È come una sorta di magnete che mi attira verso il centro di un mondo inesplorato, tanto ammaliante quanto severo con l’essere umano. Varcare la soglia della propria comfort zone è qualcosa che ti fa sentire vivo. Metti una giornata di autunno, il primo episodio di una nuova rubrica che omaggia e ammira le gesta dei grandi esploratori. Poi aggiungi un Range Rover, non occorre altro.
Testo Alessandro Marrone / Foto Alessio Becker
La natura umana è una cosa strana. È complessa per una moltitudine di fattori biologici e psicologici, ma è altrettanto vero che con il tempo impariamo a distinguere quali siano le situazioni capaci di risvegliare un bisogno primordiale spesso tenuto a freno da buon senso e spirito di conservazione. Quante volte ci capita di vedere immagini di situazioni estreme e immaginarci là, almeno per un attimo. Il secondo dopo torniamo con i piedi per terra e ci ricordiamo di essere nel XXI secolo, di avere un lavoro, una famiglia e doveri a cui rendere conto. Insomma, è sempre troppo presto per portare le probabilità di andarsene oltre il 30%, figuriamoci avvicinarsi così tanto alla soglia massima. Non che le esplorazioni debbano per forza di cose essere al limite del fatale, ma lo spirito di avventura dei grandi pionieri della storia ci ha abituato a racconti dove il finale viene spesso scritto postumo, diari di viaggi mai terminati che nel bene o nel male hanno cambiato l’umanità e la sua consapevolezza nei confronti del pianeta. Adesso non è che sto mettendo le mani avanti verso una serie di missioni al limite della follia, ma con le dovute proporzioni è questo che mi rimbalza nella mente ogni volta che si parla di escursioni su strade tutt’altro che battute.
Metti una giornata di autunno e il primo episodio di una nuova rubrica che omaggia e ammira le gesta dei grandi esploratori. Poi aggiungi un Range Rover. Non occorre altro, perché la strada di fronte a me sta già lasciando spazio all’epico disegno di madre natura. Con il tempo e grazie ad alcune esperienze che sono deragliate fuori copione ho imparato che la preparazione è di fondamentale importanza in certe situazioni. Da una meticolosa verifica delle condizioni meteorologiche, passando per un’analisi dell’itinerario e delle possibili alternative in caso la severità degli elementi facesse capolino prima del previsto. Tutto è stato preparato nei minimi dettagli e niente e nessuno potrà impedirci di assistere ad una delle ultime transumanze bovine della stagione. Infatti, nell’area in cui mi sto recando ci sono diverse mandrie ancora intente a ruminare l’erba incontaminata ad alta quota, ma l’imminente arrivo del freddo e della neve comporterà un gran lavoro per allevatori e per i loro fedeli cani da pastore pronti a guidare i grossi e mansueti mammiferi verso valle e le loro accoglienti stalle.
Mi trovo al volante della nuova Range Rover, l’incarnazione della quinta generazione di uno dei più prolifici ed eccezionali veicoli, il quale ha saputo mantenere ed evolvere nel corso dei decenni una innata capacità di accostare lusso, comfort e abilità in off-road. È proprio in quest’occasione che voglio rendermi conto delle differenze con la versione Sport, della maggiore propensione ai terreni impervi di una vettura che a vederla ancora priva del minimo granello di polvere non immaginereste mai di portare dove la strada diventa irta e dove i tornanti nascondono insidiosi avvallamenti a pochi centimetri dal burrone. Il modello in prova è il risultato di una configurazione che fa strage di crocette: abbiamo infatti un generoso 3-litri abbinato ad un’unità elettrica di tipo Plug-In – e quindi ricaricabile da colonnina – per una potenza complessiva di 510 cavalli e ben 700 Nm di coppia. Presumo sia logico non dover menzionare il fatto che disponiamo di trazione integrale, mentre la trasmissione automatica a 8 rapporti è stata ulteriormente aggiornata e affinata per un utilizzo ottimale anche su strada, dove la Range per antonomasia è in grado di elevare il comfort alla guida grazie a sospensioni con molle pneumatiche. Per la cronaca si tratta di un particolare sistema che permette loro di variare in base al tipo di strada, grazie anche ad informazioni trasmesse dal navigatore satellitare. Ci sono poi barre antirollio attive, che grazie a motori elettrici riducono l’inclinazione laterale del corpo vettura durante le curve, soprattutto quando affrontate facendo ricorso alla generosa riserva di potenza a disposizione. La trazione è gestita dall’elettronica ed è provvista di Terrain Response+ di ultima generazione, con una pletora di modalità che variano anche l’altezza da terra, fondamentale nei tratti più ostici. Infine, troviamo un retrotreno sterzante che migliora la stabilità alle andature più elevate e accorcia virtualmente il passo della vettura in fase di manovra, aspetto fondamentale quando ci si trova stretti tra un parete di roccia e il vuoto.
Da un momento all’altro, senza neanche rendermene conto, la stretta strada che si inerpica oltre il borgo di Ormea mi porta lungo un sentiero che sembra troppo isolato per essere quello giusto. Verifico il navigatore e mi lascio aiutare dalle mappe cartacee che ho portato con me, constatando che la strada non sia soltanto quella corretta, ma l’unica possibile sia per l’ascesa che per la discesa. Non c’è anima viva in giro, l’aria è fresca e un timido sole gioca a nascondino con il fitto manto di nuvole che copre l’area. Non sembra tempo da pioggia e consapevole che le doti fuoristradistiche siano poco equamente suddivise in 0% guidatore e 100% Range Rover, non indugio oltre e lascio l’asfalto per la terra battuta. Il rumore degli pneumatici sul pietriscolo diventa così la colonna sonora delle prossime ore e non disponendo di una gommatura prettamente indicata per l’off-road avanzo lentamente. Il comfort assoluto e l’isolamento dell’ambiente esterno apprezzato in città e autostrada è sempre qui, con la differenza che in alcuni punti vengo sballottato in abitacolo per via di un sentiero che non è pensato per un SUV da quasi duecentomila Euro.
I chilometri trascorrono lentamente e nel frattempo mi godo un paesaggio che muta ad ogni tornante nella medesima maniera della temperatura esterna. Il Range, appena settato in modalità Gravel, non accenna la minima indecisione e morde il terreno anche quando è completamente ricoperto da pietre, facendo sembrare tutto troppo facile dove oltre il 95% del listino attuale si sarebbe già arreso. Ci sono telecamere sparse ovunque, le stesse che risultano indispensabili per gestire le mastodontiche dimensioni dell’Autobiography durante i parcheggi: 5 metri di lunghezza, 2 di larghezza e 187 centimetri di altezza con sospensioni ad escursione standard. Non ho toccato i paddle del cambio da quando sono uscito di casa, a dimostrazione che il cervellone elettronico sia non soltanto meglio di me nel mantenere il rapporto (basso, in off-road) ideale, ma perfettamente in grado di gestire tutto in autonomia, lasciando che io mi occupi di puntare le ruote nel punto giusto, alle volte fin troppo esiguo per non sudare freddo nonostante gli 0 gradi all’esterno.
Ecco che incrocio le prime mucche, alcune comodamente spaparanzate nel prato, altre in mezzo alla strada. Fermo la vettura e attendo con pazienza che decidano di lasciarmi oltrepassare il loro ristorante a cielo aperto. Questa è una delle tante occasione in cui prendo il tempo necessario per assaporare un paesaggio incredibile, dove montagne ormai spoglie solleticano un cielo livido e minaccioso. Quella sottile striscia di terra corre accanto ad un lato della montagna, nascondendosi dietro una curva che sarà sicuramente capace di lasciarmi ancora una volta senza fiato. Sfrutto il tempo utile ad Alessio per scattare altre fotografie per poggiare i piedi nell’erba ancora umida e allontanarmi dove non sento altro che i campanacci dei bovini e il forte vento che ci sbatte addosso. Da un lato puoi guardare indistinti agglomerati di case giù a valle e da quello opposto sei letteralmente sovrastato da un gigante roccioso che sembra osservare chi probabilmente sarà tra gli ultimi a vederlo spoglio prima delle nevicate ormai prossime.
È come una sorta di magnete che mi attira verso il centro di un mondo inesplorato, tanto ammaliante quanto severo con l’essere umano. Varcare la soglia della propria comfort zone è qualcosa che ti fa sentire vivo e questi luoghi sono ciò che più si avvicina ad un’esplorazione ai confini del mondo che siamo soliti definire civilizzato. Nel nulla più totale, dove siamo noi gli ospiti, è importante assaporare ogni istante. E così mi soffermo a guardare e scrutare l’orizzonte per fare mio ogni dettaglio del terreno, della montagna e di quei roditori che fuoriescono furtivi da una tana per correre in quella più vicina. Sulle nostre teste volano dei falchi che improvvisamente si lanciano in picchiata ad una velocità impensabile per un essere vivente. In quel momento ti senti così piccolo e insignificante, come se una sveglia ti avesse improvvisamente aperto gli occhi e spiegato che sei qui per una nuova consapevolezza, qualcosa da custodire dentro gelosamente e portare con te, perlomeno fino alla prossima avventura.
Torno a bordo del Range Rover, un abitacolo che trasuda classe ed eleganza grazie a superfici morbide e tecnologia migliorata e spazio a bordo per cinque persone e un’infinità di bagagli. Con lo sguardo costantemente a metà tra gli ingombri della vettura e le avare dimensioni del sentiero, oltrepassiamo il bivio con il “Sentiero degli Alpini” e faccio calare il silenzio in abitacolo. Il motivo? La strada si stringe a tal punto da richiedere la massima attenzione, con le ruote a due millimetri dal burrone e se dovessimo incontrare un veicolo provenire dalla direzione opposta, sarebbe uno di quei classici momenti in cui esclamare “Ma chi me l’ha fatto fare!”. Avanzo lentamente, consapevole che ad ogni svolta cieca potrei trovarmi di fronte un ostacolo inatteso: non solo un fuoristrada, ma una mucca, una frana, insomma qualsiasi cosa. Non c’è tempo per sostare in questo punto e come se fossi in apnea percorro quelli che saranno a malapena 3 o 4 chilometri con gli occhi costantemente sgranati, rimbalzano lo sguardo tra le telecamere sull’angolo destro e la stretta serpentina che sembra non allargarsi mai di fronte a noi.
Quando finalmente la strada si riapre abbastanza da tirare un sospiro di sollievo, un altro ostacolo fa capolino in questa giornata in ufficio meno noiosa rispetto al solito. Le forti precipitazioni dei giorni precedenti hanno dato vita ad uno smottamento e complice anche un’inclinazione laterale che pende verso quella che tra le due possibili direzioni è la peggiore – il baratro – una di quelle canalette solitamente scavate per agevolare il passaggio dell’acqua verso valle sembra troppo profonda anche per il Range. Un twist un po’ troppo estremo per i miei gusti, ma arrivati fin qui non potevo arrendermi, non al volante di Sua Maestà dopotutto. Con la scusa di immortalare il momento, Alessio scende e mi lascia solo alle prese con il destino ingrato. Imposto la massima escursione per le sospensioni (28 centimetri) e metto una ruota su una tavola di legno che avevo appositamente sistemato poco prima, in maniera da evitare uno sbilanciamento eccessivo del peso e trovarmi in pieno twist con un possibile spostamento delle masse verso il vuoto.
Parliamoci chiaro, voglio arrivare a valle con calma e non sul tetto. Questi sono i fatidici attimi che sembrano durare in eterno. In questo preciso momento, con la consapevolezza che me lo sia cercato, mi sento però un esploratore che per l’amore dell’avventura e nel nome dei grandi pionieri mette tutto a repentaglio per piantare la bandierina in vetta a un monte che in realtà potreste raggiungere a piedi senza alcuna difficoltà. Ma allora di cosa si tratta? È più una questione di attitudine, di emozioni vissute di pancia e farfalle che ti svolazzano nello stomaco quando da una situazione non così estrema ne esce fuori una che si sposta ben oltre le aspettative che ti eri prefissato. Sì, perché una volta nella natura tutto è differente da come lo avresti immaginato. Ogni cosa è accentuata dall’imprevedibilità e un sentiero sulla carta nemmeno troppo impegnativo può trasformarsi per davvero in una situazione in bilico tra la vita e la morte, leggasi anche trionfo e sconfitta.
Tutte e quattro le ruote sono passate e poco importa se tra qualche ora ma la dovrò rivedere con questo insidioso passaggio. La nostra arrampicata continua e man mano che ci avviciniamo alla vetta le mucche confermano che la transumanza è probabilmente già stata fatta. In cima non c’è nessuno, soltanto un forte vento che rende difficile restare dritti in piedi. Come un prode guerriero che ha vinto la più grande delle sue battaglie il Range Rover è coperto di terra e fango e sfoggia gloriosa la sua iconica immagine adesso resa ancora più tagliente da quei sottili gruppi ottici che a parer mio la rendono ancora più esteticamente pregevole della Sport. Non è soltanto l’auto perfetta per un’avventura di questo tipo o anche più estrema, è la vettura perfetta. Punto e basta. Con un prezzo che aumenta sensibilmente rispetto alla generazione precedente e parte da circa €133.000, il modello in prova porta con sé un propulsore da 510 cavalli e una coppia smisurata a disposizione da appena 1.500 giri. Occorre dividersi da almeno €175.000, ma sapete bene di che cosa sia capace e non parlo soltanto di accompagnarvi comodamente da un luogo ad un altro – con discreto brio – o affrontare le più impensabili arrampicate. Parlo di una consapevolezza universale differente. Si tratta di esperienza, di quei fatidici momenti in cui ti senti più vivo del solito. E ultimamente, almeno per me, questo vale più di quanto tante sportive di ultima generazione sono in grado di trasmettermi.
RANGE ROVER 3.0 PHEV AWD SWB AUTOBIOGRAPHY
Motore 6 Cilindri Plug-In Hybrid 2.996cc Potenza 510 hp @ 5.500 rpm Coppia 700 Nm @ 1.500 rpm
Trazione Integrale Trasmissione Cambio Automatico a 8 Rapporti Peso 2.810 kg
0-100 km/h 5,5 sec Velocità massima 242 km/h Prezzo da€133.100 (€175.000 esemplare in prova)