Sportivi … Anche Quando Non Lo Si Nasce
Anni ’30 – dopo una delle più grandi depressioni dell’economia mondiale, riparte la rincorsa alla modernità, a tutto ciò che è dinamico, folle, affascinante e così le competizioni motoristiche iniziano a delinearsi, passando dall’essere sfide un po’ pittoresche, avventure pionieristiche, a gare vere e proprie. Gare regolate da norme, che si disputano su circuiti più o meno permanenti e nelle quali iniziano a sfidarsi auto espressamente progettate per correre o derivate da modelli di serie, ma comunque caratterizzate da soluzioni mirate all’agonismo. L’aria che si respira è artigianale ed in Inghilterra si vive quel fervore (tutt’oggi non sopito) che porta a modificare/elaborare quasi ogni auto presente sul mercato. Tutti i modelli possono così essere potenziali “bolidi”, non importa quanto performanti, l’importante è che siano in grado di regalare emozioni.
Iniziano a sbizzarrirsi meccanici e carrozzieri, usando come basi di partenza anche delle paciose auto da famiglia, purché agevolmente trasformabili, facilmente riparabili e relativamente economiche. In questo modo anche le Austin Seven e Big Seven riescono a calcare i campi di gara (auto che continuano poi per anni a gareggiare – anche Bruce McLaren ottiene la sua prima vittoria alla guida di una Seven Ulster, all’età di 15 anni), trasformandosi da goffe tutto fare ad agili sportive.
Nel nostro caso parliamo di una Big Seven, nata nel 1938 (telaio n° 1910, come certificato dal “The Austin Seven Club Association, al quale è iscritta al n°55) e trasformata, secondo i dettami della carrozzeria Ulster, in siluro da corsa.
Proprio un siluro, visto che le empiriche conoscenze aerodinamiche dell’epoca imponevano code sfuggenti ed appuntite. L’autotelaio compatto (poco più di 2 metri) ed il passo proporzionalmente lungo fornivano una base di partenza agile e, allo stesso tempo, stabile. La semplicità dei freni a tamburo e delle molle a balestra, davano garanzie di robustezza e contemporaneamente di facili interventi di manutenzione.
Il motore poneva invece qualche limite, con i suoi soli 900cc (eroganti circa 25 cv, in configurazione di serie), ma al contempo la sua compattezza permetteva di montarlo arretrato, così da centrarne il più possibile la massa rispetto al telaio. Per sopperire alla scarsità di cavalli si cercava allora di alleggerire, snellendo la carrozzeria (realizzata in alluminio), eliminando del tutto le portiere (oltre alle cerniere dei cofani) e semplificando al massimo l’allestimento interno (che oltretutto non doveva avere finiture che assorbissero acqua).
Alla guida questa macchina risulta in ottima forma, reattiva e sincera, ovviamente con i limiti dovuti alle caratteristiche della gommatura ed all’efficienza dei freni, limiti che però non raggiungono mai livelli preoccupanti. Oltretutto la cavalleria disponibile e la manovrabilità del cambio tarpano un po’ le eventuali velleità corsaiole spinte del guidatore. Il coinvolgimento però è totale, già dall’abbigliamento necessario (non consigliabile, ma necessario! Lo stile è stile ed impone giubbotto, cuffia ed occhialoni aeronautici dell’epoca), passando per la sensazione di contatto quasi diretto con l’asfalto ed arrivando all’appagamento dati dal sound e dalla leggera carezza del vento (i due piccoli windscreen svolgono egregiamente il loro lavoro).
Ovviamente non si tratta di un’auto propriamente adatta alla guida quotidiana, ma Marco (il proprietario, appassionato collezionista di auto e pilota di rally) riesce a godersela durante l’anno, partecipando anche a rievocazioni di gare del passato (come testimoniano i tanti adesivi). Non è difficile poi vederlo in gita, attraverso la Toscana, con un po’ di bagaglio nel vano posteriore ed un po’ nello zaino appeso alla ruota di scorta esterna, 4 candele di scorta, la trousse degli attrezzi e tanta voglia di guidare….nel vero senso della parola, come una macchina un po’ rude richiede.
Testo di Gianluca Torini
Foto di Fabio Norcini
Modella Ksenia Usmanova