelle auto vere, senza elettronica o stupidi controlli di stabilità, con tanta potenza (circa 425-cv) da lasciare 3 centimetri di pneumatico a terra, se non doserete il gas nel modo giusto. Da un lato mi aspettavo di guidare qualche supercar moderna, magari una Ford GT o una Viper, ma la scelta della Charger è stata ancor più azzeccata. Salgo a bordo, mi metto al volante, metto in moto e parto a tavoletta. Devi remare non poco per mettere diritta la grossa Dodge, ed alla fine devi soprattutto desistere dal tenere il piede sul gas, altrimenti ti ritroverai in una rovinosa nuvola di fumo, ancora fermo al punto di partenza. Girare in città è già di per sé una goduria: costeggi l’oceano, osservi le ragazze in bikini che giocano a pallavolo e ti senti immediatamente catapultato nei tuoi sogni, in quell’immaginario collettivo che noi europei abbiamo dell’America. Non tutti gli States sono così, è chiaro, ma oggi e qui, al volante di un’icona del Made in the USA, mi sento un James Dean con un po’ meno fascino. L’avventura è cominciata nel migliore dei modi. Adesso dissetiamo il V8 e addentriamoci negli stati centrali.
Christian Parodi