Il mondo del cinema è quella dimensione a sé stante che trasforma l’immaginazione e la imprime in una pellicola che da forma, colori e voci a storie che possono essere di ogni tipo: drammatiche, comiche, avventurose, sentimentali, oppure ricche di azione e adrenalina. Un film delinea oggettivamente quei tratti che un libro lascia liberi di essere espressi nell’immaginario di ciascuno di noi e lo presenta al pubblico in maniera uniforme, ma non per questo priva di emotività. Dentro questo meraviglioso contenitore ci sono persone che dedicano la propria vita nell’impersonare i ruoli più disparati, spesso essendo talmente bravi da trascendere quel ruolo di fiction e trasmettere oltre lo schermo una realtà che ci consente di essere proprio in mezzo a quelle storie, sempre più spesso parte della nostra cultura.
All’età di 90 anni, sul finire dello scorso anno ci ha lasciato un attore incredibile, protagonista di un impressionante numero di pellicole e autentico simbolo di compostezza, anche nella vita lontana dal set. Sir Thomas Sean Connery è sempre stato una leggenda vivente, figura indiscussa di titoli quali “Highlander – L’ultimo Immortale”, “Il Nome della Rosa”, “Caccia a Ottobre Rosso” e ovviamente per aver indossato i panni dell’agente segreto più famoso al mondo in ben 6 capitoli della filmografia di James Bond. Senza ombra di dubbio è lui ad aver contribuito ad alimentare l’interesse verso un filone che ha sempre viaggiato sul sottile confine dell’azione e quello dell’esagerazione, rappresentando la perfetta giustificazione alle infallibili abilità di uno scapolo d’oro che divenne ben presto il modello di uomo più amato dalle donne e più invidiato dagli uomini.
Sean Connery, un nome ancor più ridondante dello stesso James Bond, capace di impersonare ruoli differenti, eppure di mantenere quel fascino che aumentava con il passare degli anni e con l’accrescere di un’esperienza maturata sul campo, lasciando l’indelebile ricordo delle sue 94 performance, tenute tra il 1954 e il 2012. E se per un momento lasciamo da parte il suo ruolo di capitano e monaco e ci concentriamo esclusivamente su quello del primo e più iconico 007 di sempre, è perché l’importanza di Sean Connery è il perfetto connubio tra uomo e automobile, dove ovviamente la prima sagoma a venire alla mente è quella della sensuale silhouette dell’Aston Martin DB5 utilizzata in “Goldfinger” e“Thunderball”. Suoi sono gli inseguimenti al limite del possibile, come anche le sarcastiche battute al tavolo da gioco e l’imperturbabile self-control anche quando la morte era vicina, troppo vicina. La stessa che nella vita reale ha strappato il corpo, ma nulla può contro l’alone di leggenda che resterà per sempre impresso in uno spaccato culturale patrimonio del mondo intero.
A differenza di altri grandi nomi dello spettacolo, lo sguardo di Connery era perfettamente a suo agio nel ruolo che recitava, tuttavia tratteneva un qualcosa che legava il ruolo di finzione insieme a quello della sua persona. Riusciva incredibilmente a trasferire parte di sé dentro la fiction cinematografica, rendendo il tutto ancora più reale e spazzando via quella ormai lontana percezione di guardare qualcosa di scritto e costruito, in favore della visione di immagini spontanee, come quando capita di improvvisare e tenere buona la prima scena girata. Sean Connery ha vissuto epoche ben distinte, cominciando a recitare agli inizi degli anni 50, attraversando il periodo d’oro del cinema a cavallo tra ’60 e ’70, sino al cinema più moderno e con il primo avvento della digitalizzazione, per poi dare il proprio contributo anche in tempi più recenti, dove la tecnologia ha spalancato innumerevoli possibilità a registi e sceneggiatori.
Proprio in quest’ultima fase Sean Connery ha dimostrato che nonostante i miracoli del mondo contemporaneo, un ruolo che non potrà mai essere sostituito è quello del carattere di un grande attore. Quegli sguardi che penetrano lo schermo e ti tengono incollato ad una tv sempre più smart e sempre meno sincera. Sir Connery faceva parte della vecchia guardia, teneva alto lo stendardo di un mondo che dava più importanza ai dialoghi, piuttosto che agli effetti speciali, una realtà più vicina a quella che viviamo da questa parte dello schermo e non aveva certo timore di dire ciò che pensava realmente, come in seguito alle deludenti riprese de “La Leggenda degli Uomini Straordinari” (che non è poi così male, ndr), o per il grande impegno profuso a sostengo della sua Scozia. Riteniamoci fortunati per poterlo rivivere attraverso i suoi film e immaginiamolo a bordo strada, accanto alla sua Aston Martin, che ci osserva con un buon sigaro in mano.
Testo di Christian Parodi / Crediti foto ai legittimi proprietari