Quella Volta Con … La Prima Ferrari Della Mia Vita
FERRARI F430 SCUDERIA
Di Alessandro Marrone
Stavolta sei anche disposto a rimetterci la patente. Non ti importa dei limiti di velocità o del buon senso, perché la vita è fatta di attimi e quando hai tra le mani un volante con il famigerato Cavallino Rampante, ti senti in un’altra dimensione. Puoi anche tifare McLaren, ma il brivido che provi nel momento in cui il piede destro aumenta la propria pressione sul pedale è qualcosa di impareggiabile. Quel sound, quel vero e proprio boato che emettono i due terminali posti in mezzo alla coda, sono la colonna sonora di uno dei momenti più belli della tua vita e non pensi ad altro che a goderti questi attimi, così intensi che volano via come foglie portate via dal vento. La concitazione cessa lo scompiglio nella mente nel preciso istante in cui il motore gira al minimo e ti trovi fermo ad un incrocio, bersaglio degli sguardi dei passanti che, ovviamente, hanno subito riconosciuto la più tipica delle sagome Ferrari – bassa, filante, rumorosa e soprattutto ROSSA. La F430 Scuderia è una di quelle auto che vuole essere trattata con sicurezza, una bellissima donna della quale ti innamorerai non soltanto dei pregi, ma anche dei difetti, consapevole del fatto che non la conoscerai mai a fondo quanto dovresti. Mani ben salde sul volante, sguardo al Cavallino (si, è sempre lì) ed un colpo sicuro sull’acceleratore. L’ago del contagiri schizza velocemente, proprio come i decibel che raggiungono le mie orecchie, con quella musica che prima parte grave e poi diventa più acuta, più forte ed assordante.
Fuori c’è caldo, è estate ed è un’ottima scusa per viaggiare con i finestrini completamente giù, a voler amplificare maggiormente quel flusso di heavy metal che arriva dal pazzo V8 posizionato proprio dietro di me. Dentro è tutta una bolgia, tra fibra di carbonio ed alcantara, pennelli alleggeriti ed un pavimento grezzo, volutamente spoglio e privo di ogni comfort. I sedili ti avvolgono come una mamma farebbe con il proprio bambino e le cinture ti premono su di essi, senza possibilità di scivolare (e rimediando qualche derisione, quando non arrivi a prendere il resto, al casello autostradale). Ma non importa, perché l’attenzione è focalizzata su quello che c’è davanti, ovvero volante e pedali. Le strade sono troppo corte e trafficate, non riesco a tirare due marce che ho già raggiunto l’auto davanti ed è una continua ricerca di qualche curva in più, di qualche striscia d’asfalto che possa sancire un’esperienza di guida inverosimilmente intima. Il cambio è velocissimo e spara una dopo l’altra le marce richieste, i freni sono eccezionali e dopo poco ci prendo la mano, ma ciò che stupisce di più è la voglia di andare forte e, soprattutto, la capacità di affrontare strade in non perfette condizioni, senza la minima incertezza. La F430 Scuderia è la versione più performante dell’ottima F430, ma guidandole entrambe capirete che ci si trova di fronte a due vetture completamente differenti. La Scuderia è un’arma, non è un’auto. La Scuderia è quel diavolo sulla spalla che ti incita a prenderti gioco delle buone maniere, dell’educazione (anche quella stradale) e ti porterà a non voler condividere con nessuno questo tipo di emozioni.
Diventa una questione personale, sarete gelosi di tutta questa goduria – è tutto così peccaminoso. Immaginatevi di essere nel Giardino dell’Eden: rovinereste il prato a suon di tondi, portando al limitatore il contagiri dal fondo giallo e scaricando a terra i 503 cavalli di questo V8 aspirato. Dove le regole vengono riscritte e tutti gli omini in giacca e cravatta si bevono un sacco di numeri e statistiche, la F430 Scuderia porta dei fatti tangibili, misurabili con la pelle d’oca e con la rigidità che il vostro sedere raggiunge nel momento in cui ti credi un pilota e giochi con un po’ troppo coi pesi, allargando il posteriore quel tanto che basta per convincerti che qualche Santo è davvero tuo amico. Se dovessi scegliere un’auto da guidare per il resto della vita, sarebbe una F430 Scuderia, senza se e senza ma – non puoi farne a meno e dopo averla guidata non sei più in grado di starne senza, anche se purtroppo dovrai abituartici. Quello che resta sono quelle sensazioni, la consapevolezza che la prima Ferrari non si scorda mai, soprattutto se è speciale come la Scuderia. Ed allora ti rendi conto che le favole esistono, e che certe auto sono in grado di fartele vivere nel mondo reale. A distanza di 5 o 6 anni, mi sono messo al computer per scrivere la mia prima esperienza alla guida di una Rossa, ed ho vissuto esattamente quei momenti, quegli attimi, come se fossero accaduti il giorno prima. Ho sentito nella mia testa quel ruggito da re della giungla e provato l’ebbrezza di sentirmi padrone di un V8 nato a Maranello, figlio di un’eredità ricca di successi, eroi e leggende. Una Ferrari fa bene al cuore, quando la guidi per la prima volta poi – è un po’ come nascere di nuovo.
Ferrari F355
Di Antonio Iafelice
Quando la Ferrari F355 venne presentata nel 1994 me ne innamorai subito. Ricordo di averla vista per la prima volta in un servizio dedicatole nel corso di un telegiornale della sera e da quel momento non ho mai smesso di pensare a come sarebbe stato guidarla. Era bellissima (e per me lo è tuttora) con quel suo design elegante e sportivo allo stesso tempo che strizzava l’occhio alle forme di un recente passato. Era tecnologicamente avanzata grazie ad alcune soluzioni ispirate direttamente alla Formula 1, come ad esempio il fondo totalmente carenato e l’innovativo cambio sequenziale dotato di paddles al volante, ma la sua anima non era ancora lontanamente governata dall’elettronica. La F355 per me è stata l’ultima vera Ferrari a chiusura di un’epoca e la prima che ho amato visceralmente. Solamente parecchi anni dopo il destino mi ha servito su un piatto d’argento le chiavi per dar vita a quello che era diventato nel tempo il mio sogno nel cassetto. Nella fattispecie le chiavi erano quelle di una F355 rossa con interni color biscotto. Ero così emozionato a vederla lì a pochi metri da me, soprattutto perché stavolta sapevo già che l’avrei finalmente guidata. Potevo finalmente toccare con mano tutti quei particolari che mi avevano subito fatto innamorare di lei: i romantici fari anteriori a scomparsa, le ampie prese d’aria annegate nelle fiancate, il piccolo lunotto verticale tra le due pinne che dolcemente scendevano verso la coda ed i classici doppi fari circolari posteriori. Ricordo di aver fatto tre passi indietro come per dire “è davvero lei?” La risposta era più ovvia del classico colore rosso delle supercar di Maranello. In un solo momento ricordi e aspettative avevano affollato la mia mente ed era finalmente arrivato il momento tanto atteso di realizzare il mio sogno nel cassetto.
Aprii lo sportello inserendo la mano sinistra all’interno delle grosse prese d’aria che squarciavano quella fiancata così sinuosa e mi calai dentro l’abitacolo per sedermi sul sedile rifinito in morbida pelle Connolly. Strinsi forte il volante quasi a dire “finalmente sei mia!” e misi in moto il potente motore: il V8 mi ripagò dando voce a tutti i 380 cv e dai quattro scarichi uscì una melodia inconfondibile. Accesi i fari anteriori che, alzandosi dalla linea del cofano, mi regalarono subito una visuale d’altri tempi ma il mio sguardo fu subito catturato dalla storica griglia ad “H” del cambio manuale. Far danzare la leva tra una posizione ed un’altra su una griglia così ben sagomata rappresentò una perfetta sfida tra la paura di sbagliare e la capacità di farlo nel modo giusto. Inserii la prima e accelerai dolcemente per gustarmi quel momento magico. Inizialmente in me non c’era l’intenzione di arrivare ai 295 km/h di velocità massima, né tantomeno di verificare l’alta deportanza garantita dal rivoluzionario fondo studiato per dare il meglio di sé proprio alle altissime velocità. Volevo semplicemente gustarmi l’emozione di stare al volante di quel sogno. L’emozione che si prova in quei momenti riduce i tempi e amplifica le sensazioni: i 4,7 secondi dichiarati nello 0-100 km/h in realtà mi sembrarono la metà e mi diedero un scarica di adrenalina incredibile. Questo succede quando i freddi numeri di una scheda tecnica si contano sulla propria pelle cavalcando le proprie emozioni. I movimenti nella guida si fecero sempre più veloci ed intensi: giocare col volante sia in entrata che in uscita di curva, manovrare in maniera sempre più veloce la leva del cambio ed avvertire i “clac” giusti ad ogni cambio marcia, schiacciare il pedale dell’acceleratore sempre con un pizzico di decisione in più e aggrapparsi sempre più tardi ai freni migliorarono di gran lunga il feeling che avevo instaurato con la F355. In quei momenti il piacere di guida era rappresentato non tanto dalla velocità in sé, ma piuttosto dal gusto di sentire una macchina ancora dominata da me.
La F355 apparteneva all’epoca delle classiche supercar del “passato” ancora tutte da guidare: non aveva ancora i “manettini” con cui le si poteva cambiare l’anima e per questo imponeva una continua sfida tra il mio stile di guida ed il suo orgoglioso carattere non sottomesso ancora ad alcuna elettronica esasperata. I brividi di emozione che la F355 sapeva darmi erano dati proprio da quel continuo confronto tra il mio limite ed il suo limite in cui per avere più piacere dovevo forzare sempre di più i miei limiti ma senza oltrepassare i suoi e cercare per questo di adattarmi a lei ed alla sua natura. La F355 non si rivelò una supercar estrema, anzi apparì ben più confortevole del previsto e per questo meno affine alla guida propriamente sportiva di quanto avessi potuto immaginare nei miei sogni. Lo sterzo parecchio servoassistito e le sospensioni non eccessivamente rigide avevano reso la “mia” Ferrari più vicina ad una granturismo che ad una supercar dura e pura. Provai a “violentarla” ma mi fece subito capire che era lei a comandare: nella guida più al limite non ci volle poi molto per tramutare un attimo del piacere di guidare in brividi di paura. Ma forse è proprio tutto questo che rende ancora oggi speciale il mio ricordo della F355: il design, la tecnica di guida con quel fantastico cambio manuale, la potenza trasmessa alle ruote posteriori senza particolari filtri, l’handling particolare così lontano dalle vetture sportive di oggi incutevano dapprima timore e rispetto da trasformare poi in gioia e godimento dietro al volante. Guidare la F355 mi aveva fatto realizzare un sogno, pilotarla mi aveva permesso di apprezzare la sottile ma fondamentale differenza tra una gioia ed una paura ed è questo che a distanza di circa dieci anni in cui realizzai il mio sogno nel cassetto mi è rimasto nel cuore.